Renzo Barsacchi
(aprile 1924 - luglio 1996) è una delle voci più valide nel panorama della poesia del secondo Novecento.
Poeta autentico e originale descrive il quotidiano, animato da un desiderio costante e a volte angoscioso di un diverso, cioè di uno spazio ulteriore ricco di libertà e significato.
La giuria del premio “Città di vita” composta da Carlo Betocchi, Margherita Guidacci e Nicola Lisi nell’assegnargli il primo premio così si esprimeva: “I ritmi scabri e spezzati, non per un artificio formale ma per una necessaria corrispondenza con gli aspri e inquieti moti dell’anima, sono molto personali e rivelano un temperamento ben definito, inconfondibile e autentico”. “Il discorso poetico di Barsacchi non implica confini di genere, ma è discorso libero, nutrito di libertà spirituale, che aiuta a credere proprio perché è tutto disinteressato, ed è, così, liberamente poetico” scrive di lui Ferruccio Ulivi. E Giorgio Bárberi Squarotti: “Il colloquio di Barsacchi con il Dio nascosto mi riempie sempre di commozione e di partecipazione” (dalla rete).
Non era lì la speranza
Non era lì nell’incetta d’anime
nella raggera dei volti,
nel mattino di guglie dei nostri figli,
non era lì la speranza
ma nel suo stesso mistero, nella sua nudità. Ci
dev’essere
una tenebra che dia luce,
un silenzio che parli, solitudine che corrisponda
perché la morte sia da vivere, perché la sua falce
resti sospesa sul campo vuoto ed il grano
già mietuto la renda
falce di luna. E che resti la pula per la fame del ventio.
Libera dai covoni le allodole.
La pioggia
si abbatterà inutilmente
sui gambi mozzi che furono la nostra figura.
Renzo Barsacchi
Marinaio di Dio cit., p.77
Ernesto Messa, Ritratto di Piera |
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