sabato 30 aprile 2016

Treccia

Una treccia è un tipo di nodo, o in generale una struttura complessa, formata dall'intrecciamento di tre o più fili di materiale flessibile come fibre tessili (vegetali, come foglie di palma, fibre di canapa, di cotone, oppure sintetiche), corde, o usata come acconciatura dei capelli (da Wikipedia).
 

Bellezze
 
Il campo di frumento è così bello
solo perché ci sono dentro
i fiori di papavero e di veccia;
ed il tuo volto pallido
perché è tirato un poco indietro
dal peso della lunga treccia.

Corrado Govoni
Il quaderno dei sogni e delle stelle


   
La treccia come capigliatura risale al periodo egizio fino al 4.000 a.C. Prima ancora fu sviluppata nell'Africa occidentale come status sociale nelle tribù. Dato il tempo per creare tali acconciature, si creava socialità tra le donne locali. L'arte la si apprendeva in giovinezza guardando le donne più anziane.
L'etimologia della parola treccia non è chiara, potrebbe derivare dal greco tricha (in tre) o dal latino tricae (viluppo), trinus (di tre) o trix (capello).
 
rosso papavero, verde spiga,
poi maturerà il grano;
i prati, mi mancano i prati,
risento l'odore del fieno...

L'intreccio crea una corda composita che è più forte dei singoli elementi non intrecciati. Caratteristica peculiare è il fatto di non attorcigliarsi durante l'uso. In elettrotecnica, treccia è uno schermo tubolare di metallo attorno ad un filo, o più fili, atto a fungere da schermo per campi elettromagnetici esterni. Un altro uso è litz wire per la trasmissione di segnali in alta frequenza, per minimizzare l'effetto pelle. Trecce piatte vengono usate anche per collegare grandi componenti tra loro (messa a terra). La treccia è usata anche per creare materiali compositi.
 

venerdì 29 aprile 2016

Ancora Aprile

Aprile

Che più d'un giorno è la vita mortale?
Nubil'e brev'e freddo e pien di noia,
die pò bella parer ma nulla vale.
PETRARCA, Triumphus Temporis

Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri che al novello amore
han fatto schermo della terra antica
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d'erbe e fiori ancor s'è ricoperta
- se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e nel piano, ma nell'aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.

Così mi tragge a me stesso diverso
e amor m'induce e desiderio, ancora
ch'io non sappia per che, pur fiduciosi.
Ché pur in me natura si nasconde
insidiosa e ignaro me sospinge.
Ahi, che mi vale, se pur fugge l'ora
e mi toglie da me sì ch'io non possa
saziar la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo
lontano e solo, anco s'a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna.
Mentre di tra le dita delle nubi
a che occhieggian le stelle nel sereno?
Già trapassa la notte e nuove fiamme
leverà il sole ch'ei rispenga tosto:
passano i giorni e già sarà qui 'l verno
e il sol sorgendo pallido e incurante
farà fiorire il fango per le strade.
A che occhieggian le stelle nel sereno?
Qui bulica la terra e qui si muore,
cantano i galli e stridon le civette.
O gioia del novello nascimento,
o nuovo amore e antico!
O vita, chi ti vive e chi ti gode
che per te nasce e vive ed ama e muore?
Ma ogni cosa sospingi senza posa
che la tua fame tiene, e che nel vario
desiderar continua si trasmuta.
Di sé ignara e del mondo desiosa
si volge a questo e a quello che nemico
le amica il vicendevole disio,
nemica a quelli pur quando li ami
e ancora a sé per più voler nemica.
Così nel giorno grigio si continua
ogni cosa che nasce moritura,
che in vari aspetti pur la vita tiene -
ed il tempo travolge - e mentre viva
vivendo muor la diuturna morte.
Ed ancor io così perennemente
e vivo e mi tramuto e mi dissolvo
e mentre assisto al mio dissolvimento
ad ogni istante soffro la mia morte.
E così attendo la mia primavera
una ed intera ed una gioia e un sole.
Voglio e non posso e spero senza fede.
Ahi, non c'è sole a romper questa nebbia,
ma senza fine e senza mutamento
sta in ogni tempo intero ed infinito
l'indifferente tramutar del tutto.


Pur tu permani, o morte, e tu m'attendi
o sano o tristo, ferma ed immutata,
morte benevolo porto sicuro.
Che ai vivi morti quando pur sia vano
quanto la vita il pallido tuo aspetto
e se morir non sia che continuar
la nebbia maledetta
e l'affanno agli schiavi della vita -
- purché alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga
e più non sappia questo ch'ora soffro
vano tormento senza via né speme,
tu mi sei cara mille volte, o morte,
che il sonno verserai senza risveglio
su quest'occhio che sa di non vedere,
sì che l'oscurità per me sia spenta.

Carlo Michelstaedter
Notte 16-17 aprile 1910
 
Antonio Fontanesi
Aprile (Rive del lago di Bourget)
olio su tela, 1864
...anche Aprile sta finendo ed io
non sono ancora al Sud...
qualche anno fa,
qualche Aprile fa...
 

giovedì 28 aprile 2016

Spiegazione necessaria

Spiegazione necessaria

Ci sono versi – a volte poesie intere –
che neanch'io so cosa voglion dire. Quello che non so
mi trattiene ancora. E tu hai ragione a chiedere. Ma non
chiedere a me.
     Ti ho detto che non so.
                         Due luci parallele
dallo stesso centro. Il rumore dell'acqua
che cade, d'inverno, dalla grondaia colma
o il rumore di una goccia che stilla

da una rosa nel giardino annaffiato
lentamente, lentamente, una sera primaverile

come il singhiozzo di un uccello. Non so
cosa vuol dire questo rumore; e tuttavia l'accetto.

Le cose che so te le spiego. Non mi dimentico.
Ma anche queste aggiungono qualcosa alla nostra vita.
     La guardavo
mentre dormiva, il ginocchio piegato ad angolo sul
                       lenzuolo –
Non era solo l'amore. Questo angolo
era il crinale della tenerezza, e il profumo
del lenzuolo, di pulito e di primavera completavano
quell'inspiegabile che ho tentato, ancora inutilmente,
     di spiegarti.

Ghiannis Ritsos

La poesia delle cose
Traduzione di Nicola Crocetti





anch'io spesso non so,
non capisco e mi muovo
a velocità diversa dagli altri;
forse sto bruciando tempo,
forse è solo vecchiaia...

mercoledì 27 aprile 2016

Cosa e parola


Cosa e parola

Felicità, cosa che sa d'amaro,
parola che si lascia dire e ride,
fior che fiorisce come un frutto raro,
gioia che il cuor sopisce e non uccide;
felicità, larva di donna, riso
di donna, occhio di donna, ombra di donna,
seppi io forse il tuo gran rombo improvviso,
rabbrividii nel tuo bacio che assonna?
E se la stringo al mio cuore soave
la chiave della mia casa solinga,
felicità, forse t'ho chiusa a chiave,

fior, gioia, donna, ombra, infelicità?
 
Marino Moretti
da "Il giardino dei frutti"

 

Marino Moretti e Juliette Bertrand
"Cosa e parola" 
è una poesia  contenuta nella raccolta "Il giardino dei frutti" del 1916.
Già nel titolo viene introdotto il tema della riflessione attorno al rapporto che intercorre tra una cosa e la parola che designa tale oggetto.
Elementi che possono anche entrare in contrasto fra loro.
La "felicità" è il fulcro della lirica, viene ripetuta ai versi 1, 5 e 11 (anafora); in apertura viene definita come una "cosa" amara, come una "parola" che, in un anagramma, si lascia "dire", pronunciare, e al contempo "ride", essa stessa.
L'eccezionalità della felicità viene rappresentata da una piccola cosa: un fiore che sboccia come un "frutto raro"; la semplicità nasconde dentro di se un processo grandioso e lento di maturazione.
La "gioia" che si prova viene calmata, chetata, dal cuore ma non uccisa: viene custodita.
Al verso 5 viene ripetuta la parola "felicità" che viene accostata alla figura della donna, prima come spettro, prototipo, della figura femminile, poi al "riso", all' "occhio" e all' "ombra", in una metonimia secondo la quale la felicità è rappresentata da ogni aspetto che la donna evoca nella mente. Il poeta si domanda se conobbe realmente quel boato, quel fragore "improvviso", inaspettato, che lo fece rabbrividire ma che, con un bacio (in un ossimoro) ha la facoltà di placare, di lenire. Se stringe dolcemente (ossimoro) al cuore, la chiave della sua casa solitaria, quella dimensione interiore emotiva e memoriale in cui poter far rivivere il ricordo, la felicità "forse" è stata chiusa al sicuro. Quel forse è molto forte, dubitativo, tanto da far domandare al poeta se il fiore, la gioia, la donna e l'ombra, poiché vive nel ricordo e nel cuore non siano invece fonte di infelicità.
La poesia si apre con la parola "felicità" e, molto significativamente, si chiude domandandosi se non sia invece "infelicità", in una sorta di struttura circolare aperta (dalla rete).
 
mi viene in mente
"non chiederci la parola"
come fosse mia,
come l'avessi pensata...

 

martedì 26 aprile 2016

Cielo d'Aprile

Con Aprile si passa dal cielo invernale a quello estivo: al crepuscolo si potranno notare ancora le costellazioni che hanno dominato il cielo degli ultimi mesi, tra cui Orione con le stelle Betelgeuse e Rigel, i Gemelli con Castore e Polluce e il Toro con la stella Aldebaran.
Dalla parte opposta, nel cielo orientale, osserveremo invece le costellazioni che caratterizzeranno il cielo estivo.
Diamo ora uno sguardo alle congiunzioni più significative.
LUNA - GIOVE:
per quasi tutta la notte tra il 17 e il 18 Aprile si potrà osservare la Luna che si avvicinerà a Giove, nella parte inferiore della costellazione del Leone.
LUNA - MARTE:
tra il 24 e il 25 Aprile, intorno alla mezzanotte, si potrà osservare una notevole concentrazione di astri luminosi nel cielo notturno. Stiamo parlando della Luna, che in direzione Sudest sovrasterà un triangolo formato da Marte, la stella Antares e Saturno.
LUNA - SATURNO:
nella notte successiva, tra 25 e 26 Aprile, si ripeterà lo spettacolo della notte precedente con gli stessi protagonisti, ma la Luna questa volta si troverà a breve distanza da Saturno.
Comete del mese:
La C/2014 S2 PANSTARRS non è la cometa più luminosa ma sarà quella più visibile in tutto il mese. La C/2013 US10 CATALINA, continuerà a essere ben visibile nel cielo boreale.
Infine la C/2013 X1 PANSTARRS, la più luminosa del mese, se sarà visibile tuttavia solo a ridosso dell'alba.
(fonte: astronomia.com)
 
 
Sotto il cielo d'aprile
 
Sotto il cielo d'aprile
 la mia pace è incerta.
I verdi chiari ora si muovono
sotto il vento a capriccio.
Ancora dormono
l'acque ma, sembra,
come ad occhi aperti.
Ragazzi corrono sull'erba,
e pare
che li disperda il vento.
Ma disperso
solo è il mio cuore
cui rimane un lampo
vivido (oh giovinezza) delle loro
bianche camicie
stampate sul verde.
 
Sandro Penna
 
 
 Aprile sta per finire,
la primavera ormai è in piena fioritura,
qualche scampolo di freddo,
qualche patema ancora...

lunedì 25 aprile 2016

25 Aprile 2016, ricordando il partigiano Angelo Zanoni


Ad Un Partigiano Caduto
 
 la strada che conduce
 a quei giorni lontani di smeraldo
 dove sostammo come creduli ragazzi
 a creare coi sogni nelle vene
 fantasie di speranze e di parole
 fra pugni di “canaglie in armi”
Forse potrei dimenticare il giogo
 che mi lega all’arco dei rimpianti
 se soltanto le voci dei compagni
 tornassero a cantare
 come quando la vita dilagava
 e tu portavi alla gioia di tutti
 il tuo sorriso di fanciullo
 e la forza serena dei tuoi occhi
 Ma anche se il tempo non ricama
 che fili d’ombra sulla memoria
 e il tormento di quel assurdo giorno 
 quando attoniti restammo 
davanti alla pietà della tua forca
 è pur sempre l’ora della tua lotta

 del tuo caldo vento di libertà

immenso come grembi di colombe 
in volo fra fiori d’acquadiluna
 Tu solo amico adesso
 puoi scegliere i ritorni
 e dirci ancora
 col battito delle tue ali
 le bellezze della vita
 e le dolci innocenze della morte.


Giuseppe Bartoli


 

domenica 24 aprile 2016

Uccellini

Persi 150 milioni di passeri scomparsi nel giro di 30 anni.
Ma non è l’unica specie che si sta riducendo, segno di un profondo cambiamento nell’ecologia del territorio.
Cantando vai finché non muore il giorno: il passero, cantato da Leopardi e citato in capolavori della letteratura, comune frequentatore dei nostri cieli e delle nostre campagne, dei cortili e dei giardini, rischia di morire.
E la cosa strana è che si sa da tempo, ma l’allarme forse non è stato ancora gridato sufficientemente forte.
Chiunque abbia più di una trentina d’anni ricorderà, facendo mente locale, che un tempo i passerotti erano molto più diffusi.
E se il passero rimanesse così solitario da rischiare l’estinzione?
È un pericolo reale infatti secondo i ricercatori dell’Università di Exeter, che nel censimento che ha preso in esame 25 Paesi per un periodo di trent’anni guardando a 144 specie comuni di uccelli, denunciano un declino preoccupante della maggior parte delle specie di volatili più diffusi.
Complessivamente dal 1980 sono spariti dai cieli e dai giardini 421 milioni di uccellini.
Il classico passerotto è quello più colpito dal fenomeno, ma anche gli storni non se la passano bene e giova ribadire, come fa Richard Inger, alla guida dello studio, che «gli uccelli hanno un ruolo cruciale nell’ecosistema: nel controllo dei parassiti, nella dispersione dei semi, nell’eliminazione delle carcasse, e altro ancora».
Le cause principali di questa regressione sono da imputare alla scomparsa dei siti di nidificazione, alla modernizzazione del sistema di allevamento degli animali domestici nei cortili e all’avvelenamento delle campagne.
In sostanza ci sono minori risorse alimentari a disposizione di questi piccoli animali e il tasso di mortalità è chiaramente molto più elevato.
Non solo: c’è anche una minor attenzione verso alcune popolazioni di volatili, forse proprio perché sono talmente comuni da venir percepite come scontate.

Ma c’è anche chi, dal censimento di Exeter, risulta invece in ottima salute.
Anzi, esistono specie in aumento, come le capinere, i pettirossi, le cincie, i merli e le cicogne che, insieme ai falchi di palude, sono anzi le specie più protette dai programmi dell’Unione europea.
Dunque l’allarme non riguarda tutte le specie, ma solo alcune e probabilmente proprio quelle che faticano maggiormente a procurarsi il cibo per una serie complessa di cambiamenti.
Tra tutti il passero è il più penalizzato e il fenomeno è conosciuto da tempo, tanto che già qualche anno fa si parlava di una riduzione del 65% dei nidi complessivi in Inghilterra dalla metà degli anni Settanta, di un calo del 10 per cento della popolazione in Francia e del 45% in Germania in soli dieci anni.
Terreni agricoli più adatti alla fauna selvatica, aumento delle aree urbane verdi e programmi mirati di salvaguardia possono ovviamente contribuire a contrastare questo declino.
Emanuela Di Pasqua, Corriere della sera, - 4 novembre 2014 | 09:48



 Tra i rami

 Sotto la finestra, sul balcone, ci sono degli uccellini malridotti
 che si affollano attorno al cibo. Sono gli stessi, credo,
 che vengono tutti i giorni a mangiare bisticciando. C’era un tempo,
 c’era un tempo,
 gridano e si beccano. Sì, è quasi ora.
 Il cielo rimane cupo tutto il giorno, il vento viene da ovest e
 non smette di soffiare... Dammi la mano per un po’. Tienimi la
 mia. Così va bene, sì. Stringimela forte. C’era un tempo in cui
 pensavamo di avere il tempo dalla nostra. C’era un tempo, c’era
 un tempo,
 gridano gli uccellini malridotti.

Raymond Carver
 

le cose terribili,
quelle impresse, passano,
ma restano;
poi nel silenzio ritornano,
poi ti ributtano indietro,
poi se vanno di nuovo...

sabato 23 aprile 2016

Bisbiglio


bisbìglio
sostantivo maschile [der. di bisbigliare].
- TRECCANI -
 
 – Il lieve rumore prodotto da persone che bisbigliano: il bisbiglio delle suore in preghiera; un bisbiglio. di voci e di gemiti (Manzoni); anche, mormorazione, diceria, voce vaga: ho sentito certi bisbigli malevoli sul tuo conto. Per estens., sussurro, rumore sommesso: il bisbiglio de’ zefiri fra le frondi (Foscolo).
 
 
XIII
 
Fiammelle grandinano sul velluto
di una notte di giustizia, non vera
sotto il flagello aquilonare, cera
di figurine sciolta dentro il muto
 
avvolgersi dei bisbigli – e l'imbuto
dell'ombra accoglie una luce straniera,
spigoli d'apparizioni in rivera
celeste – appassito, vinto, ho giaciuto
 
nel silenzio umido di carnevali
adolescenti, trasparenti le ali.

Roberto Rossi Precerutti
Rimarrà El Greco
 
 
 
intravedo sagome nel tempo,
quello da lungi, infinito, sperso;
le vaghe stelle sfavillano.
bisbigliano ma è poca la luce...

venerdì 22 aprile 2016

Dalle nuvole


Le nuvole
 
Nuvole celesti eternamente erranti!
Sulla steppa azzurra come perle infilate,
Dal caro nord verso il meridione
Scorrete, come me, esiliate.
 
Cosa vi spinge: Il volere del destino?
Una segreta invidia? Un'ira manifesta?
O vi opprime il peso di un delitto?
O degli amici la venefica maldicenza?
 
No, vi hanno annoiato gli aridi campi...
A voi sono estranee passioni e pene;
In eterno fredde e in eterno libere,
Voi una patria e un esilio non avete.
 
Michail Lermontov
La mia casa è sotto la volta celeste
Traduzione di Paolo Statuti
 
Il significato dell’espressione “cadere dalle nuvole” è: scoprire con incredulità qualcosa chiaro per tutti.
Le “nuvole” rimandano alla divinità: dalle nuvole, ad esempio, proviene la folgore di Zeus, che colpisce senza preavviso.
Ma sulle nuvole risiedono anche gli angeli e i santi del paradiso cristiano, che cadendo oggi sulla terra si troverebbero in un mondo del tutto nuovo per loro.
Dei due significati, oggi ormai resiste solo il secondo: come se la divinità non fosse più in grado di stupire ma solo di farsi stupire (dalla rete).

 
sulle nuvole, quante volte da ragazzo,
molto meno oggi e domani;
eppure la sensazione è forte, unica,
il respiro si allunga e si chiudono gli occhi...

giovedì 21 aprile 2016

Congedo

Congedo
 
A' lor cantori diano i re fulgente
collana d'oro lungo il petto, i volghi
a' lor giullari dian con roche strida
 suono di mani.

Premio del verso che animoso vola
da le memorie a l'avvenire, io chiedo
colma una coppa a l'amicizia e il riso
de la bellezza.

Come ricordo d'un mattin d'aprile
puro è il sorriso de le belle, quando
l'età fugace chiudere s'affretta
il nono lustro;

e tra i bicchier che l'amistade infiora
vola serena imagine la morte,
come a te sotto i platani d'Ilisso,
divo Platone.
 
Giosué Carducci
da "Odi Barbare"

 
congedo
[con-gè-do]
sostantivo maschile
- Sabatini Coletti -
 
1.- Permesso di allontanarsi, di partire: prendere congedo; saluto che si scambia alla partenza SINONIMO commiato
2.- Cessazione del servizio militare: essere in congedo || congedo illimitato, quello con obbligo di servizio solo in caso di necessità
3.- Autorizzazione ad assentarsi per un breve periodo dal posto di lavoro, concessa agli impiegati pubblici: congedo matrimoniale
4.- metr. Commiato
5.- teat. Battuta o battute conclusive di un'opera in cui si riassume il significato della stessa

addii difficili, resi stanchi
da efferate cattiverie reciproche;
qualche arrivederci che suona falso,
qualche saluto veloce...

mercoledì 20 aprile 2016

Gatti

 

Gatti
 
 Stati della materia.
 Gli stati della materia sono quattro:
 liquido, solido, gassoso e gatto.
 Il gatto è uno stato speciale della materia,
 anche se sorge qualche dubbio:
 è materia questa voluttuosa contorsione?
 non viene dal cielo questo modo di dormire?
 E questo silenzio, non proviene forse da un luogo
senza tempo?
 Quando lo spirito gioca a essere materia
 allora si trasforma in gatto.

 Darío Jaramillo
Traduzione di Emilio Coco

  



Il termine "gatto" deriva dal latino catus, si tratta di un mammifero carnivoro tra i più amati dall'uomo e il più diffuso al mondo.
Si contano circa cinquanta differenti razze di gatto, un numero davvero elevato che fa capire le diversità che possono esserci tra un esemplare e l'altro.
Ecco perché è importante conoscere a fondo il carattere, le abitudini, l'alimentazione e le cure necessarie per allevare in modo adeguato il proprio amico.
(dalla rete).



 
piccoli amici, forse conoscenti,
un gioco che dura un attimo,
occhi pieni di mondi,
fusa sonnecchiando sul divano...

lunedì 18 aprile 2016

Selvaggio

La pace delle cose selvagge
 
 Quando la disperazione per il mondo
cresce dentro di me
 e mi sveglio di notte al minimo rumore
 col timore di ciò che sarà della mia vita
e di quella dei miei figli,
 vado a stendermi là dove l’anatra di bosco
 riposa sull’acqua in tutto il suo splendore
 e si nutre il grande airone.
 Entro nella pace delle cose selvagge
 che non si complicano la vita per il dolore che verrà.
 Giungo al cospetto delle acque calme.
 E sento su di me le stelle cieche di giorno
 che attendono di mostrare il loro lume. Per un po’
riposo tra le grazie del mondo e sono libero.
 
 Wendell Berry
L'ordine della natura
 Traduzione di Paolo Severini

 
selvaggio
[sel-vàg-gio] aggettivo, sostantivo
(plurale maschile: -gi, femminile: -ge)
- Sabatini Coletti -
 
• aggettivo.
1.- Di luogo ricoperto da selve o comunque privo di coltivazioni, disabitato, inospitale: territorio s.; estens. orrido, pauroso: una gola s.

2.- Di pianta, non coltivato, che cresce spontaneo; di animale, che vive allo stato libero, non addomesticato SIN selvatico: fiori s.; bestie s.
3.- Non raggiunto dalla civilizzazione: uomo s.; popolazione s.; arretrato, primitivo: costumi, riti s.

4.- fig. Crudele, feroce: una s. vendetta; scatenato, violento: furia s.
5.- fig. Incontrollato, senza regole e limiti: inflazione s.; sosta s.

• sostantivo maschile (femminile: -gia)
1.- Persona appartenente a gruppi etnici che vivono lontano dalla civilizzazione, allo stato primitivo: i s. dell'Amazzonia
2.- fig. Persona poco socievole, scontrosa e a volte incivile
 
avverbio: selvaggiamente, in modo selvaggio, da s. ~fig. brutalmente: la vittima è stata selvaggiamente uccisa
 
le cose stanno con noi,
ci ruotano intorno,
ci fanno compagnia;
non chiedono nulla, danno,
quando poi ci stanchiamo 
le dimentichiamo, le buttiamo...

domenica 17 aprile 2016

Diomenica d'Aprile


 
Domenica d'Aprile
 
Un' impalpabile pioggia sui vetri,
è mattino d'Aprile, domenica.
Le prime avvisaglie dell'alba,
il canto di cince già sveglie;
poi torno al caffè, nero, amaro,
mi sento di nuovo lontano,
mi sembra di stare lontano.
Le vie sono ancora deserte,
domenica, ci si alza più tardi.
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate

sabato 16 aprile 2016

L'uomo

L’uomo

Terra, dall’ime viscere
Manda di gioia un grido;
Svegliati, e leva un fremito.
Mar dall’immenso lido;
Angelica coorte,
Inneggia e ti prosterna;
Sulle celesti porte
Brilla ineffabil dì;
L’uom dalla mano eterna
Colmo di vita uscì.
Più arcano delle tenebre,
Più delle belve truce
Più libero del turbine
Più bello della luce,
Nel portentoso istante
Al Crëator converso;
Di gloria sfolgorante
Egli già move il piè…
O suddito Universo,
T’apri davanti al re.
Figlio di Dio, recandosi
L’alta promessa ei viene:
«Di nati avrà miriadi,
Come astri e come arene!
A un cenno di quel fonte
Sarà l’oceano aperto;
Quasi lapillo, il monte
A’ piedi suoi cadrà;
La tigre del deserto
Sul dorso il porterà!»
E già gagliardo e nomade
Corre la giovin terra;
Ode i ruggiti, e indomito
Sfida le belve in guerra;
Per mezzo alle foreste
Fiero la tenda inalza;
Cinge l’orribil veste
Dei pardo e del lïon;
Sui geli della balza
Suona la sua canzon.
Ma da quei geli un’intima
Voce soave il chiama:
Scende fratello incognito,
Trova i fratelli… ed ama!
Oh santo il primo amplesso,
Che rannodò i mortali!
Non gemito d’oppresso,
Non ira d’oppressor:
Ma liberi ed eguali.
Con un sei patto in cor!
Ecco una fiamma eterea
In mille spirti è giunta;
L’occhio di mille in candida
Pietra angolar s’appunta.
Curvo sostien le braccia
L’uom verso l’alto immote;
Gli scende sulla faccia
Misterïoso un vel…
È nato il sacerdote,
Stretta è la terra al ciel!
Muto si prostra il popolo
A lui, che vaticina;
Ode i proferti oracoli
Dalla fatal cortina;
E adora un dio; de’ campi
Nella virtù feconda,
Dei päurosi lampi
Nell’infiammato vol,
Nel fremito dell’onda,
Nella beltà del Sol!
Allor le destre in memori
Patti la Fè compose,
I genii del connubio
Si cinsero di rose,
L’uom tra le monde mani
Tolse l’occulto lare,
Negli aditi più arcani
Tremando il collocò,
E a quell’ignoto altare
Questa parola alzò:
«È mia la casa: i pargoli
Sangue del sangue mio!
Noi coronò di talami
Casti e felici Iddio!
Qui fu la nostra cuna,
Qui sorge il nostro avello,
Ciascun di noi per Una
Sentir qui debba amor…
Oh! non m’è più fratello
Chi non m’intende ancor!
«Pera chi tenta volgerti
In giorni bassi e rei,
O patria del mio cantico,
Terra de’ figli miei;
Sin le verginee voci
Daran tremendi suoni,
E contro alle feroci
Idre converse in te
Vigileran leoni
Delle tua mura al piè».
Oh come bello e splendido
Fu l’uom serrato in arme!
Si sollevò dall’orrida
Siepe de’ brandi un carme.
Si scossero i gagliardi,
Come rumor di venti,
La pugna dei codardi
Un breve lampo fu…
Sostarono i fuggenti,
E già non eran più
Inni al trionfo! Ei reduce
Pien di beltà guerriera
Sul petto con un fremito
Stringe l’ostil bandiera;
L’elmo, l’acciar la maglia
Fiammeggiano di gloria,
Il Dio della battaglia
A lui d’accanto sta…
— Incurvati, o vittoria,
Tolto lo scettro ei t’ha!
Santa è la pace! — Ai teneri
Nati il vestir festivo
Componi, o madre, e intrecciane
Il biondo crin d’ulivo!
O veglio, a’ tuoi racconti
Riedi sereno ancora;
Soldato, i patrii monti
Ritorna a salutar;
Sali, o nocchier, la prora,
E t’abbandona al mar!
Non più gli avversi spiriti
Suon d’oricalchi preme;
Santa è la pace! albergano
Gli agni e le tigri insieme.
L’uom non obblìa l’antica
Virtù; ma giace ascoso
L’elmetto e la lorica,
La lancia ed il corsier…
— È un altro il luminoso
Volo del suo pensier.
Fremente al par dell’aquila
Cui la bass’aria duole,
Egli s’avventa a togliere
Una favilla al sole!
Entra d’intatti regni
Nell’intime latèbre,
Misterïosi segni
Gli schiudono il cammin;
Ei rompe le tenèbre,
E interroga il destin!
«Di me che fia?… del fragile
Ente, che pensa e muore?…
Come s’incende l’aëre,
Come si pinge il fiore?…
Perchè senz’urto posa
Questa materia inerte?
Che è mai la forza ascosa
Che tutto volve al suol?
Di poche piume aperte
Come si libra il vol?

«Qual è virtù, che il vortice
Ferocemente desta,
Che annegra e muta il nugolo
In ira di tempesta?…
Della tua luce adorno
Non mi. mandasti, o Dio?
Dell’universo un giorno
Fatto non m’hai signor?
Dunque allo sguardo mio
Perchè lo celi ancor?….
Questo dolor, quest’impeto
L’uom sitibondo ardeva.
Era il poter dell’angelo,
Nella fralezza d’Eva!
E non tremò. Nei veli
Si spinse del mistero;
Schiuder le porte ai cieli,
Tentar l’abisso ardì…
— E incoronato il Vero
Dalla sua tomba uscì!
Tripudia, o forte! — Al sonito
Della tua voce ei venne;
Or lo suggella in pagina,
Che debba star perenne;
A lacerarti il seno
Gli stolti. sorgeranno;
Tu, martire sereno,
Esulta e va a morir!
Impero essi non hanno
Sui dì dell’avvenir!
Entro i non nati secoli,
Del gran giudicio è l’ora!
Per te venuta i posteri
Confesseran l’aurora;
Redimeranno i vati
Le non colpabili ossa;
E l’onta, che i passati
Sul marmo ti stâmpar,
Verrà nella sua possa
La gloria a cancellar!
Ma per qualunque tramite
Muover tu pensi l’orma,
Dimmi, qual mai ti seguita
Cara, celeste forma,
Che ti carezza il viso,
Che mormora il tuo nome,
Che di un fraterno riso
Consola il tuo cammin,
Che intreccia alle tue chiome
Le rose del suo crin?….
Oh! le ti prostra; e venera
Dio nelle sue sembianze!…
Spargile in sen le lagrime,
Le gioie e le speranze!…
E quando ogni altro amore
T’avranno tolto i fati,
Stringiti allor sul core
Quest’angiol di pietà:
— Tesori inaspettati,
La tua miseria avrà!
 
Giovanni Prati
 
 
da sempre ricerche,
nel nome del sesso, del cuore,
uomini, donne continui
spazio tempo in fusione,
gioie e dolori insieme...

venerdì 15 aprile 2016

Spina

È capitato a tutti almeno una volta, di sentire quella fastidiosa sensazione di puntura di spillo nelle mani o nei piedi e tutti abbiamo cercato disperatamente di trovarne la causa, scrutando e schiacciando morbosamente la zona infastidita. Ebbene si, spesso la causa è una spina o una scheggia, tanto piccola ma assai fastidiosa.
In questa piccola guida verrà spiegato in poche e semplici mosse, come togliere una spina infilata nella pelle.  

Se il dolore non fosse questa spina,
 questa lunga dorsale della vita
 forse non saremmo altro che niente,
 e dobbiamo ringraziare
 che ci venga a visitare e ci porti
 notizia delle cose
 che nell’ombra ci appaiono e nel turbine.

Daniele Piccini
Inizio fine
 
 pinzetta
spillo, ago
disinfettante
(acqua e sale)

 
Per prima cosa è bene mettersi alla luce o sotto una lampada e cercare di individuare la scheggia magari utilizzando una apposita lente di ingrandimento. A volte può essere visibile e addirittura uscire in parte dalla pelle (caso abbastanza raro e fortunato). In questo caso basterà afferrare l' estremità esterna con una pinzetta o un utensile a voi comodo e sfilarla delicatamente stando attenti che non si rompa e che non ne rimanga dentro un pezzetto.
 
 dolore, il dolore,
quella cosa alla bocca dello stomaco,
il respiro ingrato, l'ansia;
poi tutto sbocca in lacrime,
poi si sistema;
a volte pervade e continua...
 
 Altre volte invece non riusciamo ad individuare il corpo estraneo ed è necessario spremere un pochino la parte interessata (come per schiacciare un brufolo) così da far risalire la nostra spina e poterla individuare. Se non è conficcata troppo a fondo è possibile che solo schiacciandola esca fuori da sola! Ovviamente una volta tolta la spina è bene disinfettare accuratamente la ferita residua con disinfettante o sciacqui di acqua e sale (dalla rete)