martedì 30 aprile 2013

Poesia e riflesso



La nonna


Tra tutti quei riccioli al vento,
tra tutti quei biondi corimbi,
sembrava, quel capo d'argento,
dicesse col tremito, bimbi,
sì... piccoli, sì...
E i bimbi cercavano in festa,
talora, con grido giulivo,
le tremule mani e la testa
che avevano solo di vivo
quel povero sì.
Sì, solo; sì, sempre, dal canto
del fuoco, dall'umile trono;
sì, per ogni scoppio di pianto,
per ogni preghiera: perdono,
sì... voglio, sì... sì!
Sì, pure al lettino del bimbo
malato... La Morte guardava,
La Morte presente in un nimbo...
La tremula testa dell'ava
diceva sì! sì!
Sì, sempre; sì, solo; le notti
lunghissime, altissime! Nera
moveva, ai lamenti interrotti,
la Morte da un angolo... C'era
quel tremulo sì,
quel sì, presso il letto... E sì, prese
la nonna, la prese, lasciandole
vivere il bimbo. Si tese
quel capo in un brivido blando,
nell'ultimo sì.

Giovanni Pascoli
(Canti di Castelvecchio)


i seni vuoti
ed il cuore grande,
la testa ormai pesante
e i ricordi passati...

lunedì 29 aprile 2013

Preghiera Cheyenne

Concedimi, o Grande Spirito, di imparare
la lezione che hai nascosto in ogni foglia
in ogni sasso.
Io voglio essere forte,
non per dominare il mio fratello,
bensì per combattere il mio più grande
nemico: me stesso.
Fai in modo che io possa essere sempre pronto
a venire da Te con le mani pulite
e lo sguardo leale.
Così che, quando la mia vita finirà
al calare del tramonto,
il mio spirito si presenti a Te senza onta.


Preghiera Cheyenne


è un volo terso,
lontano da tutto;
è un attimo sereno
col sole che scalda;
è solo vento sotto di noi...

domenica 28 aprile 2013

Poesia ritrovata


Tu chiedimi

Tu chiedimi in silenzio
il dolore o la gioia,
discosta il velo del tempo
dal volto che ancora guardo.
In te un sorriso
appena accennato,
in me un colore
appena abbozzato.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

sabato 27 aprile 2013

Albatros



L'albatros

Io ero un uccello
dal bianco ventre
 gentile,
qualcuno mi ha tagliato
la gola
per riderci sopra,
non so.
Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari.

Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità

di suono.
Ma anche distesa per
terra io canto ora per te
le mie canzoni d'amore

Alda Merini




plurale o singolare
importa a chi sà?
la via è dietro di noi
ci guarda e poi
si cela...

I Diomedeidi (Diomedeidae G.R. Gray, 1840)
sono una famiglia di uccelli di mare dell'ordine Procellariiformes, comunemente conosciuti come albatros.
Sono tra i volatili più grandi della Terra e, addirittura, l'albatro urlatore (Diomedea exulans) è l'uccello vivente con l'apertura alare più grande al mondo.
Sono uccelli marino di grandi dimensioni, di colore bianco, con ali e coda parzialmente nere. Presentano una grande testa e un becco robusto e ad uncino.
L'apertura alare dei grandi albatri del genere Diomedea è la più grande fra tutti gli uccelli, arrivando fino a circa 340 cm, anche se le altre specie di albatri hanno aperture di dimensioni più contenute, attorno a 175 cm. Le ali sono robuste e leggermente curve, con estremità affusolate per migliorare la penetrazione aerodinamica (dalla rete)

venerdì 26 aprile 2013

Poesia e riflesso



Silenzio

Senti come bramisce presso le acacie, in aprile,
la frasca verdeggiante del pisello!

Nel suo netto vapore, verso Febea! vedi agitarsi la
testa dei santi d'un tempo...

Lungi dalle macine, dai promontori, dai bei tetti,
quei cari Vecchi vogliono questo filtro sornione.

Ora, né feriale né astrale è la bruma che s'esala
da questo effetto notturno.

Tuttavia, essi restano giustamente - Sicilia,
Germania - in questa nebbia triste e pallida.

Arthur Rimbaud

 

dopo silenzio luce,
irradia la mattina
tra canti di uccelli
e pochi rumori...

giovedì 25 aprile 2013

25 Aprile

La Resistenza e la sua luce
Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:

fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l' Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce......

Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un'alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l'alba nascente fu una luce
fuori dall'eternità dello stile....
Nella storia la giustizia fu coscienza
d'una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.
 
Pier Paolo Pasolini
 
 
 
affinchè il sangue perso
non sia mai disperso

mercoledì 24 aprile 2013

Antiche scale


Antiche scale

Antiche scale conducono
in alti luoghi angusti
dove riposte stanno
le cose passate, andate;
consuete attese inducono
pensieri contriti ed esausti
in corteo assiepati vanno
incontro a scoscese franate.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate



Per le antiche scale,  Mario Tobino, Mondadori

Nella produzione narrativa di Tobino assume particolare rilievo quella cosiddetta professionale, inerente il suo lavoro di psichiatra al manicomio di Lucca. Per le antiche scale, pubblicato per la prima volta nel 1972, rappresenta un importante tassello di tale produzione. Una serie di racconti che hanno come filo conduttore la follia, il suo mistero, il suo impadronirsi degli esseri umani "come le termiti che si sono impadronite di una trave". Nella schizofrenia, che è la forma più frequente di pazzia, l'essere umano si scinde in due; possiede, a saperle ascoltare, due voci. Talvolta qualche personaggio del libro arriva addirittura a rendersi conto di stare scivolando nella follia, come la suora che improvvisamente si trova a bestemmiare Gesù allo stesso modo dei marinai che sta assistendo. Sentendosi inopinatamente precipitare nel gorgo della malattia mentale, "divisa in due persone", essa esclama straziata e terrorizzata: "Questa è follia, follia. Per quanto sarò incatenata? Che mi è successo? [...] Dio mio aiutami". Anche se nelle pagine di Tobino la pazzia viene evocata con locuzioni forti e crude e faticoso risulta il lavoro dello psichiatra manicomiale, sempre a misurarsi con deliri e allucinazioni, con urla e comportamenti violenti e irrazionali, tuttavia nei racconti dello scrittore toscano si cerca sempre una via di comunicazione coi malati, la ragione dialoga col suo opposto, si tenta la comprensione, l'identificazione, l'interpretazione, la spiegazione.
Ogni schizofrenico è un essere umano che ha conservato dei legami con l'universo dei normali.
Il suo mondo affettivo appare intatto, soltanto l'intelletto subisce uno sgretolamento. Profonda è poi nel libro la pietas dello scrittore verso le vittime della follia. Il dottor Anselmo, alter ego di Tobino, è narratore e personaggio di tutti i racconti. Egli è il testimone, diretto o indiretto, della storia dell'ospedale psichiatrico dove lavora. Come nel primo racconto, a mio avviso uno dei più belli, dove si limita a raccogliere e organizzare gli aneddoti dei vecchi infermieri sulla direzione dell'ospedale agli inizi del secolo, tratteggiando con abilità la figura del prorompente vecchio primario, il dottor Bonaccorsi, e degli altri medici e dirigenti di allora, il direttore Sfameni, il vice Rospigliosi, il professor Saccomanni, il dottor Anzillotti, sapendoci descrivere personalità vive e sfaccettate, attraversate dal sacro fuoco della scienza oppure animate soprattutto della vanità, mosse dall'attivismo frenetico e maniacale o dalla timida riflessività, personaggi comunque che respirano e pulsano sulla pagina.
Quasi tutti i racconti sono ambientati nell'epoca dei grandi rinnovamenti, della scoperta degli psicofarmaci prima e della liberazione dei malati poi.
Il dottor Anselmo talvolta è entusiasta delle nuove scoperte e dei nuovi metodi, talaltra critico, specialmente verso quella corrente della psichiatria che nega la malattia mentale o ne attribuisce le cause alla società: "Oggi è di moda, un andazzo, specie presso i medici giovani, psichiatri innovatori, di sdrammatizzare la pazzia, dichiararla non pericolosa, affermare che non esiste; e non la vogliono riconoscere neppure quando tragicamente si presenta. E se delle volte la pazzia li colpisce proprio sul muso, che è impossibile dire di no, allora ripiegano sulla società, incolpano questa, che è malformata, la società la profonda causa delle malattie mentali". In alcune occasioni pare al dottore Anselmo di giungere vicinissimo alla comprensione della malattia mentale, di afferrare "la chiave dell'enigma": "in certi momenti - gli fa dire l'autore - mi illudo di sfiorare la verità.
Basterebbe ancora un poco.
Poi di nuovo buio, e ancora buio". Una letteratura viva, quella di Tobino, vera, dove lo scrittore attinge con onestà alla propria personale esperienza umana e professionale (dalla rete).

martedì 23 aprile 2013

poesia e riflesso


L'antico desiderio

Seduzione più d'ogni altra forte,
prima d'ogni altra e più cruda fu quelli
per cui l'invito io ti sorrisi, o Morte.
Per cui il desiderio che flagella
la prima volta, sgomentò di muto
stupor la mia verginità novella.
E mi conobbi mani di velluto
per le carezze lunghe, e per i nomi
cari una voce dolce di liuto.
E sentii nella mia bocca gli aromi
d'un frutto al morso cupido maturo.
Ma l'acre impurità de' sensi indomi
mortificai con il mio orgoglio puro.

Amalia Guglielminetti


il desiderio incombe,
carnale come non mai
in un richiuso pensare
mentre un vento monello 
scorpora belle chiome...

lunedì 22 aprile 2013

Aforisma

Credere è una bella cosa,
ma mettere in atto le cose in cui si crede,
è una prova di forza.
Sono molti coloro che parlano
come il fragore del mare,
ma la loro vita è poco profonda,
e stagnante come una putrida palude.
Sono molti coloro che elevano il capo,
al di sopra delle cime delle montagne,
ma il loro spirito rimane addormentato,
nell’oscurità delle caverne.

Kahlil Gibran


scettico come mai
ritiro le voglie
in angoli angusti,
le pieghe solinghe
si stagliano ora
come orridi crepacci...

domenica 21 aprile 2013

Poesia, quadro e riflesso

Periferia d'Aprile

Intorno aiole
dove ragazzo t’affannavi al calcio:
ed or fra cocci
s’apron fiori terrosi al secco fiato
dei muri a primavera.
Ma nella voce e nello sguardo
hai acqua,
tu profonda frescura, radicata
oltre le zolle e le stagioni, in quella
che ancor resta alle cime
umida neve:
così correndo in ogni vena
e dici
ancora quella strada remotissima
ed il vento
leggero sopra enormi
baratri azzurri.

Antonia Pozzi
24 aprile 1937


Georges-Pierre Seurat, Case in periferia
"Case in periferia"
è un dipinto autografo di Georges-Pierre Seurat realizzato con tecnica ad olio su tela nel 1883, misura 32,2 x 41 cm. ed è custodito in una collezione privata (proprietà di Lévy) a Troyes.
 
La composizione in esame  mette in evidenza l'interessamento dell'artista alle contemporanee problematiche (sempre più difficili) delle classi lavoratrici.
Il contenuto dell'opera è esplicito, realistico e senza aggiunta di sentimentalismo, quindi una rappresentazione sdrammatizzata di una realtà che va velocemente mutando nelle zone industriali.





azzurro che oggi difetta,
nell'aria mossa di pioggia
e freddo residuo di ieri;
domani ho bisogno di sole...

sabato 20 aprile 2013

Le Rondini

Le rondini andrebbe analizzata ed approfondita con l'ausilio di troppo tempo (anche perché proprio del tempo essa tratta) ma di tempo - ovvero di spazio - qui non ne vogliamo occupare materialmente troppo, per evitare di tediarvi. Essa costituisce, noteremo tuttavia, un esempio del Betocchi ermetico (cioè del Betocchi filosofo tra virgolette). Cosí, semplificando di molto le cose, suggeriremo che le rondini sono dei cerchi di vita inconsumata e dunque perfetta - il cerchio rappresentava per molte delle società mediterranee antiche la completezza, la perfezione della linea ininterrotta coniugante divinità, morte e vita -; le rondini sono, quindi, degli animali sacri o addirittura delle anime in senso cattolico, poiché godono del tempo assoluto, quello trascendente estraneo all'immanenza cronologica. Questi cerchi-anime, dunque, in quanto riassuntivi della vita e della ultravita, calano, guidati dal suono di campane divino, sui nostri cieli terreni e, assorbite le esperienze della vita materiale umana, tornano all'onda antica (cioè all'eternità), (dalla rete).

    Le rondini
     
    Le rondini, bei cerchi della vita,
    intatti e non vissuti,
    senza che il tempo azzurro li soverchi,
    son tempi in cui non vige una misura
    sommersi dentro un suono di campane
    che li innalza e li abbassa,
    che forano e trapassano,
    per ritornare fertili di vita
    e privi di ricordi, a l'onda antica.

Carlo Betocchi

venerdì 19 aprile 2013

Winter into spring



pace e serena,
primavera insiste
nell'anima
e nel cuore.

Buon ascolto!

giovedì 18 aprile 2013

Poesia e riflesso

Veduta

Se declina la spiaggia, se l'ombra
sull'occhio si consuma e piange
se l'azzurro è lacrima, così
pura, al sale dei denti, affiora

il fumo vergineo o l'aria
che culla in sé poi spira
verso l'acqua, su un mare
assopito nel suo impero

Colui che senza udirle
con le sue labbra mosse al vento
già si distrae a svanire
mille voci vane in cui si muta

sotto l'umido bagliore dei denti
dolcissimo il fuoco dell'interno

Paul Valéry

 






come in un sogno,
la visione scema
ed io resto a vedere
l'orizzonte lontano...










Vue

Si la plage planche, si
L'ombre sur l'oeil s'use et pleure
Si l'azur est larme, ainsi
Au sel des dents pure affleure

Là vierge fumée ou l'air
Que berce en soi puis expire
Vers l'eau debout d'une mer
Assoupie en son empire

Celle qui sans les ouïr
Si la lèvre au vent remue
Se joue à évanouir
Mille mots vains où se mue

Sous l'humide éclair de dents
Le très doux feu du dedans.


Paul Valéry

mercoledì 17 aprile 2013

Poetare tra poesia e riflesso

 poetare

[po-e-tà-re] v. (poèto ecc.)

  • v.intr. (aus. avere) [sogg-v] Comporre poesie
  • v.tr. [sogg-v-arg] Mettere in versi, raccontare qlco. in poesia
  • • sec. XIV


Dolci rime
a Luisa Giusti, amica minuscola,
con un cartoccio di cioccolatto


Sola bellezza al mondo
che l'anima non sazia,
fiore infantile, biondo
miracolo di grazia;
grazia di capinera
che canta e tutto ignora,
grazia che attende ancora
la terza primavera!
Tu credi ch'io commerci
(poi che poeto un poco)
in chi sa quali merci
buone alla gola o al gioco!
- Dammi una poesia! -
Così, come un confetto,
mi chiedi... E t'hanno detto
che sia?... Non sai che sia!
Che sia, come va fatto
il dono che vorresti,
ti spiegherò con questi
dischi di cioccolatto.
Due volte quattro metti
undici dischi in fila
(già dolce si profila
sonetto dei sonetti).
Due volte tre componi
undici dischi alfine
(compiute in versi «buoni»
quartine ecco e terzine).
Color vari di rime
(tu ridi e n'hai ben onde)
poni: terze e seconde
concordi, ultime e prime.
Molto noioso? O quanto
noioso più se fatto
di sillabe soltanto
e non di cioccolatto!
Di qui potrai vedere
la mia tristezza immensa:
piccola amica, pensa
che questo è il mio mestiere!

Guido Gozzano


poetare, rimare,
in un crescendo di tono,
in un attimo ispirato,
la vita, le cose,
quelle preziose...

martedì 16 aprile 2013

Poesia


Tempesta

Fragorosa tempesta,
nell'anima,
indugia nei pensieri,
si scaglia nei ricordi,
poi scema
e brontola il tuono...

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

lunedì 15 aprile 2013

Giorgio Caproni



Nato il 7 Gennaio 1912 a Livorno, Giorgio Caproni è stato senza alcun dubbio uno dei massimi poeti del Novecento. Di origini modeste, il padre Attilio è ragioniere e la madre, Anna Picchi, sarta. Giorgio scopre precocemente la letteratura attraverso i libri del padre, tanto che a sette anni scova nella biblioteca paterna un'antologia dei Poeti delle Origini (i Siciliani, i Toscani), rimanendone irrimediabilmente affascinato e coinvolto. Nello stesso periodo si dedica allo studio della Divina Commedia, dalla quale s'ispirò per "Il seme del piangere" e "Il muro della terra". Nel periodo della Prima Guerra Mondiale si trasferisce insieme alla madre e al fratello Pierfrancesco (più vecchio di lui di due anni) in casa di una parente, Italia Bagni, mentre il padre è richiamato alle armi. Sono anni duri, sia per motivi economici sia per le nefandezze della guerra che lasciano un profondo solco nella sensibilità del piccolo Giorgio. Finalmente nel 1922 terminano le amarezze, prima con la nascita della sorellina Marcella, poi con quello che sarà l'avvenimento più significativo nella vita di Giorgio Caproni: il trasferimento a Genova, che lui definirà "la mia vera città". Terminate le scuole medie, s'iscrive all'Istituto musicale "G. Verdi", dove studia violino. A diciotto anni rinuncia definitivamente all'ambizione di diventare musicista e s'iscrive al Magistero di Torino, ma presto abbandona gli studi. Inizia in quegli anni a scrivere i primi versi poetici: non soddisfatto del risultato ottenuto strappa i fogli gettando via tutto. E' il periodo degli incontri con i nuovi poeti dell'epoca: Montale, Ungaretti, Barbaro. Rimane colpito dalle pagine di "Ossi di seppia", al punto di affermare: "... saranno per sempre parte del mio essere." Nel 1931 decide di inviare alcuni suoi componimenti poetici alla rivista genovese "Circolo", ma il direttore della testata, Adriano Grande, li rifiuta invitandolo alla pazienza, come a dire che la poesia non era adatta a lui. Due anni dopo, nel 1933, pubblica le sue prime poesie, "Vespro" e "Prima luce", su due riviste letterarie e, a Sanremo, dove si trova per il servizio militare, coltiva alcune amicizie letterarie: Giorgio Bassani, Fidia Gambetti e Giovanni Battista Vicari. Comincia anche a collaborare con riviste e quotidiani pubblicando recensioni e critiche letterarie. Nel 1935 inizia ad insegnare alle scuole elementari, prima a Rovegno poi ad Arenzano. La morte della fidanzata Olga Franzoni nel 1936 dà lo spunto alla piccola raccolta poetica "Come un'allegoria", pubblicata a Genova da Emiliano degli Orfini. La tragica scomparsa della ragazza, causata da setticemia, provoca una profonda tristezza nel poeta come testimoniano molti suoi componimenti di quel periodo, tra cui vanno ricordati i "Sonetti dell'anniversario" e "Il gelo della mattina". Nel 1938, dopo la pubblicazione di "Ballo a Fontanigorda" per l'editore Emiliano degli Orfini, sposa Lina Rettagliata; sempre nello stesso anno si trasferisce a Roma restandovi solo quattro mesi. L'anno seguente è richiamato alle armi e nel maggio del 1939 nasce la sua primogenita, Silvana. Allo scoppio della guerra è prima inviato sul fronte delle Alpi Marittime poi in Veneto. Il 1943 è molto importante per Giorgio Caproni perché vede una sua opera pubblicata da un curatore di rilevanza nazionale. "Cronistoria" vede le stampe presso Vallecchi di Firenze, all'epoca editore fra i più noti. Anche i fatti della guerra hanno gran rilevanza per la vita del poeta che trascorre, dall'8 settembre alla Liberazione, diciannove mesi in Val Trebbia, in zona partigiana. Nell'ottobre del 1945 rientra a Roma dove resterà fino al 1973 svolgendo l'attività di maestro elementare. Nella capitale conosce vari scrittori tra cui Cassola, Fortini e Pratolini, e instaura rapporti con altri personaggi della cultura (uno su tutti: Pasolini). La produzione di questo periodo è basata soprattutto sulla prosa e sulla pubblicazione di articoli relativi a vari argomenti letterari e filosofici. In quegli anni aderisce al Partito Socialista e nel 1948 partecipa a Varsavia al primo "Congresso mondiale degli intellettuali per la pace". Nel 1949 torna a Livorno alla ricerca della tomba dei nonni e riscopre l'amore per la sua città natia: "Scendo a Livorno e subito ne ho impressione rallegrante. Da quel momento amo la mia città, di cui non mi dicevo più...". Le attività letterarie di Caproni diventano frenetiche. Nel 1951 si dedica alla traduzione di "Il tempo ritrovato" di Marcel Proust, cui seguiranno altre versioni dal francese di molti classici d'oltralpe. Intanto la sua poesia si afferma sempre di più: "Stanze della funicolare" vince il Premio Viareggio nel 1952 e dopo sette anni, nel 1959, pubblica "Il passaggio di Enea". Sempre in quell'anno vince nuovamente il Premio Viareggio con "Il seme del piangere". Dal 1965 al 1975 pubblica "Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee", il "Terzo libro ed altre cose" e "Il muro della terra". E' del 1976 la pubblicazione della sua prima raccolta, "Poesie"; nel 1978 esce un volumetto di poesie intitolato "Erba francese". Dal 1980 al 1985 vengono pubblicate molte sue raccolte poetiche ad opera di vari editori. Nel 1985 il Comune di Genova gli conferisce la cittadinanza onoraria. Nel 1986 viene pubblicato "Il conte di Kevenhuller". "La sua poesia, che mescola lingua popolare e lingua colta e si articola in una sintassi strappata e ansiosa, in una musica che è insieme dissonante e squisita, esprime un attaccamento sofferto alla realtà quotidiana e sublima la propria matrice di pena in una suggestiva 'epica casalinga'. Gli accenti di aspra solitudine delle ultime raccolte approdano a una sorta di religiosità senza fede" (Enciclopedia della Letteratura, Garzanti, dalla rete).





Raggiungimento

Andavo. Andavo.
Cercavo dove poter sostare.
Ero ormai sul discrimine.
Dove finisce l’erba
e comincia il mare.

Giorgio Caproni


dolci declivi affrettano
passi veloci,
in discesa;
l'arrivo col sole,
i suoni del bosco
e quelli marini...

domenica 14 aprile 2013

Poesia e riflesso

Desiderio

Laddove l’amore vero arde il desiderio è la pura fiamma dell’Amore;
E’ il riflesso della nostra corporatura terrena,
Che trae il suo significato dalla più nobile parte,
E traduce solo il linguaggio del cuore.

1830 (?)
Samuel Taylor Coleridge


eppure un soffio
ricaccia lontano il fiato
si perde nell'aria
nel senso di esistere... 

sabato 13 aprile 2013

Primavera


Forse è in arrivo,
lo sento dall'aria,
dall'acqua,
profumi intensi solcano
le mie vie,
speriamo...

venerdì 12 aprile 2013

Capelli grigi

Oh, poeta, la sera s'avvicina;
i tuoi capelli diventano grigi.
Nel tuo meditare solitario
odi il messaggio dell'aldilà?

« E' sera », rispose il poeta,
« e sto in ascolto perché dal villaggio
qualcuno potrebbe chiamarmi,
sebbene l'ora sia tarda.
Osservo se i giovani cuori vagabondi
s'incontrano, e due paia d'occhi supplicanti
chiedono che la mia musica
rompa il loro silenzio
e parli per loro.
Chi tesserà i loro canti appassionati,
se io siedo sulla riva della vita
contemplando la morte e l'aldilà? »

« Già tramonta la stella della sera.
Il fuoco d'una pira funeraria
muore lentamente
presso il fiume silenzioso.
Dal cortile d'una casa deserta
gli sciacalli urlano in coro
alla luce della luna sfinita.
Se un viandante, lasciando la casa,
viene qui a contemplare la notte
e ad ascoltare a testa china
il mormorio dell'oscurità,
chi gli sussurrerà i segreti della vita
se io, chiudendo le mie porte,
cercassi di liberarmi
dai legami mortali? »

« Poco importa se i miei capelli diventano grigi.
Sono sempre giovane e vecchio
Come il più giovane e il più vecchio
di questo villaggio.
Alcuni hanno negli occhi sorrisi
semplici e dolci,
alcuni un furbesco ammiccare.
Alcuni piangono alla luce del giorno,
altri piangono in segreto nel buio.
Hanno tutti bisogno di me,
e non ho tempo
di rimuginare sull'eternità.
Ho la stessa età di ciascuno,
e cosa importa
se i miei capelli diventano grigi? »

 
Rabindranath Tagore



grigi capelli,
quasi bianchi oramai,
si baciano ancora
quando la rima del sorriso
fa cornice al viso...



A molte donne i capelli grigi donano, mentre si dice che gli uomini con i capelli grigi abbiano fascino.
E' già gran cosa averli i capelli, ovviamente sopratutto per gli uomini.
Il capello grigio prelude alla senescenza del fisico ed è una delle prime spie dell'invecchiamento.

giovedì 11 aprile 2013

Aforisma e riflesso


Dio mi guardi dall'uomo
che si proclama fiaccola
che illumina il cammino dell'umanità.
Ben venga l'uomo che cerca il suo cammino
alla luce degli altri.

Kahlil Gibran


osservato nel tempo
ritrovo vani discorsi,
parole usate,
come ieri,
come domani...

mercoledì 10 aprile 2013

Intensivo


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Intensivo

Madido di umori riscopri
le vivide fonti, le rive;
scoperte di cielo ristoro
a specie di volo, dell'aria,
così si spreme energia
alla polla nel fosso;
si rispera la guida
si dipera la sete...

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

intensivo (inten'sivo)

aggettivo più efficace perché maggiormente concentrato nel tempo e nello spazio
corso intensivo coltura intensiva - agricoltura volta a ottenere la massima resa attraverso tecniche avanzate
terapia intensiva - medicina cui sono sottoposti i pazienti che hanno perduto parte delle funzioni vitali

martedì 9 aprile 2013

Canzone, poesia e riflesso





Alla Notte

I
Avvìati svelto sull’onda d’occidente
spirito della Notte!
fuori dell’antro offuscato d’oriente
dove hai intrecciato tutto un lungo giorno
di solitudine sogni di gioia e paura
che ti rendono terribile e cara –,
sia veloce il tuo volo!
II
Avvolgi la tua forma in un grigio manto
intessuto di stelle;
acceca coi capelli gli occhi al giorno,
bacialo fino a stremarlo,
poi vaga su città, su terra e mare
tutto toccando con la bacchetta oppiata –
vieni, a lungo cercata!
III
Quando mi sono alzato e ho visto l’alba
ho preso a sospirarti;
con la luce più alta, svanita la rugiada,
il meriggio che gravava su fiore e albero,
e il giorno allo stremo che non si decideva
ospite odioso a togliersi di mezzo,
ho preso a sospirarti.
IV
Morte è venuta, tua sorella, gridando:
vuoi forse me?
Tuo figlio Sonno, soave occhivelato
come un’ape meridiana ha sussurrato:
mi anniderò al tuo fianco?
vuoi forse me? E io di rimando,
no, non te!
V
Morte verrà quando sarai morta,
presto, troppo presto –
Sonno verrà quando sarai sparita;
all’una e all’altro non chiederei la grazia
che chiedo a te, amata Notte –
sia veloce il tuo volo che si avanza,
vieni presto, presto!

Percy Bysshe Shelley
(traduzione di Gianfranco Palmery)



scura o piena di luna,
lattea o grigia,
la notte è pensare
qualcuno la vive
qualcuno la soffre...

lunedì 8 aprile 2013

Poetica tra poesia e riflesso

L'opera poetica di Graf risente dell'atmosfera cupa delle leggende medievali, tipiche del primo romanticismo con le meditazioni sulla morte, sul male del mondo, la visione di paesaggi solitari e patetiche esistenze tragiche che troppo spesso si risolvono in macabre rappresentazioni e, solo di rado, in un più acuto simbolismo che consente all'autore di raggiungere un'efficace simbologia funebre, tetra, sommessa, percorsa da lunghi brividi musicali. Egli compose inoltre un gran numero di opere di critica letteraria che risentono del tentativo di partecipare alla filologia della scuola storica e rivelano la sapienza di un lettore sensibile ed entusiasta (dalla rete).



Primavera

Torna l’aprile e si rinnova il mondo,
E tutta un riso la natura appare:
De’ primi fiori inghirlandate, o care
Fanciulle, il crine inanellato e biondo.

Torna l’aprile ed in leggiadre gare
Apre natura il suo spirto profondo:
Sciogliete, o care vergini, a giocondo
Inno le voci armoniose e chiare.

Esultate, esultate al dolce orezzo.
Ché a voi s’addice e a vostra età fiorita,
Obbliviosa di una certa sorte:

Non a me, cui dà noja e fa ribrezzo
Questo rigoglio di novella vita
Intesa solo a preparar la morte.

Arturo Graf



dove sono i fiori?
dove le verdi foglie?
Aprile freddo,
primavera lontana...