lunedì 27 aprile 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (VI)

CAPITOLO VI°


- Sei tu mio Gujil ... - mormorò con flebile voce Mizaurio riprendendo i sensi - credevo di averti perduto per sempre!
- Sono io Mizaurio. - gli rispose il giovane Gujil con gli occhi che lasciavano trasparire l'intensa emozione.
Sorreggendolo con un braccio lo aiutò ad alzarsi mentre, con la mano libera, continuava ad accarezzargli affettuosamente il volto ancora impallidito e trasfigurato.
Il respiro di Mizaurio agitava, affannandolo, il petto dello scudiero.
- Ce l'avete fatta figlioli!
Per tutti i maghi dell'universo ce l'avete proprio fatta per un pelo! - ruppe la dolce intimità creatasi tra i due amici la voce di Noretex.
Il vecchio, eccitato e felice come una pasqua, si precipitò verso il pugno ancora saldamente serrato di Mizaurio e gli tolse dalle dita il piccolo ciuffo d'erba rossastra.
Al caldo contatto della mano di Noretex gli steli, che sotto la tenace stretta dello scudiero si erano afflosciati, ripresero nuovo vigore e, cominciando ad agitarsi quasi fossero mossi da un'invisibile brezza, si rizzarono dritti.
- bravi, bravi, - disse Noretex mentre li accarezzava lievemente - mi riconoscete vero?
Poi rivolgendosi a Gujil e Mizaurio disse loro seccamente:
- Ora seguitemi e cercate di non combinare altri guai, almeno per oggi, semmai vi è possibile farlo.
Ciò detto si diresse a passi spediti verso una stretta porta.
I due amici lo seguirono docilmente senza fiatare.
Superato quell'angusto ingresso apparve un enorme salone nel centro del quale si poteva sorgere un fuoco perfettamente ordinato su cui era posto un grande calderone.
Le fiamme, con l'intenso calore che sprigionavano, ne facevano ribollire il contenuto.
- Eccoci arrivati, - disse Noretex - ora voi sedetevi là! - continuò additando a Gujil e Mizaurio due rudimentali sedili posti in un angolo a malapena illuminato dai bagliori del fuoco- E, per favore, state fermi!
ciò detto si diresse a passi spediti alla volta del calderone.
Quando giunse mescolò, con un lunghissimo mestolo di legno, minuziosamente il contenuto.
Intanto pronunciava frasi incomprensibili a punta di labbra. dopo alcuni minuti di attento lavoro il vecchio smise la sua opera e, sollevando con ambedue le mani verso la volta della caverna il piccolo e purpureo ciuffo d'erba, pronunciò una frase ad alta voce che Gujil interpretò essere una formula magica dopodiché gettò il contenuto prezioso dei suoi pugni nella misura ribollente.
Immediatamente il borbottio della grande pentola cessò ed il suo contenuto parve acquietarsi; ma fu per un attimo.
La mistura riprese subito ad agitarsi e ricominciò a bollire rumorosamente.
- Ecco fatto! - disse il vecchio Noretex - ora è tutto a posto; non ci resta che aspettare.
So che ci vorrà parecchio tempo prima che questo filtro venga pronto.
Bofonchiando qualcosa tra i denti Noretex andò a sedersi su un antico scranno a poca distanza dai suoi due ospiti.
- Vi vedo tesi- - disse dopo una lunga e tirata pausa - Volete spiegarmi per quale motivo ancora la diffidenza in voi si annida come una serpe pronta a colpire un nemico?
Le parole di Noretex echeggiarono a lungo nell'ampio salone prima di smorzare definitivamente i loro suoni.
finalmente Gujil, alzandosi dal suo sedile, si fece coraggio, si rivolse a quello strano vecchio loro di fronte e gli disse:
- Ascoltaci ora.
Perché non provi a metterti nei nostri panni?
Ti sembra poi una cosa così inverosimile questo nostro stupore di fronte a ciò che da alcune ore ci sta capitando tra capo e collo?
Può darsi che le tue risposte riescano a diradare questo muro di nebbia e di diffidenza che ci sta separando dagli oscuri tuoi propositi di cui noi facciamo evidentemente parte.
Così disse Gujil di Ozman e le sue parole fluttuarono leggere come fossero neve prima di raggiungere l'attento ascolto del vecchio Noretex.
La grande stanza evocava plastici giochi di ombre e di luci, animati dai riverberi del fuoco, che danzavano senza peso sulla grezza e screpolata roccia delle nude pareti.
Nell'aria, era sospeso come un aroma impalpabile che donava la quiete ed invitava i polmoni di Gujil a larghi e tranquilli respiri.
Gli ultimi avvenimenti avevano duramente provato il corpo e lo spirito dei due amici e quella dolce atmosfera massaggiava la loro mente ed i loro muscoli quasi fosse un efficace, potentissimo, balsamo.
In loro era scomparsa la paura che acceca i pensieri ed era stata presto sostituita da una curiosità più che legittima.
Di questo, e di altro, si accorse il vecchio Noretex nella sua lunga pausa riflessiva.
Decise così di soddisfare il desiderio di conoscenza che Gujil aveva espresso a parole e che in Mizaurio si poteva leggere negli occhi.
- Così volete e sia! - cominciò con tono pacato - Come già vi dissi a suo tempo io sono Noretex.
Da sempre la mia vita cammina con Opoflop e la sua gente.
Ricordo, quando ero un ragazzo, la mia inclinazione verso tutto ciò che pareva legato all'arcano.
Così passai la mia adolescenza alla ricerca di un maestro che fosse in grado di avviarmi all'alchimia.
Ancora giovane giunsi nei pressi di questa caverna indicatami involontariamente dai discorsi di alcuni maldestri maghi ubriachi di passo a Sinocon.
Quando arrivai trovai sulla porta un arzillo e buffo vecchietto che mi disse:
- Ti stavo aspettando giovane Noretex. -
Era Ibaghin.
- Entra. - mi disse.
Ed io entrai.
Dopo avermi rifocillato mi chiese di mostrargli quello che ero in grado di fare.
Ricordo che sorrise affabilmente di fronte ai miei miseri trucchi e che, guardandomi con occhi sinceri e bonari mi disse:
- hai molto da imparare! -
Furono anni meravigliosi.
Ibaghin mi insegnava ed io, velocemente, apprendevo.
Così divenni alchimista e cominciai a manovrare l'arcano.
Quando seppi le intenzioni di Drosan fui io a raccontare alla mente addormentata della bella Arhiac il pericolo che correva Phuxarius e, per salvare il reame di Opoflop, le tolsi dalle labbra il sorriso e lo portai all'unicorno perché lo potesse proteggere dal pugnale dello stregone.
Fu una scelta dolorosa, credetemi, ma fu l'unica che io potessi decidere per salvare Arhiac ed Opoflop.
Ma alle brame di Drosan occorreva una vittima.
Fu un lento e potente veleno sconosciuto che carpì la vita del Re padre di Arhiac.
Nessuno antidoto da me sperimentato poté salvarlo dalla sua triste fine e, da allora, io sto qui ad attendere che un essere umano spinto da un sentimento nobile ed ignaro ai segreti della magia, che tutto muove e fa, possa con il suo coraggio affrontare le prove che dividono Arhiac ed Opoflop dalla loro perduta gioia.
Ho sperato che quell'uomo fossi tu. Gujil di Nobegmor Principe di Ozman e i fatti pare mi stiano dando ragione.
Figliolo, voglia il cielo che tu possa riuscire in un così nobile intento!
Così concluse Noretex il suo racconto fissando nei volti Gujil e Mizaurio.
Il borbottio del calderone continuava con monotono suono agitando il silenzio che pervadeva l'ambiente.
Gujil, con passi calmi, camminò in direzione dell'alchimista sotto lo sguardo rilassato del fedele scudiero.
Il Principe si inginocchiò al cospetto di Noretex e gli prese le mani tra le sue stringendole dolcemente.
-Perdona la mia irruenza saggio uomo, - cominciò con voce pacata - noi non potevamo sapere ciò che udimmo dalle tue labbra.
- Lo so, - rispose il vecchio - non ti devi scusare per la vostra ignoranza.
Chi non sa e vuole sapere ha diritto di sapere.
Sarebbe come affrontare l'ignoto senza essere sorretti dalla voglia di scoprire quali misteri esso celi.
Non ha senso lottare se non si ha una ragione che ci spinga alla lotta.
Alzati Gujil.
Tu sei Principe, io non sono che un vecchio mago.
Non ti chiedo rispetto, ti chiedo aiuto.
- Avrai da me ambedue le cose. - disse Gujil.
Mizaurio, fino ad allora rimasto in disparte, raggiunse i due uomini nei pressi del fuoco.
La luce gettava sui loro volti i rossastri riverberi delle fiamme ammantandoli e trasfigurandone la loro espressione.
- Sarete molto stanchi, - proseguì l'alchimista ponendo loro le mani sulle spalle - dovete ora dare riposo ai vostri occhi affaticati affinché anche il corpo e la mente riacquistino il vigore e la forza senza i quali l'intero essere vacilla di fronte alle fatiche del giorno.
Così disse.
Si alzò dallo scranno e, indicando ai due compagni di seguirlo, si diresse verso una porta seminascosta da una tenda amaranto.
Dopo che tutti ne ebbero varcata la soglia vennero a trovarsi in una stanza molto più piccola della precendente. Gujil e Mizaurio notarono, appoggiati alla parete, due letti rudimentali.
Il resto della mobilia era rappresentato da una sola sedia fatta di legno e da un enorme candelabro d'ottone che reggeva appena due candele semiconsumate.
Queste, ad un gesto di Noretex, si accesero come per magia.
- Sono dispiaciuto di non potervi offrire più di quanto vedete, - commentò il vecchio alchimista - ma chi sta per essere vinto dal sonno non dovrebbe prestare particolare attenzione al posto in cui dormirà il suo riposo.
Ci rivedremo più tardi.
Si accomiatò da loro e ritornò nella sala più grande.
Gujil e Mizaurio, non appena toccarono il rude pagliericcio che ricopriva il fondo dei loro giacigli, caddero in un sonno profondo e senza sogni.

sabato 25 aprile 2009

Il Partigiano GINO (Angelo Zanoni)

Della morte di Angelo Zanoni due sono le versioni pubblicate dalla stampa; una sull' organo repubblichino Regime Fascista, l'altra del Nuovo Torrazzo che nel Settembre del 1945 riaffermò la verità riportando prima il testo del foglio di regime, poi la versione reale come riproposto:

Angelo Zanoni
dal Nuovo Torrazzo del 16 settembre 1945

"Nella giornata di Sabato, un milite del Comando plotone di crema della GNR, trovandosi in servizio ad Izano, veniva a conoscenza che un disertore, da tempo ricercato, era giunto in famiglia. il milite si presentava subito all'abitazione del ricercato, Angelo Zanoni di Marco, dellka classe 1921, e lo invitava a seguirlo. Ne seguiva unqa colluttazione. Il Zanoni, atterrato e ferito il legionario contro un mobile della cucina, si dava alla fuga. Il milite inseguiva il disertore, al quale intimava parecchie volte il fermo, sparando in aria contemporaneamente quattro colpi di pistola. Rimaste inutili le intimazioni, l'inseguitore faceva fuoco sul fuggitivo, colpendolo alla reguione scapolare destra. Il Zanoni è stato trasportato all'ospedale maggiore di Crema, dove trovasi ricoverato con prognosi riservata."

Così il Regime Fascista del 20 Marzo 1945. cronaca casalinga che ha profondamente disgustato la popolazione che era a conoscenza dei fatti, come realmente sono accaduti. Ristabiliamo perciò la verità.
Innanzitutto i militi scesi per procedere all'arresto erano quattro. Due si sono fermati in cortile nascosti da una catasta di legna, e due si sono presentati in casa. Il Zanoni all'intimazione di seguirli non oppose alcuna resistenza, però, giovane audace e coraggioso, approfittando di un momento di distrazione dei militi, infila la porta e via velocemente verso il cancello. Appena fuori, si accorge dell'imboscata, ma ormai è troppo tardi e tenta il tutto per tutto.
I militi gli sparano addosso parecchi colpi ferendolo gravemente al polmone (sprandogli alla schiena...ndr). Ciò nonostante il Zanoni riprende la corsa per guadagnare la via dei campi ma, dopo un centinaio di metri, stramazza esausto. Uno dei feritori, che erano sopraggiunti sparando,, vedendo che il ferito tenta di rialzare la testa invocando la madre, gli spara addosso altri colpi, ferendo al basso ventre e, per colmo di malvagità, lo schiaffeggia. Poi alla madre angosciata che vuol soccorrere il figlio intima con le armi di allontanarsi.
Non occorrono commenti.
Del resto Gino ha subito perdonato, e la giustizia ha già assolto il suo compito.
In seguito il Zanoni, trasportato all'ospedale maggiore di Crema, vi rimase degente per 21 giorni, nella lotta atroce del fisico resistente che non voleva soccombere al male.
Ma anche nei momenti di spasimo, lo spirito di Gino è sempre stato vivo, sereno, allegro. A me, un giorno che ero andato a trovarlo, disse: "Vedi, non sono ancora morto...Sono duro, io, a morire!...Però...anche se muoio non me ne importa niente, sono già preparato. La mia forza è tutta in Lui..." E guardò sereno e fiducioso il Crocefisso della sala.
Il solo dispiacere per lui era di dover abbandonare la famiglia, che sapeva bisognosa d'aiuto. E mi parlò a lungo, serenamente e con un'ammirabile forza d'animo della morte, della sua carriera e dei suoi ideali infranti! E concluse: "succederà quel che Dio vorrà!"
A nulla valsero le cure dei medici e le preghiere dei famigliari e degli amici.
Egli oggi dal cielo certamente benedice e protegge i suoi compagni sorti a combattere per la santa Causa. Se Gino fosse ancora vivo, sicuramente sarebbe stato uno dei primi a prendere le armi per la conquista della libertà...Invece venne atterrato quasi alla viglia dell'azione e con lui caddero i suoi nobili propositi.
Ancora una volta ci stringiamo commossi e solidali intorno alla sua eroica figura ed assicuriamo che il ricordo di Gino non perirà. A monito di noi sopravvissuti.
G.T.


giovedì 16 aprile 2009

A Cinque Lune da Nobegmor (V)

CAPITOLO V°


- Gujil ..! Gujil ..! - urlò terrorizzato Mizaurio nell'attimo stesso in cui il giovane Principe venne avvolto completamente dalla spira di scintille che sprizzavano da tutte le parti.
Si gettò come un lampo verso di lui ma, nell'attimo esatto in cui lo stavo per afferrare, il Principe di Ozman scomparve e Mizaurio si trovò ad abbracciare il vuoto.
Cadde a terra rovinosamente; si rialzò bestemmiando con gli occhi invasi dalla paura.
- gujil ..! mio Gujil ..! - chiamò ancora a gran voce proiettando il suo sguardo per tutta la distesa della caverna ma, di Gujil, non rinvenne alcuna traccia.
Dopo un attimo di inevitabile smarrimento si riebbe ma ancora non riusciva a darsi ragione di com'era potuta accadere un'assurdità del genere.
Si inginocchiò nel punto esatto in cui la figura del suo amato Principe aveva lasciato spazio al nulla e, picchiando selvaggiamente i pugni sul terreno roccioso, pianse ripetendo con voce straziata dalla rabbia e dal dolore quel nome che tanto gli era caro.
Quando calmò la sua sofferenza e si fu capacitato di quanto era realmente accaduto poté udire la voce di Phuxarius.
l'unicorno lo stava concitatamente chiamando.
- Presto Mizaurio! Presto Mizaurio! - ripeteva ossessivamente e con foga il mitico animale scalpitando con gli zoccoli sulla roccia provocando un rumore infernale - Il corso del magico disegno intessuto da Noretex si va rapidamente alterando!
Fai presto Mizaurio! - continuò l'unicorno con un aspro timbro di voce - Corrimi appresso prima che le situazioni tracciate dall'incanto si mescolino in maniera irreparabile!
Mizaurio meccanicamente obbedì.
- Str...ap...pa ques...t'er...ba che ser...ve a...l mio p...as...to ed ag...grap...p...ati a...d e...ss...a!
- disse Phuxarius la cui figura già stava tremolando e confondendo la sua fisionomia con quella dell'ambiente circostante che sembrava stesse diventando di consistenza evanescente.
- Str...p...pa...la s...en...za tim...ore e str...in...g...i...la f...or...te c...on la tua pr...esa!
Fa...ll...o o...ra!
S...u...bi...to!
Pr...i...ma c...he sia tr...o...pp...o tar...di!
Quelle ultime parole giunsero ormai confuse ed appena intellegibili ai sensi dello scudiero.
Mizaurio, captato il senso intrinseco più che il significato reale di quei suoni confusi, si precipitò carponi ad afferrare i pochi steli che erano rimasti visibili e, con la mano destra, riuscì ad aggrapparsi ad un folto cespuglio che ancora era rimasto concreto.
Nell'attimo stesso in cui la sua mano cinse sicura quell'ultimo appiglio rimasto reale, sentì che tutto il suo corpo veniva proiettato in una dimensione diversa.
L'essenza di ciò che era Mizaurio vagò per una brevissima eternità in un'irrealtà incredibile in cui si rivide bambino e già vecchio, circondato da visioni di sogno e da incubi atroci.
Vide l'unicorno che galoppava lontano e libero sull'arcobaleno.
Vagò, con quell'erba stretta nel pugno, assaporando il colore del tempo.
Vide il mondo all'origine ed alla sua fine.
Si riaffacciarono alla sua memoria ricordi scordati e si stampò nella sua mente provata l'immagine della sua nascita e quella della sua morte.
L'incubo finì quando si ridestò, con il suo prezioso appiglio, e si accorse che due poderose e robuste braccia lo stavano sostenendo con forza.
Aprì gli occhi e riconobbe immediatamente il suo soccorritore.

domenica 12 aprile 2009

Save a Prayer

In quegli anni la musica che girava intorno non era particolarmente brillante, c'era qualche cosa di buono ma sostanzialmente regnavano i ritmi da discoteca ed io non sono mai stato attirato da loro. Nello squallore generale questo pezzo dei Duran Duran mi è rimasto in mente, grazie soprattutto al meraviglioso video che accompagnava la canzone e che ripropongo insieme al testo e ad una buona traduzione.
In questa mattinata pasquale l'idea di una preghiera (irrelevante il credo) per queste giornate tristissime penso che non sia fuori luogo, anzi; è' il mio piccolo, insignificante, modo di partecipare ad un dolore immane, cosmico, che non ha spiegazioni, nemmeno religiose.
Io, personalmente credo che la terra sia stanca di noi, di tutte le brutture di cui siamo capaci e del male che le facciamo. Ogni organismo vivente cerca di contrastare le infezioni come meglio può. Forse noi siamo un'infezione per la terra.
Riflettiamoci.

You saw me standing by the wall, Corner of a main street
And the lights are flashing on your window sill
All alone ain't much fun, So you're looking for the thrill
And you know just what it takes and where to go
Don't say a prayer for me now, Save it 'til the morning after
No, don't say a prayer for me now, Save it 'til the morning after
Feel the breeze deep on the inside, Look you down into your well
If you can, you'll see the world in all his fire
Take a chance (Like all dreamers can't find another way)
You don't have to dream it all, just live a day
Don't say a prayer for me now, Save it 'til the morning after
No, don't say a prayer for me now, Save it 'til the morning after
Save it 'til the morning after, Save it till the morning after
Pretty looking road, Try to hold the rising floods that fill my skin
Don't ask me why I'll keep my promise, Melt the ice
And you wanted to dance so I asked you to dance
But fear is in your soul
Some people call it a one night stand
But we can call it paradise
Don't say a prayer for me now, Save it 'til the morning after
No, don't say a prayer for me now, Save it 'til the morning after
Save it 'til the morning after
Save it 'til the morning after
Save it 'til the morning after
Save it 'til the morning after
Save a prayer 'til the morning after

Duran Duran, Rio, 1982

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Salva Una Preghiera
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Mi hai visto aspettare appoggiato al muro All’angolo della strada principale E le luci riflettevano sul davanzale della tua finestra Da sola ti annoiavi Così hai cercato un’emozione E sapevi solo cosa ci voleva e dove andare Non dire una preghiera per me adesso Tienila per la mattina dopo No, non la dire adesso Salvala per la mattina dopo Sento una brezza dentro nel profondo Ti guardo giù in fondo Se puoi, vedrai il mondo in tutto il suo bruciare Cogli l’opportunità (come per tutti i sognatori è l’unica strada) Ma tu non devi sognarlo tutto, ma vivere un giorno Una strada di bell’aspetto, Cerca di trattenere le crescenti inondazioni che riempiono la mia pelle Non chiedermi perché manterrò la mia promessa, Scioglierò il ghiaccio Così volevi danzare e mi hai chiesto di danzare Ma la paura è nella tua anima Alcuni la chiamerebbero storia di una notte Ma noi possiamo chiamarlo paradiso Non dire una preghiera per me adesso Tienila per la mattina dopo No, non la dire adesso Salvala per la mattina dopo


sabato 11 aprile 2009

Il Buon Compagno


Non fu l'Amore, no. Furono i sensi
curiosi di noi, nati pel culto
del sogno... E l'atto rapido, inconsulto
ci parve fonte di misteri immensi.

Ma poi che nel tuo bacio ultimo spensi
l'ultimo bacio e l'ultimo sussulto,
non udii che quell'arido singulto
di te, perduta nei capelli densi.


E fu vano accostare i nostri cuori
già riarsi dal sogno e dal pensiero;
Amor non lega troppo eguali tempre.

Scenda l'oblio; immuni da languori
si prosegua più forti pel sentiero,
buoni compagni ed alleati: sempre



Guido Gozzano

venerdì 10 aprile 2009

Macchie dal passato

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La volontà di macchiare le tele come non fossero altro che ampi spazi in cui dipingere ed imprimere la propria anima tormentata.
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E le macchie si allargono e si fondono in colori sfumati carichi di passioni e sentimenti quasi fossero specchio di un traslato imponente che comporta emozioni luminose.
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Questa sembra essere quello che ha fatto Giovanni Fattori nella sua vita di artista, in un contesto impegnativo fatto di grandi maestri d'Oltralpe spinti da impressioni così intense da togliere il fiato e provare il cuore con strette ed aneliti.

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A quei momenti che sembravano così bizzarri i nostrani macchiaioli
rispondevano con pacati colpi di pennello e delicate figure che presagivano il cambio del secolo cercando di contenere l'innovazione e la tecnologia proponendo scene di lunghe vedute e calme proiezioni prospettiche.
Giovanni Fattori ha prospettive immote permeate da attimi irripetibili fermati come in uno scatto fotografico eppure così pieni di vitalità e movimento.
Luci dirette ed ombre appena accennate e, sopra tuttto, la macchia intesa come fonte del tutto.

Non esistono archetipi, prototipi, ma solo immagini e creazioni ed un grande senso di spazio e di pace a prorompere dalle tele, sia raffigurino marine tranquille od assolate colline.
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Le sue figure umane rientrano quasi come fossero parte integrante di una novella appena abbozzata, di un racconto accennato ma mai concluso e comunque sempre infinito.
Lui è lì, sempre presente, presenza palpabile ma invisibile come una narratore dalla voce suadente di cui si odono parole ma non si conoscono i lineamenti.


Il pennello diventa quindi una penna e le macchie sono lettere e inchiostro di un infinito alfabeto in grado di comporsi, scomporsi e ricomporsi nuovamente a raccontare la vita ed i luoghi, a descrivere lavoro e riposo.


Peccato siano così poco conosciuti i pittori macchiaioli.

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Biografia e vita di Giovanni Fattori (1825-1908)

Giovanni Fattori nasce a Livorno il 6 settembre 1825.
Dopo aver studiato con G. Baldini a Livorno, nel 1846 si trasferisce a Firenze. A Firenze, nel 1847, Giovanni Fattori diventa allievo di Giuseppe Bezzuoli (autore di grandi quadri storico-romantici).Il 1848 vede Giovanni Fattori coinvolto nei moti risorgimentali, con il compito, modesto ma pericoloso, di fattorino del Partito d'Azione, ossia di distributore di fogli "incendiari". L'anno seguente assiste all'assedio di Livorno che lascerà in lui un'impressione indelebile. Le battaglie risorgimentali, che saranno tante volte oggetto delle sue pitture, sono per lui la strada per raggiungere non solo l'unità d'Italia, ma soprattutto un mondo sociale nuovo, libero, onesto e giusto. All'inizio del 1852 inizia a frequentare il Caffè Michelangelo sito in via Larga, dove si ritrovano gli artisti Odoardo Borrani, Telemaco Signorini e Vito d'Ancona che intorno al 1855, costituiscono il gruppo dei Macchiaioli. A Firenze si entusiasma anche del colore di Domenico Morelli, ma Giovanni Fattori non aderisce subito alle nuove esperienze e fino al 1859 dipinge in maniera tradizionale, seguendo il gusto romantico. Al 1854 risale l'Autoritratto, primo quadro di qualità elevata, intonato su un cromatismo terso di toni bruni e bianchi accesi. Fra il 1855 e il 1857 Giovanni Fattori partecipa alle diverse edizioni della Promotrice fiorentina, nelle quali espone dipinti di argomento storico-letterario.
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Determinante per l'orientamento artistico di Giovanni Fattori è l'incontro con Nino Costa, per consiglio e incoraggiamento del quale presenta al concorso per la celebrazione della guerra del 1859 (vincendolo) il "Campo italiano dopo la battaglia di Magenta" (1862), il primo quadro italiano di storia contemporanea. Nel 1861 esegue I fidanzati e il Ritratto della cugina Argia. Si trasferisce a Livorno per alleviare le sofferenze della moglie, malata di tisi ed esegue tre grandi dipinti: Acquaiole livornesi, Le macchiaiole e Costumi livornesi. Nel 1867, dopo la morte della moglie, Giovanni Fattori è ospite di Diego Martelli a Castiglioncello, dove esegue i ritratti di lui e della moglie. Nel 1869 viene nominato professore all'Accademia di Firenze. Alcuni anni più tardi, nel 1873, Giovanni Fattori compie il primo viaggio a Roma, dove esegue alcuni dipinti, come i Barrocci romani. Nel 1875 è a Parigi con alcuni allievi. Al ritorno è ospite della famiglia Gioli a Fauglia, dove dipinge amabili ritratti femminili. Nel 1880 esegue Lo scoppio del cassone e Lo staffato. A quel tempo comincia a trattare soggetti campestri, che lo portano nel 1885 a soggiornare presso il principe Tommaso Corsini nella tenuta della Marsigliana. In quell'occasione Giovanni Fattori trae spunti per alcuni suoi quadri quali La marca dei puledri e il Salto delle pecore, esposti entrambi a Venezia nel 1887. In questi anni ottiene anche la cattedra di paesaggio all'Accademia di Firenze, dove dal 1869 insegna come incaricato. Alla fine del decennio esegue il Ritratto della figliastra e quello della seconda moglie. Nel 1905 si risposa per la terza volta con Fanny Martelli, anch'essa ritratta in uno dei suoi dipinti. La sua attività è intensa fino all'estrema vecchiaia, come dimostrano le numerose opere che espone con regolarità alle rassegne d'arte italiane e straniere.
Giovanni Fattori muore a Firenze il 30 agosto 1908.
E' stato il maggior pittore della macchia e forse di tutto l'ottocento italiano. Giovanni Fattori spesso nel corso della sua vita aveva sostenuto di non credere che per fare un artista occorra la cultura esatta e tuttavia questo essere "omo sanza lettere" è stata forse la sua principale arma, quella che gli ha permesso di essere solo sé stesso, un artista libero creatore, privo di condizionamenti culturali

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lunedì 6 aprile 2009

A Cinque lune da Nobegmor (IV)

CAPITOLO IV°


- Ben arrivato ragazzo.
Ce ne hai messo del tempo. - disse il vecchio Noretex rivolgendosi a Gujil.
Questi, con ancora le mani serrate a trattenere la spada vibrante del tremendo contraccolpo provocato dall'urto contro la catena, non sapeva capacitarsi dell'accaduto.
- ma ... com'è possibile ...? - balbettò con un filo di voce senza mascherare l'enorme stupore e la paura che si erano destati in lui - Tu ... tu sei quel vecchio di ieri ..! - continuò in un'esclamazione rivolta al suo interlocutore.
- Beh, beh, vecchio ..., figliolo non esageriamo.
Direi non più giovane se mi trovassi io al tuo posto.
Questa gioventù non sa più neanche cosa sia il rispetto.
A voi tutto è dovuto e basta!
E metti via quella spada ragazzo, le armi hanno il potere di mettermi in agitazione.
- Cosa ci faccio qui ? E ... dov'è finito Mizaurio?
Se tu gli hai fatto del male io ... - urlò Gujil mostrando al vecchio la spada con fare minaccioso.
- Domande , sempre domande.
Possibile che tutti non sappiate fare altro che domande?
Metti via quella spada ti ho detto!
Intimorito da quel tono imperioso che niente di buono lasciava trasparire, Gujil obbedì e calmò forzatamente la sua ira.
- Oh! - esclamò Noretex - così va molto meglio.
Si, molto meglio.
Se tu riflettessi attentamente, prima di compiere ciò che il tuo istinto impulsivo ti propone di fare, eviteresti un sacco di guai figliolo.
Prima di agire cerca di dare coerenza ai tuoi pensieri e sarà meglio per tutti.
Beh, bando alle ciance, dammi quello che ti ha detto di portarmi Phuxarius, sono ore che aspetto quell'ultimo ingrediente.
Il filtro ha già bollito abbastanza e non vorrei mai che questo spiacevole contrattempo abbia guastato il suo sapore così delizioso.
Ciò detto distese la mano verso il Principe.
- Allora ragazzo, non vorrai farmi perdere altro tempo. - continuò - E' vero che ho già atteso tanto ma anche la mia infinita pazienza ha un limite.
Ti vuoi decidere a darmi ciò che hai preso nella caverna dell'unicorno?
A quella domanda lo stupore di Gujil, che già era grande, divenne ancora più grande.
- ma ... - farfugliando disse - io non ho proprio niente da darti.
- Come niente? - chiese Noretex con aria indagatrice e perplessa.
- Non ho niente. - continuò Gujil - Non c'era niente nella grotta che io potessi prendere e portarti.
Phuxarius non mi diede nulla.
- Allora, presto, raccontami cosa è successo! - disse Noretex.
Spaventato dall'inflessione del vecchio, Gujil espose velocemente il succo degli ultimi avvenimenti.
Quando finì scorse affacciarsi sul volto rugoso di Noretex l'aria di una cupa, preoccupata e torva espressione.
- Stolto uomo! - ruppe quel momentaneo silenzio la roca voce di Noretex - Con il tuo sciocco comportamento irruente e fuori luogo hai incrinato irrimediabilmente il filo dell'incantesimo da me così faticosamente evocato.
Hai provocato una distorsione nel campo magico dei movimenti.
Hai rovinato tutto!
Tutto!