Delfi
Qui è il cipresso di fuoco
il mare e l’altro mare di ulivi,
qui s’incontrarono le due aquile inviate da Giove,
qui è la via che sale alle sorgenti
dove batte il cuore della Grecia.
il mare e l’altro mare di ulivi,
qui s’incontrarono le due aquile inviate da Giove,
qui è la via che sale alle sorgenti
dove batte il cuore della Grecia.
Qui è il pendio con i pini
una lira reclina con le corde di un silenzio vivo
mirti e lentischi,
qui è la pietra della Sibilla
l’edera l’ha coperta ma la sua luce non si è spenta,
il tripode d’oro e l’ombelico della terra.
Qui è l’Auriga che aggioga i monti
questa lancia dritta di bronzo
senza sentimenti ma con un fuoco negli occhi,
qui è il trono di ferro di Pindaro
e più in alto
il nido che aveva costruito in cima a una fiamma
un angelo-aquila
per officiare
avendo come misteri iniziatici i vènti
e come sacerdoti le rupi erette.
una lira reclina con le corde di un silenzio vivo
mirti e lentischi,
qui è la pietra della Sibilla
l’edera l’ha coperta ma la sua luce non si è spenta,
il tripode d’oro e l’ombelico della terra.
Qui è l’Auriga che aggioga i monti
questa lancia dritta di bronzo
senza sentimenti ma con un fuoco negli occhi,
qui è il trono di ferro di Pindaro
e più in alto
il nido che aveva costruito in cima a una fiamma
un angelo-aquila
per officiare
avendo come misteri iniziatici i vènti
e come sacerdoti le rupi erette.
Qui è l’ara
e più dentro l’inaccessibile sacrario
dov’è ancora fresca la radice degli oracoli,
ma soprattutto qui è Apollo
(un fiato puro che a volte diventa arco
e a volte musica)
assieme a Dioniso – un regno –
questo gorgheggio sfavillante
che come una rete sorregge ogni cosa a un’altezza,
un’altra verità, un’altra purezza, un’altra libertà.
E penso
(per quanti hanno mente cuore e sguardo puro
e un amore infuocato):
Delfi non è che la vita stessa
che procede (verso una risurrezione?)
con terremoti e inabissamenti e baratri,
e là dove si spezza in due – come la roccia ferita –
poi si propagano
acque, uccelli, allori e cipressi
e i fiori che coprono le ferite – gli anemoni.
Thanassis Lambru
e più dentro l’inaccessibile sacrario
dov’è ancora fresca la radice degli oracoli,
ma soprattutto qui è Apollo
(un fiato puro che a volte diventa arco
e a volte musica)
assieme a Dioniso – un regno –
questo gorgheggio sfavillante
che come una rete sorregge ogni cosa a un’altezza,
un’altra verità, un’altra purezza, un’altra libertà.
E penso
(per quanti hanno mente cuore e sguardo puro
e un amore infuocato):
Delfi non è che la vita stessa
che procede (verso una risurrezione?)
con terremoti e inabissamenti e baratri,
e là dove si spezza in due – come la roccia ferita –
poi si propagano
acque, uccelli, allori e cipressi
e i fiori che coprono le ferite – gli anemoni.
Thanassis Lambru
da "Labirinto"
Traduzione di Nicola Crocetti
L’oracolo di Delfi
Il mito secondo cui Apollo avrebbe scelto la località come sede del proprio oracolo è narrato nel terzo degli Inni omerici (che però a più riprese sembra obbedire agli interessi di Delo, l’altro grande centro cultuale apollineo della grecità).
Il dio si sarebbe sostituito a un precedente culto di Gea, uccidendo il drago che controllava la sede: ma l’archeologia non conferma la presenza di una più antica realtà sacrale.
Il primo tempio di Apollo fu eretto nella seconda metà del VII sec. a.C., ricostruito dopo l’incendio del 548 a.C. e quindi nuovamente riedificato nel IV sec. a.C. (sono le rovine attualmente visibili).
All’oracolo potevano aver accesso tanto i privati cittadini, quanto i rappresentanti delle poleis o degli stati.
Il consultante era tenuto a pagare una tassa (il cosiddetto pélanos, «offerta») ai custodi del santuario: essa, insieme alle grandi offerte votive, fu la principale entrata del tempio, che dovette conoscere un cospicuo giro d’affari.
All’oracolo potevano aver accesso tanto i privati cittadini, quanto i rappresentanti delle poleis o degli stati.
Il consultante era tenuto a pagare una tassa (il cosiddetto pélanos, «offerta») ai custodi del santuario: essa, insieme alle grandi offerte votive, fu la principale entrata del tempio, che dovette conoscere un cospicuo giro d’affari.
La consultazione avveniva nel recesso interno del santuario ed era preceduta da un sacrificio sull’altare antistante (la cosiddetta próthysis, sacrificio preliminare).
Il vaticinio vero e proprio era affidato alla sacerdotessa detta Pizia, che secondo la tradizione masticava foglie di alloro dopo essersi purificata alle acque della fonte Castalia.
Il pronunciamento della sacerdotessa presso il trìpode del santuario era considerato frutto dell’ispirazione divina: i moderni tendono a vedervi piuttosto un caso interessante di trance allucinatoria, forse favorita dall’assunzione di sostanze psicogene.
Non è sicuro che le parole della Pizia venissero immediatamente riferite al consultante: ciò accadeva tramite la mediazione di un apparato di ‘interpreti’, che imprimevano al messaggio – non senza interessate manipolazioni, dettate dalle ingerenze della politica ellenica – quell’ambiguità e quell’oscurità che fu in antico la cifra caratteristica delle profezie apollinee.
Federico Condello (Mondadori, dalla rete)
le città degli uomini,
antiche, moderne, vive;
ci insediamo come padroni,
viviamo nel tempo che siamo
antiche, moderne, vive;
ci insediamo come padroni,
viviamo nel tempo che siamo
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