sabato 23 marzo 2019

Assiuolo


L'assiuolo
 
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.

Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
 
 
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:

 chiù...  

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...
 
Giovanni Pascoli
da "Myricae", 1891
 
 
L’assiuolo è un uccello rapace simile al gufo, che in Toscana prende il nome dal suo verso: chiù.
Pascoli prende spunto da una leggenda popolare secondo la quale il verso di questo uccello all'alba annuncia disgrazie e, come per X Agosto, la trasforma e le dà un significato nuovo, più ampio: il canto dell'assiuolo diventa simbolo inquietante della morte, sempre vicina e in agguato.
L'assiuolo è una delle poesie più significative di Pascoli per la ricchezza delle sensazioni visive e sonore, per l'alternarsi di immagini ben definite – come il mandorlo e il melo – con altre sfumate – come l'alba di perla contro la quale si stagliano – che contribuiscono creare un'atmosfera misteriosa e inquieta in cui gli elementi naturali diventano portatori di significati profondi e universali.
La parola chiù, collocata al termine di ognuna delle tre strofe (anafora), assume, in un drammatico crescendo, significati sempre più precisi e inquietanti:
nella prima strofa è una voce che viene dai campi,
nella seconda un singhiozzo, un pianto (singulto),
nella terza un pianto di morte. 
(dalla rete)

la natura ci crea e ci distrugge,
questo mondo ormai è pesante
pieno di insulti e dolori e morte;
l'uomo... il virus della terra...

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