Eseguito subito dopo il viaggio a Roma e a Napoli del 1838-‘39, il
dipinto risente del forte potere di suggestione del paesaggio laziale e
dell’atmosfera di romantica solitudine che ora ha preso il posto della
facile e felice capacità descrittiva che improntava le vedute nordiche
di qualche anno prima. Scarna e semplificata risulta infatti
l’iconografia della tela, affidata ad un cielo cangiante, in cui si
stanno addensando grevi nubi temporalesche, e ad un ampio scorcio della
campagna attraversato da una strada con viandanti che si allontana fino
all’orizzonte e con la presenza al centro di una maestosa rovina. Il
dipinto denota una stretta vicinanza con "Lo spuntar dell’aurora veduto
nella campagna di Roma", esposto a Brera nel 1839 e databile al medesimo
anno, ma soprattutto un’eccezionale similitudine con la versione di
Veduta della campagna romana con temporale, in deposito presso la Camera
dei deputati di Roma già dal 1927, di formato 122x170 cm. Si tratta di
una tipologia non di rado ricorrente nei dipinti di paesaggio di Canella
a partire dalla fine degli anni Trenta, quando l’artista, come se
volesse sottolineare la “stupenda verità” delle sue immagini, elabora
una concezione paesaggistica in dichiarata rottura con quella fredda e
artificiosa di Massimo D’Azeglio e dei “migliaristi”.
Questo affascinante dipinto, anche se di chiara intonazione romantica,
estraneo a cedimenti sentimentali, si rivela in sintonia con una certa
qual attenzione per la vita e la realtà quotidiana, i cui eventi
scandiscono l’evolvere del romanticismo verso situazioni più aderenti al
vero. È dunque anche una pittura che si è svincolata da schemi
precostituiti e da immagini ripetute a memoria, pur se il linguaggio
dell’artista, a seguito anche delle sollecitazioni sempre più pressanti
del mercato, segna talora qualche battuta d’arresto, documentata anche
dagli interventi di una critica piuttosto controllata rispetto alle
dichiarazioni elogiative di qualche anno prima. Critica tuttavia pronta a
riconoscere, in occasione della rassegna braidense del 1847,
l’importanza di Canella nell’ambito paesaggistico. Tanto e tale fu
l’impulso dato dal nostro artista all’arte della veduta, che divenne
sempre più efficace, presso la quasi totalità dei giovani artisti
emergenti fra le varie accademia nazionali, specialmente quando egli
cominciò a prediligere, nei suoi quadri, le famose vedute della campagna
romana e di quelle di Lombardia.(E. Motta)
Notizie storiche: dall’analisi iconografica del dipinto, è possibile
identificare con una certa qual sicurezza la località ritratta da
Giuseppe Canella: Genzano, grazie ad una veduta molto simile che
troviamo in un disegno del tedesco Franz Ludwig Catel, il quale aveva
percorso quei luoghi qualche anno prima. Sappiamo pure che dalla metà
egli anni Venti dell’Ottocento in quei paraggi risiedeva occasionalmente
anche Massimo d’Azeglio. Erano questi luoghi in cui si poteva annotare
dal vero il classico paesaggio dell’agro romano (dalla rete).
il temporale ormai lontano risuona
in un remoto brontolio di tuono,
siamo momenti di prese di posizione
strateghi imprecisi e goffi;
poche gocce si stampano e rigano
le immense vetrate dell'anima,
rieccoci ancora silenti ed assorti,
in attesa, confusi, bagnati...
Gujil
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