venerdì 31 luglio 2009

L'Estate Sui Campi

Splende a distesa il giorno
rosato alla pianura,
la tremula calura
richiama a lungo intorno
dall’alto il visibilio
dei passeri nel sole.
...Il grano trema e nere
si schiudono farfalle
all’afa azzurra; d’oro,
riversa a quel ristoro
di luce, nelle gialle
stoppie bisbiglia l’aria...
...Così morbido e solo
scorre sul fiume il verde
silenzio che alle valli
odoroso si perde.
Restano i campi gialli,
monotona campagna
dei grilli e della sera...




Alfonso Gatto

giovedì 30 luglio 2009

Santuario della Beata Vergine della Pallavicina

Il monumento più illustre di Izano, situato poco all'esterno dell'abitato, alla fine di un viale alberato, sulla strada verso Crema, è il Santuario della Pallavicina.
È un luogo di antica devozione, che conserva tuttora il fascino dei piccoli santuari di campagna; ogni anno, nei giorni di Pasqua e Lunedì dell'Angelo, vi si svolge una Fiera primaverile (denominata "Fiera dell'Angelo"), alla quale partecipano devoti provenenti da ogni località del Cremasco.
Dell'origine dell'edificio poco conosciamo, anche perché non ci è giunta notizia dell'anno nel quale si sarebbe verificata la miracolosa apparizione della Madonna ad una fanciulla del luogo, fatto che dette origine all'erezione di una cappella.
Esso risale comunque ai tempi antichi, per lo meno al XV secolo, datazione desunta da un affresco che reca inciso l'anno 1444.
Di una chiesa edificata sul luogo della primitiva costruzione si parla solo a partire dal 1578, in occasione di una visita pastorale.
A quel tempo la sua struttura doveva essere ormai organizzata secondo le linee essenziali che sono tutt'oggi visibili, malgrado le aggiunte più tarde: un piccolo santuario ad una sola navata, terminante in una profonda abside completamente decorata con affreschi di scuola cremonese.
I secoli successivi videro un progressivo arricchimento architettonico e decorativo, che ricoprì di una veste barocca l'interno; ad una cappella laterale sorta nel punto dell'apparizione ne furono aggiunte, fra la fine del Seicento e i primi del Settecento, altre due, notevoli per ricchezza di pitture e di stucchi, mentre fu attuato solo solo in seguito, nel 1910, il completamento del lato destro, sfondato simmetricamente al fianco sinistro ed animato da una nuova facciata che che dà sul piazzale antistante.
(fonte del testo Comune di IZANO, CR)
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E' un luogo dell'infanzia, della fanciullezza.
Eppure è ancora così presente nei miei occhi e nel mio cuore di oggi, un cuore che ha ancora paura del nulla e dell'oblio.
Gli "ex-voto" disposti alla rinfusa sulle pareti della chiesetta ricordano devozioni passate illuminate dalla fioca luce delle candele. Una madonnina umile, di paese, lontana dalle splendide cattedrali delle grandi città...ma così bella ed umana da innamorarsene.
Ti penso madonnina e mi rivedo bambino a sguazzare nelle acque del canale e a rincorrere rane nelle anse dei fossi.
Oggi la maturità degli anni a volte mi consola ma mi manca il respiro ed il sole luminoso e cocente che scaldava la mia anima e le mia gambe di bimbo curioso e felice durante la fienagione.

mercoledì 29 luglio 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (XII)

CAPITOLO XII°

- Chi disturba il riposo di Aulis? - mormorò con una voce simile ad un soave canto di cigni.
L'eterea fanciulla sembrava danzasse sulla superficie dell'acqua che, nel frattempo, era nuovamente ritornata tranquilla.
Un'avvolgente sensazione di pace crescente penetrò in ogni fibra del corpo di Mizaurio ed egli assaporò l'abbandono al beato contatto di fronte al quale ogni tensione spariva come neve al tiepido tocco di un raggio di sole.
- Io sono Mizaurio. - rispose.
La fanciulla pareva guardarlo con occhi ridenti.
- Sei tu umano o creatura di boschi? - domandò ella a lui che estasiato osservava.
- Sono umano o splendente visione. - le disse.
- Io sono Aulis - riprese la ninfa - e nutro di pace e proteggo le creature e le cose di questo angolo nascosto di mondo.
Perché mi destasti dal dolce oblio?
Quale affanno disturba il tuo cuore in modo così pesante da costringere i tuoi gesti al richiamo di ciò che è soprannaturale?
- Langue il mio Principe costretto al dolore ed io ne provo una grande tristezza. - disse Mizaurio e raccontò alla fanciulla il resoconto degli avvenimenti che aveva, con Gujil, vissuto durante quel viaggio.
- ora so, - disse Aulis - ora sento, ... e comprendo.
Lessi, ma avevo perso il ricordo, scorrendo stelle e pianeti, gli eventi di cui mi hai da poco dato racconto.
Sorrise.
Si chinò e raccolse dall'acqua qualcosa che osservò attentamente.
- Ho visto! - disse la ninfa e, poi, continuò con tono più dolce:
- Ascoltami ora con molta attenzione poiché non ho molto tempo; ma chiama l'oblio che mi brama e mi culla nei sogni che questo reale deforma ed uccide.
Più innanzi ai tuoi passi, là dove l'acqua perfora la roccia e sgorga ridente ad alimentare la vena che poi sarà fiume e la terra, là dove troverai il fiore prezioso della purpurea sassifraga.
Raccogline i bulbi interrati e fanne un decotto che a lungo bollisca finché non avrà assunto un deciso colore citrino; quando il tuo Principe avrà bevuto quella prodigiosa essenza tornerà a nuova vita.
Ma bada! Pochi giorni durerà il suo benefico effetto.
Posso dirti che nulla ha potere a guarire il tuo giovane Principe, che non ha ferite nel corpo ma solo nell'anima e nel suo sogno d'amore.
Dovrete lasciare le terre di Opoflop prima che la quinta luna abbia a subire la violenza del mattino.
Altrimenti egli morirà.
Ricordati, o uomo chiamato Mizaurio, ogni attimo e cosa del mondo hanno in sé scritta gli astri.
I corpi del cielo e le universali leggi vanno rispettate dall'uomo, che egli è impotente davanti a quei grandi misteri che danno alito e, con esso, il soffio vitale.
Ricorda!
Così disse e svanì senza che lo scudiero avesse avuto a disposizione il tempo necessario per poter, in qualche modo, replicare alle di lei parole.
Cercò dunque Mizaurio e, cercando, trovò la purpurea sassifraga; quindi ne colse, scavando profondamente la terra, le radici a bulbo e le macerò nella ridente e fresca acqua fino a farne una finissima ed omogenea poltiglia rossastra.
Cosse il decotto per tutto il resto del giorno.
Quando a Mizaurio parve essere pronto, lo tolse dalla fiamma e ne osservò, compiaciuto, il giallo colore.
Lo lasciò raffreddare alcuni minuti dopodiché costrinse le labbra riarse di Gujil, ancora serrate in una muta espressione, a divaricarsi ed il flusso colò copioso nella gola del Principe.

martedì 28 luglio 2009

Il Profeta

SU GIOIA E DOLORE

Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore.
E lui rispose:
La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera,
E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime.
E come può essere altrimenti?
Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere.
La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio?
E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello?
Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia.
E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento.
Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore".
Ma io vi dico che sono inseparabili.
Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto.
In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia.
Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi.
Come quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, così la vostra gioia e il vostro dolore dovranno sollevarsi oppure ricadere.
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da "Il Profeta" di Gibran

lunedì 27 luglio 2009

Il Risveglio


Lo ripete anche l'aria che quel giorno non torna.
La fìnestra deserta s'imbeve di freddo
e di cielo. Non serve riaprire la gola
all'antico respiro, come chi si ritrovi
sbigottito ma vivo. E' finita la notte
dei rimpianti e dei sogni. Ma quel giorno non torna.

Torna a vivere l'aria, con vigore inaudito,
l'aria immobile e fredda. La massa di piante
infuocata nell'oro dell'estate trascorsa
sbigottisce alla giovane forza del cielo.
Si dissolve al respiro dell'aria ogni forma
dell'estate e l'orrore notturno è svanito.
Nel ricordo notturno l'estate era un giorno
dolorante. Quel giorno è svanito, per noi.

Torna a vivere l'aria e la gola la beve
nella vaga ansietà di un sapore goduto
che non torna. E nemmeno non torna il rimpianto
ch'era nato stanotte. La breve finestra
beve il freddo sapore che ha dissolta l'estate.
Un vigore ci attende, sotto il cielo deserto.


Cesare Pavese "Poesie del Disamore" (1934 - 1938)

giovedì 23 luglio 2009

Fuga di Giovinezza


La stanca estate china il capo
specchia nell' acqua il suo biondo volto.
Erro stanco e impolverato
nell' ombra del viale.

Tra i pioppi soffia una leggera brezza.
Il cielo alle mie spalle e' rosso
di fronte l' ansia della sera -
e il tramonto - e la morte.

E vado stanco e impolverato
e dietro a me resta esitante
la giovinezza, china il capo
e non vuole più seguire la strada con me.





Herman Hesse

mercoledì 22 luglio 2009

Per Liberare la Mia Terra

Giorgio Lo Cascio,

4 lp's negli anni della contestazione e dei primi cantautori...e pochissima fama. Insegnante, politicamente schierato e con un linguaggio diretto e franco che non lascia spazio a sottintesi o interpretazioni. Una musica semplice, piena di illusioni e di lotta di classe. Anacronistica oggi ma sicuramente attuale nelle cose che dice.

Ora so cosa mi accomuna a lui, il percorso riflessivo sulla condizione personale e le incongruenze che ci accompagnano nella vita...spero però in un destino diverso e meno beffardo. Il brano in question e mi riporta al mio Perù ed alla visione improvvisa ed eterea del condor nel cielo di Cusco. C'era una volta e c'è ancora adesso un senso di rivalsa e di possente voglia di ribellione...ma è sopita dalle incombenze quotidiane, dal lavorare per vivere (o veceversa), dai programmi radio-televisivi.

Non c'è soluzione ma accettazione consapevole, io personalmente non sò cosa sia meglio.

lunedì 20 luglio 2009

Singhiozzo


Freddo,
come mare ingrossato
riparo nel mio disperare.

Brivido,
come attimo irretito
sospiro nel mio disperare.

Singhiozzo,
come gemito delicato
affogo nel mio disperare.

Sonno,
come animale sfinito
riposo nel mio disperare.



Anonimo
della seconda metà del 1900

giovedì 16 luglio 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (XI)

CAPITOLO XI°

La rugiada del mattino imperlava ogni cosa ammantandola di irreali riflessi scintillanti cingendo a cornice la foresta in un'atmosfera che pareva fiabesca.
i due amici, mentre percorrevano a ritroso il cammino del giorno precedente, non scambiarono neppure una parola tra loro.
Ogni tanto lo schiocco di un merlo o il bramito di qualche cervo attiravano e deviavano l'attenzione di Gujil dalle proprie considerazioni.
In poco tempo raggiunsero l'ingresso dello stretto pertugio che li avrebbe di nuovo portati nel canalone dove avrebbero dovuto trovare ad attenderli i loro destrieri.
Una volta usciti dall'angusto cunicolo stirarono le loro membra godendo della calda carezza portata dai raggi solari.
Dei cavalli però nessuna traccia.
Erano scomparsi da quel luogo.
- Senti quale silenzio ...- mormorò Mizaurio rivolgendosi al Principe.
- tu resta qui ed aspetta. - disse Gujil - Io vado a vedere dove diavolo si sono cacciati quei maledetti animali.
Ciò detto avviò i suoi passi a costeggiare un lato del canalone dirigendosi verso uno slargo che ricordava, dal giorno precedente, essere ricco di vegetazione e di acqua. Sobbalzò perché il suo cuore stava ricominciando a sanguinare copiosamente il dolore.
Non appena ebbe oltrepassato una piccola roccia, la cui eminenza più elevata lo superava di poco più di un palmo, li vide e restò impietrito.
Di fronte a lui due grossi lupi gli sbarrarono il cammino.
Il primo, quello alla sua destra, aveva un nerissimo mantello chiazzato da leggere striature di un argento vivissimo.
L'altro, solo appena più piccolo del primo, era completamente grigio.
In ambedue gli animali gli occhi dardeggiavano come dei tizzoni ardenti rivolti verso di lui.
Le loro zanne, lunghissime e perfettamente bianche, digrignavano nel cupo brontolio del loro fiato.
Stupito Gujil arrestò i propri passi e, con gesti lentissimi, impugnò l'elsa della spada nel tentativo di sguainarla.
- uccidetelo! - sentì provenire poco lontano da lui e vide le belve scattare come molle in un plastico balzo fulmineo.
se li trovò addosso senza aver fatto in tempo ad estrarre la lama.
Il peso dei due animali lo scaraventò violentemente a terra; sentì le appuntite zanne affondare nella spalla e nel fianco e, istintivamente, portò la mano ad afferrare il pugnale che teneva allacciato alla vita.
Raggiuntolo lo estrasse dal fodero e con un enorme sforzo scagliò lontano il lupo che lo aveva aggredito al fianco con un violento colpo impresso con le gambe che era riuscito a raccogliere sotto l'addome dell'animale.
Poi, con un altro poderoso colpo di reni, rotolò su se stesso costringendo il lupo più grosso sotto di lui.
Cingendolo alla gola con la mano sinistra lo immobilizzò e gli trafisse il cuore con una pugnalata.
La belva strabuzzò lo sguardo e le si spense negli occhi la fiamma della vita.
Per qualche momento si agitò ancora spasmodicamente sotto il peso di Gujil e poi giacque immobile.
Il tutto avvenne nell'arco di pochi secondi.
Allora Gujil si rannicchiò su se stesso e si voltò con uno scatto, pronto a rispondere all'attacco della seconda belva.
Il sangue colava copioso dalle sue ferite ma il dolore fisico lo teneva desto ed attento.
L'odore del suo stesso sangue lo andava eccitando a dismisura e la rabbia cresceva in lui quasi fosse un fiume in piena.
Quando si rese conto che il secondo lupo giaceva al suolo e si stava trascinando a fatica sugli arti anteriori, comprese che, probabilmente, l'impatto col terreno gli aveva spezzato le zampe posteriori.
Con le nari dilatate come un animale, si scagliò con un urlo selvaggio sulla bestia e la colpì ripetutamente con il pugnale in preda ad una furia omicida incontrollabile.
Quando Mizaurio sopraggiunse, richiamato dal frastuono della lotta, lo trovò ancora con il coltello tra le mani in un mare di sangue.
Con pazienza cercò di calmarlo e quando ci fu riuscito lo trascinò, tenendolo per mano, verso la polla di fresca acqua da cui nasceva un piccolo ruscello.
Spogliatolo gli lavò delicatamente le ferite maledicendo ad alta voce il giorno in cui si erano messi in quel pasticcio.
Notò, nel tascapane di Gujil, l'ampolla contenente il filtro preparato da Noretex.
Era miracolosamente rimasta intatta.
Non un lamento fuoriuscì dalle labbra di Gujil intanto che il fedele compagno gli ricucì le profonde ferite.
Lo sguardo assente; il Principe era lontano col viso tirato ed i capelli impastati di sangue raggrumato e polvere.
Strappando quello che era rimasto della camicia dell'amico, Mizaurio approntò delle improvvisate bende con le quali fasciò il corpo di Gujil.
Le ore passavano lente e l'espressione di Gujil appariva sempre lontana a Mizaurio.
Lo scudiero era perplesso e lo guardava con gli occhi pieni di interrogativi inespressi ma quelli dell'amico erano assenti.
Il suo Principe era lì, accanto a lui, ma era come se la sua essenza fosse stata rapita da chissà quali strane visioni.
Scuotendo il capo Mizaurio si alzò imprecando la sorte e perlustrò accuratamente i dintorni della radura alla ricerca delle loro cavalcature.
Le trovò tranquille, in un angolo appartato intente a pascolare la tenera erba intrisa di stille perlacee.
Recuperati i cavalli fece ritorno al posto nel quale sostava il Principe che trovò esattamente come lo aveva lasciato.
Dopo che fu passato ancora un po' di tempo Mizaurio, spazientito ed indeciso sul da farsi, raccolte alcune piccole pietre sul greto del ruscello, si mise a lanciarle nella polla per ingannare il senso del tempo che andava percorrendo le sue misure con estrema lentezza.
Al terzo sasso l'attenzione dello scudiero venne attirata dal ribollio che, iniziato con un leggero incresparsi, andava via via aumentando di intensità nel centro della pozza.
All'unisono le oche selvatiche levarono il volo dai canneti circostanti e, in formazione compatta, si diressero all'ovest cristallino di quella chiara mattina.
La cosa lo mise in agitazione.
Dopo una brevissima attesa lo spazio circostante zittì i suoi rumori.
La bocca e gli occhi spalancati di Mizaurio videro squarciarsi in un varco il centro della polla e, da esso, apparire una visione di sogno.
Una figura di donna bellissima, diafana, cinta di un evanescente vestito, si era materializzata davanti al suo stupore.

giovedì 9 luglio 2009

Angoscia


Non vengo questa sera per il tuo corpo, o bestia
Che i peccati d'un popolo accogli, né smuoverò
Nei tuoi capelli impuri una triste tempesta
Sotto il tedio incurabile che versa il mio bacio:
Chiedo al tuo letto il sonno pesante, senza sogni,

Librato sotto il velo segreto dei rimorsi,
E che tu puoi gustare dopo le tue menzogne
Nere, tu che del nulla conosci più che i morti.
Poichè il vizio, rodendomi l'antica nobiltà,

M'ha come te segnato di sua sterilità;
Ma mentre nel tuo seno di pietra abita un cuore
Che crimine o rimorso mai potrà divorare,

Io pallido, disfatto, fuggo col mio sudario,
Sgomento di morire se dormo solitario.

S. Mallarmè

martedì 7 luglio 2009



TEMPORALE

Un bubbolio lontano...
Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare,
tra il nero un casolare,
un'ala di gabbiano.

Giovanni Pascoli, Myricae

La Pioggia nel Pineto




Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto austral
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce dal mare
or s'ode
su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.


(Gabriele D'Annunzio 19°-20° secolo)


In questo giorno di pioggia mi sembrava logico riproporre questi versi, è forse il D'Annunzio migliore, quello aulico e bucolico che vede nell'ambiente intorno a lui il vero mondo vivente e ci vuole vivere con intensità cercando di trasmettere coi versi non solo bellissime imagini ma anche colori e sapori ed odori e profumi.
Mi piace questa poesia, forse perchè vorrei averla scritta io stesso, o forse solo perchè mi richiama alla mente quella pace e serenità che troppo spesso mi sfugge, mi manca.
Il cielo durante il temporale è cupo come un'anima in pena e le nuvole corrugano la fronte di quell'anima fino a farla imbronciare.
Ora è un suono di campane che mi presenta ad un nuovo mattino.


lunedì 6 luglio 2009

Vele sull'Adriatico



Rientran lente dalle liete pesche
sette vele latine,
e portan seco delle ondate fresche
di fragranze marine.

Son bianche, rosse, gialle e su vi raggia l'occhiata ultima del sole;
s'allunga all'aura una canzon selvaggia
d'amore e di viole.

Nel ciel di perla le rondini brune
ricaman voli a sghembo;
non si vede del mar là tra le dune
che un cinereo lembo.

Il fiume è pieno di riflessi: a schiera
le sette vele stanche
vengono innanzi insieme con la sera:
son gialle, rosse e bianche.

Gabriele D'ANNUNZIO

venerdì 3 luglio 2009

PHILADELPHIA

Non ricordo bene...sicuramente era parecchi anni fa e questa canzone veniva trasmessa a raffica da tutte le radio private e inflazionava le trasmissioni radiofoniche e non. Credo che nessuno allora fosse realmente in grado di capire cosa succedeva agli ammalati di AIDS in America e nel resto del mondo, ma questo è un dettaglio.

Ora le cose sono molto diverse, il dramma non è più così drammatico tanto che si sta troppo abbassando la guardia su questa malattia. No comment. Rimane la canzone ed è un bene rimarcare quanto BS sia cambiato così come i tempi d'altra parte. Ma anche questo ha ben poca importanza...

Sono stato a Philadelphia molti anni dopo la canzone e vedere come tutti i turisti (americani e non) facessero a gara per andare a vedere la "famosa scalinata di Rocky" non è certamente stato edificante ma "sic est!".

Se vi va oltre al videoclip originale di BS vi suggerisco di guardare l'altro con spezzoni del film.

Titolo: Strade Di Philadelphia

Ero malridotto e non riuscivo a capire cosa sentivo Non riuscivo a riconoscermi Vedevo il mio riflesso in una vetrina e non riconoscevo la mia stessa faccia Oh fratello mi lascerai a consumarmi Sulle strade di Philadelphia Ho caminato lungo il viale finchè le mie gambe sono diventate come pietra Ho sentito le voci di amici spariti e partiti Di notte potevo sentire il sangue nelle vene Nero e sussurrante come la pioggia Sulle strade di Philadelphia Non c'è alcun angelo che venga a salutarmi Ci siamo solo io e te amico mio I miei vestiti non mi vanno più bene Ho camminato mille miglia Solo per sfuggire a questa pelle La notte è arrivata, sono sdraiato e sono sveglio Mi sento indebolire Quindi fratello ricevimi con il tuo bacio infedele O ci lasceremo soli così Sulle strade di Philadelphia

Streets Of Philadelphia (Bruce Springsteen)

I was bruised and battered And I couldn't tell what I felt I was unrecognizable to myself Saw my reflection in a window I didn't know my own face Oh brother are you gonna leave me wasting away On the streets of Philadelphia I walked the avenue till my legs felt like stone I heard the voices of friends vanished and gone At night I could hear the blood in my veins Just as black and whispering as the rain On the streets of Philadelphia Ain't no angel gonna greet me It's just you and I my friend And my clothes don't fit me no more I walked a thousand miles just to slip this skin The night has fallen, I'm lyin' awake I can feel myself fading away So receive me brother with your faithless kiss Or will we leave each other alone like this On the streets of Philadelphia

mercoledì 1 luglio 2009

...E l'ore...L'ore non passavan mai!




Ero fanciullo, andavo a scuola: e un giorno
dissi a me stesso: -Non ci voglio andare-
E non ci andai. Mi misi a passeggiare
solo soletto, fino a mezzogiorno.

E così spesso a scuola non andai
che qualche volta da quel triste giorno.
Io passeggiavo fino a mezzogiorno
e l'ore... l'ore non passavan mai.

Il rimorso tenea tutto il mio cuore
in quella triste libertà perduto,
e l'ansia mi prendea d'esser veduto
dal signor Monti, dal signor dottore.

Pensavo alla mia classe, al posto vuoto,
al registro, all'appello (oh, il nome, il nome
mio nel silenzio!) e mi sentivo come
proteso nell'abisso dell'ignoto...

Infine io mi spingea fino ai giardini
od ai viali fuori di città;
e mi chiedevo: -Adesso chi sarà?
interrogato, Poggi o Poggiolini?

E fra me ripetevo qualche brano
di storia (Berengario... Carlo Magno...
Rosmunda...) ed era la mia voce un lagno
ritmico, un suono quasi non umano...

E quante, quante volte domandai
l'ora a un passante frettoloso; ed era
nella richiesta mia tanta preghiera!
Ma l'ore... l'ore non passavan mai!


Marino MORETTI

A cinque Lune da Nobegmor (X)

CAPITOLO X°


- Svegliati Gujil ...
Svegliati!
A quelle parole il corpo del Principe si scosse in un fremito e cominciò a ridestarsi.
Gujil aprì di colpo gli occhi e lo vide.
Ai bordi del fuoco, seduto su un ceppo, Noretex lo stava fissando.
- Come diavolo ... - cominciò la frase il giovane mentre con le mani si stropicciava gli occhi ancora gonfi di sonno.
- Non chiederti spiegazioni di cose che non potresti comprendere, - disse il vecchio alchimista prevenendolo - siamo qui e tanto ti basti.
- Siamo? - chiese Gujil e d'istinto roteò il capo per abbracciare un più ampio campo visivo.
Immediatamente si accorse che il corpo del basilisco era sparito dalla radura e vide al suo posto un unicorno brucare con tranquillità la tenera erba cresciuta, come per incanto, dove prima era sterile terra riarsa e bruciata.
Lo sguardo pieno di domande nuovamente tornò ad osservare Noretex.
- E' Phuxarius, - disse il vecchio - ora è libero e nuovamente vaga per le terre di Opoflop ridonando pace e prosperità ma ha ancora legato a sé il sorriso di Arhiac.
No!
Non lo svegliare. - disse Noretex a Gujil che si era nel frattempo portato nei pressi del compagno ancora addormentato - E' molto stanco ed ha bisogno di riposo.
Ha vegliato su di te per buona parte della notte.
Devi andare Gujil!
Tornatene a Nobegmor altrimenti il dolore che in te è stato trasferito dall'anima del basilisco dilagherà annientandoti.
Ben poco può fare la mia arte ora, ma se tu decidessi di fare immediatamente ritorno a Ozman potrei ancora aiutarti ad arginare, per quanto mi è possibile, il maleficio perché più non si espanda nei tuoi pensieri e nei tuoi visceri.
Ma per ogni istante che fugge, per ogni momento, la possibilità di riuscita dell'incantesimo si va facendo più esigua.
Devi decidere ora.
Subito!
Quelle parole sortirono nel petto di Gujil un effetto tremendo che lo lasciò tremante e senza fiato.
Il loro suono si ripeteva continuamente, in maniera martellante, nel suo cervello.
- Basta! - gridò mentalmente il giovane Principe portando le mani alle tempie e quell'effetto di cui era preda si dileguò all'istante ed egli ritornò padrone dei suoi pensieri.
Dopo un attimo di riflessione disse:
- No, Noretex.
Ho promesso a me stesso che sarei andato fino in fondo a questa storia e non mi posso deludere.
troppe volte ho erroneamente ceduto alle lusinghe delle strade più facili, ora voglio riuscire nel mio intento, o perire con esso.
Costi quello che costi porterò a termine ciò che intrapresi.
- Folle! - sbottò con un moto di stizza la voce del vecchio, ma subito riprese un suono più dolce e continuò - Sei folle piccole Gujil ma io ti ammiro per questo.
La tua determinazione non è frutto di scriteriato delirio ma amore.
Quell'amore che tu non sai ma in te è grande e possente.
Che il tuo sacrificio possa essere ricompensato come merita da chi tutto sa e a tutto provvede.
Sei un sognatore figliolo e la strada del tempo è cosparsa dei resti di chi, come te, ha dovuto soccombere alla cruda realtà.
Sei proprio sicuro in questa tua decisione?
Gujil assentì con il capo.
- Bene. - riprese Noretex - Tieni! - disse e da sotto il mantello estrasse un'ampolla ricolma di un liquido verde che pareva vivente e si agitava racchiuso dalle fragili pareti di vetro opalino.
- Abbine cura, - continuò il vecchio - in essa c'è un filtro che contiene l'essenza del sorriso di Arhiac.
Va da lei, a Sinocon; sarai ricevuto con accoglienze regali.
Quando, a sera, Arhiac vorrà intrecciare con te i sacri calici dell'amicizia versa il contenuto nella di lei coppa così che bere lo possa e riavere ciò che io le dovetti carpire.
Buona fortuna mio giovane amico!
Così disse e svanì.
Il Principe sentì che non lo avrebbe mai più rivisto e ne provò sofferenza.
Sistemò l'ampolla preziosa nel tascapane che gli pendeva dal fianco e si accinse a destare Mizaurio.