giovedì 31 maggio 2012

Poesia e riflessso

Grido

Non avere un Dio
non avere una tomba
non avere nulla di fermo
ma solo cose vive che sfuggono –
essere senza ieri
essere senza domani
ed acciecarsi nel nulla –
– aiuto –
per la miseria
che non ha fine –

Antonia Pozzi
10 febbraio 1932


soffocate pretese stridono
rotaie di infinite partenze
è un cielo terso che vedo
sul finire del sogno staglia
guglie imperiose di nubi...

mercoledì 30 maggio 2012

Ora che il vento


Ora che il vento

Ora che il vento soffia
un ritmico vocio bisbiglia
i miei casti pensieri al sole,
ora che la luce diffonde
il mio cuore ripalpita colpi
creduti lontani, assenti;
nel perdurare del giorno
si assottiglia l'attesa,
si sfinisce il ritorno.

Anonimo del XX° secolo
poesie ritrovate

Félix Vallotton, Il vento, 1910

Il vento è un fenomeno naturale che consiste nel movimento ordinato, quasi orizzontale, di masse d'aria dovuto alla differenza di pressione tra due punti dell'atmosfera.
In presenza di due punti con differente pressione si origina una forza detta forza del gradiente di pressione o forza di gradiente che agisce premendo sulla massa d'aria per tentare di ristabilire l'equilibrio.
Il flusso d'aria non corre in maniera diretta da un punto all'altro, cioè con stessa direzione della forza di gradiente, ma subisce una deviazione dovuta alla forza di Coriolis che tende a spostarlo verso destra nell'emisfero settentrionale e verso sinistra nell'emisfero meridionale.
A causa di questo effetto il vento soffia parallelamente alle isobare.
In questo caso si parla di vento geostrofico.
Tuttavia alle basse quote (meno di 600 m) è necessario tenere anche conto dell'azione dell'attrito con la superficie terrestre che è in grado di modificare, la direzione del vento di circa 10° sul mare e 15-30° sulla terra rispetto a quella del vento geostrofico, rendendo il percorso dall'alta pressione alla bassa pressione più diretto.
La velocità del vento, o meglio la sua intensità, dipende dal gradiente barico, cioè dalla distanza delle isobare, e si misura con uno strumento chiamato anemometro e può essere espressa in:m/s,km/h,nodi.
Esistono venti detti periodici come gli alisei che soffiano a cicli annuali a causa del diverso riscaldamento stagionale delle terre e degli oceani, oppure come le brezze che soffiano a cicli giornalieri a causa del diverso riscaldamento durante il giorno e la notte del mare rispetto alla terra, o delle montagne rispetto al fondovalle (dalla rete).

martedì 29 maggio 2012

Tiglio

Tilia L. (nome comune tiglio) è un genere di piante della famiglia delle Tiliaceae (Malvaceae secondo la classificazione APG), originario dell'emisfero boreale. Il nome deriva dal greco ptilon (= ala), per la caratteristica brattea fogliacea che facilita la diffusione eolica dei grappoli di frutti. Sono alberi di notevoli dimensioni, molto longevi (arrivano fino a 250 anni), dall'apparato radicale espanso, profondo. Possiedono tronco robusto, alla cui base si sviluppano frequentemente numerosi polloni, e chioma larga, ramosa e tondeggiante. La corteccia dapprima liscia presenta nel tempo screpolature longitudinali. Ha foglie alterne, asimmetriche, picciolate con base cordata e acute all'apice, dal margine variamente seghettato. I fiori, ermafroditi, odorosi, hanno un calice di 5 sepali e una corolla con 5 petali di colore giallognolo, stami numerosi e saldati alla base a formare numerosi ciuffetti; il pistillo è unico con ovario supero pentaloculare; sono riuniti a gruppi di 3 (o anche 2-5) in infiorescenze dai lunghi peduncoli dette antele (cioè infiorescenze in cui i peduncoli fiorali laterali sono più lunghi di quelli centrali). Le infiorescenze sono protette da una brattea fogliacea ovoidale di colore verde-pallido, che rimane nell'infruttescenza e come un'ala agevola il trasporto a distanza dei frutti. Questi sono delle nucule ovali o globose, della grossezza di un pisello, con la superficie più o meno costoluta, pelosa e con un endocarpo legnoso e resistente, chiamata carcerulo. Il tiglio vegeta nelle zone dal Castanetum al Fagetum in luoghi freschi e ombreggiati. Comprende specie arboree che si incrociano facilmente tra loro, dando luogo a numerosi ibridi dalle caratteristiche intermedie; ne deriva che la classificazione delle specie risulta poco agevole, con opinioni contrastanti tra i botanici, e un numero di specie considerate autonome che può variare da 18 a 65 a seconda dell'autore considerato.. Le specie spontanee in Italia sono: Tilia cordata Mill. (= Tilia parvifolia Ehrh., Tilia sylvestris Desf.) noto col nome di tiglio selvatico Tilia platyphyllos Scop. (= Tilia europea L.) noto col nome di tiglio nostrale o tiglio nostrano. Le specie citate vengono considerate da alcuni autori come sottospecie della linneana Tilia europaea nota come tiglio europeo o tiglio comune; citiamo inoltre la Tilia x vulgaris Hayne noto col nome di tiglio intermedio, che è un ibrido tra la Tilia cordata e la Tilia platyphyllos, con caratteristiche intermedie tra le specie originarie, molto diffuso in Italia.
Tra le specie ornamentali coltivate nel nostro paese, oltre a Tilia cordata, ricordiamo Tilia americana L. e le numerose varietà, originaria del Nord America e nota come tiglio americano; si presenta come un albero di 23–40 m di altezza, a foglie decidue, ovate-cordate di colore verde scuro e piccoli fiori ermafroditi, primaverili, di colore giallognolo, frutti secchi e duri, pubescenti, contenenti uno o due semi. La famiglia del tiglio è "Tigliacee"; il nome scientifico è "Tilia x europaea L." Come pianta ornamentale nei viali, parchi e giardini Il legno biancastro, omogeneo, leggero (p. sp. 0,90 fresco, 0,65 stagionato) è idoneo a lavori di intaglio, intarsio, scultura, parti di strumenti musicali e per la realizzazione di oggetti vari In particolare è utilizzato per i corpi di chitarre e bassi "solid body" in liuteria elettrica. La varietà utilizzata è normalmente indicata con l'inglese basswood. I fiori forniscono il nettare per il miele, e vengono utilizzati per la preparazione di infusi e tisane Nell'arboricoltura da legno vengono utilizzate per il governo a ceduo o fustaia, grazie al rapido vigore vegetativo Come pianta medicinale, nella farmacopea ufficiale vengono utilizzati i fiori col nome di Tiliae flores per la presenza del glucoside Tiliacina, e di tannini, mucillagini, ecc. (da Wikipedia).

 
Imitazione della gioia
 
Dove gli alberi ancora 
abbandonata più fanno la sera, 
come indolente 
è svanito l'ultimo tuo passo 
che appare appena il fiore 
sui tigli e insiste alla sua sorte. 

Una ragione cerchi agli affetti, 
provi il silenzio nella tua vita. 

Altra ventura a me rivela 
il tempo specchiato. Addolora 
come la morte, bellezza ormai 
in altri volti fulminea. 
Perduto ho ogni cosa innocente, 
anche in questa voce, superstite 
a imitare la gioia.

Salvatore Quasimodo

lunedì 28 maggio 2012

Donna

Donna

Nel tuo esserci l'incanto dell'essere,
La vita, tua storia,
segnata dal desiderio d'essere
semplicemente donna!
Nel tuo corpo ti porti,
come nessun altro,
il segreto della vita!
Nella tua storia
la macchia dell'indifferenza,
della discriminazione, dell'oppressione…
in te l'amore più bello,
la bellezza più trasparente,
l'affetto più puro
che mi fa uomo!


Eliomar Ribeiro de Souza


Una donna è un essere umano adulto di genere femminile. Si distingue dalla femmina prepubere, che può essere chiamata, a seconda dell'età, ragazza, fanciulla o bambina, e dall'altro sesso della specie, l'uomo. La parola donna deriva dal latino domna, forma sincopata di domina, cioè "signora". Per le lingue derivate dal latino: l'uso della parola donna è attestato anche nel provenzale; in francese si usa femme, "femmina", mentre in spagnolo mujer e in portoghese mulher, "moglie". In inglese sembra che woman sia la contrazione di wife man, quindi "moglie". In tedesco si usa frau, "signora". L'anatomia della donna presenta, rispetto a quella della fanciulla, anche un assetto di caratteri sessuali secondari che la contraddistinguono rispetto al maschio adulto, come la presenza delle mammelle, più sviluppate, e capaci di produrre il latte; un tono della voce più alto, acuto; una pelosità inferiore; un ciclo di crescita dei capelli più lungo. Il passaggio all'età adulta, dal punto di vista biologico, è segnato da diverse tappe, come il telarca (lo sviluppo delle mammelle) e il menarca (l'apparizione del primo ciclo mestruale). Al contrario di altri animali, la donna non entra in estro, anche se è noto che il comportamento sessuale della donna presenta della variazioni in base al ciclo[2]. La periodicità mestruale, il cui ciclo dura circa 28 giorni, termina con la menopausa, intorno ai 45-50 anni. La gestazione nella donna è detta gravidanza e la donna gravida è detta "incinta". La gestazione, che dura nove mesi, è più spesso monoembrionaria, solo 1 su 40 è gemellare. Dopo il parto può iniziare l'allattamento, che, in linea di massima, dura fino al 4-6 mese di vita del neonato. Per quanto riguarda le differenze emotive, psicologiche, comportamentali e sociologiche tra donna e uomo, molti studi comparativi di prevalenza sono stati fatti, con risultati non sempre universalmente accettati. Il maquillage, una pratica più spesso femminile, diffusa in numerose culture.Si reputa che le donne siano più spesso dedite a una maggior attenzione dell'estetica del proprio corpo. Questa differenza, rispetto all'uomo, si manifesta con l'uso di diversi artifici, come il maquillage e l'utilizzo di gioielli ornamentali. Nella maggioranza delle culture, la donna si veste in maniera differente dall'uomo, sia per questioni relative al pudore che per esigenze sociali e/o religiose (da wikipedia).

domenica 27 maggio 2012

Poesia e riflesso

Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredita’
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,
Quello che veramente ami è la tua vera eredita’
La formica è un centauro nel suo mondo di draghi.
Strappa da te la vanità, non fu l’uomo
A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,
Strappa da te la vanità, ti dico strappala
Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo
Nella misura dell’invenzione, o nella vera abilità dell’artefice,
Strappa da te la vanità,
Paquin strappala!
Il casco verde ha vinto la tua eleganza.
“Dominati, e gli altri ti sopporteranno”
Strappa da te la vanita’
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un’ala da una coda
Strappa da te la vanita’
Come son meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità. Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.

Ezra Pound
canto 81
(canti pisani)


teorie consunte ripiegano
fogli di carta fitti di parole
vaghe sensazioni, ricordi,
quasi grigi, come ovattati;
nel suono mattiniero di un auto
ritorno e il ricordo si stempera
e supera l'indifferente muro...

sabato 26 maggio 2012

Poesia, riflesso e chiarimento




Barche amorrate
 
Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele!
Che tesson e tesson: lamento
Volubil che l'onda che ammorza
Ne l'onda volubile smorza...
Ne l'ultimo schianto crudele...
Le vele le vele le vele

Dino Campana 



lo sciabordio del mare
incastona barche ormeggiate
in un porto qualunque di vita
mentre il forte contesto di vento
crea scompiglio ai capelli...
.



Barche amorrate è il titolo di un breve componimento poetico di Dino Campana. Fa parte della sezione "Varie e frammenti" dei "Canti orfici" che compare nell'edizione pubblicata nel 1914.
Il poeta evoca, nel testo, in versi che si inseguono con musicalità data dalla reiterazione delle parole adoperate, il movimento delle vele che schioccano e frustano al vento, talvolta producendo un lamento volubile quale un'onda che si infranga nella risacca, fino a giungere ad un ultimo schianto crudele.
Il termine amorrate del titolo (non ricorre infatti nel testo) fu mutato, già dalla seconda edizione di pubblicazione (effettuata da Vallecchi del 1928), in amarrate cioè ormeggiate. Tale dizione fu seguita anche nelle successive edizioni curate da Enrico Falqui; lo stesso Falqui però segnala l'esistenza di amurra, che in genovese significa arenare (da wikipedia).

venerdì 25 maggio 2012

Nostalgia

La nostalgia (parola composta dal greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore): "dolore del ritorno") è uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari o per un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere, spesso ricordato in modo idealizzato. Può talvolta evolvere in manifestazioni di carattere patologico. Il termine nostalgia, pur derivato dal greco, come molti termini scientifici, era sconosciuto al mondo greco. Entra nel vocabolario europeo nel XVII secolo per opera del medico svizzero Johannes Hofer, alle prese con una patologia diffusa tra i suoi connazionali, costretti dall'arruolamento come truppe mercenarie a restarsene lontani a lungo dai monti e dalle vallate della repubblica elvetica. «Nostalgia» è infatti la designazione dotta del «mal du pays» o «Heimweh» (letteralmente il dolore della casa). Tale stato patologico era così grave che spesso portava alla morte i soggetti che ne erano colpiti e nessun intervento medico valeva a ridare loro le forze e la salute a meno che non li si riportasse verso casa. A partire dalla fine del XVIII secolo e soprattutto nella prima metà del secolo successivo, accanto all'interesse medico, la nostalgia convoglia notevoli attenzioni in ambito poetico e musicale, in corrispondenza con l'ondata migratoria dall'Est Europa. Tuttavia, è soltanto a partire da Charles Baudelaire che il termine si libera dal riferimento a precisi luoghi o al passato infantile, per assurgere a condizione di anelito indefinito (da wikipedia).

 
Nostalgia

Tra le nubi ecco il turchino
Cupo ed umido prevale:
Sale verso l'Apennino
Brontolando il temporale.
Oh se il turbine cortese
Sovra l'ala aquilonar
Mi volesse al bel paese
Di Toscana trasportar!
Non d'amici o di parenti
Là m'invita il cuore e il volto:
Chi m'arrise a i dí ridenti
Ora è savio od è sepolto.
Né di viti né d'ulivi
Bel desio mi chiama là:
Fuggirei da' lieti clivi
Benedetti d'ubertà.
De le mie cittadi i vanti
E le solite canzoni
Fuggirei: vecchie ciancianti
A marmorei balconi!
Dove raro ombreggia il bosco
Le maligne crete, e al pian
Di rei sugheri irto e fosco
I cavalli errando van.
Là in maremma ove fiorío
La mia triste primavera,
Là rivola il pensier mio
Con i tuoni e la bufera:
Là nel ciel nero librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co 'l tuon vo' sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar. 

Giosuè Carducci

giovedì 24 maggio 2012

Il contadino astrologo e un frammento

C'era una volta un re che aveva perduto un anello prezioso. Cerca qua, cerca là, non si trova. Mise fuori un bando che se un astrologo gli sa dire dov'è, lo fa ricco per tutta la vita. C'era un contadino senza un soldo, che non sapeva né leggere né scrivere, e si chiamava Gàmbara. "Sarà tanto difficile fare l'astrologo? -si disse- Mi ci voglio provare". E andò dal Re. Il Re lo prese in parola, e lo chiuse a studiare in una stanza. Nella stanza c'era solo un letto e un tavolo con un gran libraccio d'astrologia, e penna carta e calamaio. Gambara si sedette al tavolo e cominciò a scartabellare il libro senza capirci niente e a farci dei segni con la penna. Siccome non sapeva scrivere, venivano fuori dei segni ben strani, e i servi che entravano due volte al giorno a portarglì da mangiare, si fecero l'idea che fosse un astrologo molto sapiente. Questi servi erano stati loro a rubare l'anello, e con la coscienza sporca che avevano, quelle occhiatacce che loro rivolgeva Gambara ogni volta che entravano, per darsi aria d'uomo d'autorità, parevano loro occhiate di sospetto. Cominciarono ad aver paura d'essere scoperti e, non la finivano più con le riverenze, le attenzioni: "Si, signor astrologo! Comandi, signor astrologo!" Gambara, che astrologo non era, ma contadino, e perciò malizioso, subito aveva pensato che i servi dovessero saperne qualcosa dell'anello. E pensò di farli cascare in un inganno. Un giorno, all'ora in cui gli portavano il pranzo, si nascose sotto il letto. Entrò il primo dei servi e non vide nessuno. Di sotto il letto Gambara disse forte: - E uno!- il servo lasciò il piatto e si ritirò spaventato. Entrò il secondo servo, e sentì quella voce che pareva venisse di sotto terra: - E due! - e scappò via anche lui. Entrò il terzo, - E tre! - I servi si consultarono: - Ormai siamo scoperti, se l'astrologo ci accusa al Re, siamo spacciati. Cosi decisero d'andare dall'astrologo e confessargli il furto. - Noi siamo povera gente, - gli fecero, - e se dite al Re quello che avete scoperto, siamo perduti. Eccovi questa borsa d'oro: vi preghiamo di non tradirci. Gambara prese la borsa e disse: - lo non vi tradirò, però voi fate quel che vi dico. Prendete l'anello e fatelo inghiottire a quel tacchino che c'è laggiù in cortile. Poi lasciate fare a me. Il giorno dopo Gambara si presentò al Re e gli disse che dopo lunghi studi era riuscito a sapere dov'era l'anello. - E dov'è? – - L'ha inghiottito un tacchino. - Fu sventrato il tacchino e si trovò l'anello. Il Re colmò di ricchezze l'astrologo e diede un pranzo in suo onore, con tutti i Conti, i Marchesi, i Baroni e Grandi del Regno. Fra le tante pietanze fu portato in tavola un piatto di gamberi. Bisogna sapere che in quel paese non si conoscevano i gamberi e quella era la prima volta che se ne vedevano, regalo di un re d'altro paese. - Tu che sei astrologo, - disse il Re al contadino, - dovresti sapermi dire come si chiamano questi che sono qui nel piatto. Il poveretto di bestie così non ne aveva maiviste né sentite nominare. E disse tra sé, a mezza voce: - Ah, Gambara, Gambara… sei finito male! – Bravo! - disse il Re che non sapeva il vero nome del contadino. - Hai indovinato: quello è il nome: gamberi! Sei il più grande astrologo dei mondo. -

Italo Calvino, Fiabe Italiane


nè scivolerò ancora il fato
quando sentii piangere il sole,
in un solo lampo credetti a Dio
e costrinsi le reni al suolo;
ora penso, ora sono...

anonimo del XX° secolo
frammenti ritrovati


mercoledì 23 maggio 2012

Poesia e riflesso

MUSA SERALE

Alla finestra fiorita ritorna del campanile l'ombra
e l'oro. La fronte ardente si spegne in silenzio e pace.
Una fonte sgorga nell'oscurità del castagno -
e tu senti: tutto è bene! nel doloroso sfinimento.

Il mercato è vuoto di frutti estivi e ghirlande.
Concorde appare dei portali la nera pompa.
In un giardino risuonano di un soave concerto i toni,
dove amici si ritrovano dopo il pasto.

La favola del bianco mago l'anima volentieri ascolta.
Intorno sussurra il grano che al pomeriggio falciatori tagliarono.
Paziente tace nelle capanne la dura vita;
delle mucche il mite sonno rischiara la lanterna.

Ebbri d'aria presto i cigli calano
e si aprono lievi a stranieri stellari segni.
Endimione sorge dall'oscurità di querce antiche
e si china su acque di lutto grevi.

Georg Trakl

Musa con lira

mancano temi al presente
per riunire discorsi slegati;
in un niente ripiego le frasi
come composte decorazioni
e in un istante rimuovo
consueti contesti imprecisi...

Calliope. Dettaglio del dipinto Urania e Calliope di Simon Vouet


Nella mitologia greca Calliope (in Greco Καλλιόπη, ossia "dalla bella voce") era la musa della poesia epica, figlia di Zeus e Mnemosine, conosciuta come la Musa di Omero, l'ispiratrice dell'Iliade e dell'Odissea.
Ebbe due figli, Orfeo e Lino il cui padre a seconda delle leggende era Apollo oppure il re della Tracia Eagro. Fu amata da suo padre Zeus, e da lui generò i Coribanti. Era la maggiore e la più saggia delle Muse, nonché la più sicura di sé. Fece da giudice nella disputa su Adone tra Afrodite e Persefone, decidendo che ognuna trascorresse con lui la stessa quantità di tempo. I suoi simboli sono lo stilo e le tavolette di cera.
Viene sempre rappresentata con in mano una tavoletta su cui scrivere. Talvolta ha con sé un rotolo di carta oppure un libro e porta una corona d'oro sul capo.
È stata anche ispiratrice di Dante nella Divina Commedia, che la invoca nel II canto dell'Inferno (da wikipedia).

martedì 22 maggio 2012

Il fiume tra poesia e rfilesso

Il fiume è un corso d'acqua che nasce dallo sciogliersi dei ghiacciai (il punto esatto dove nasce il fiume si chiama sorgente), esso scorre incanalato in un solco, detto letto del fiume, che occupa il fondo di una valle, scavata dal lavoro d'erosione, compiuto dal fiume stesso. La valle ha di solito un profilo trasversale a forma di V, e dei versanti che si fanno più rapidi quanto più compatta è la struttura del terreno, nel quale esso è scavato. Procedendo verso il basso la valle si apre, ed il fluire dei versanti diventa più dolce, per questo, molti grandi fiumi scorrono nel tronco inferiore, in pianura, ed il loro letto si fa larghissimo. Nel suo fluire verso le terre più basse, il fiume, può ricevere altri corsi d'acqua detti affluenti. Il fiume, nel suo complesso, ha un andamento longitudinale di tipo paraboloide, ripido accanto alla sorgente, con una pendenza minima per un buon tratto prima dalla foce. Questo andamento prende il nome di profilo del fiume. Quando non è affluente di un altro più importante il fiume sfocia in un mare o in un lago: è proprio in questo momento che si possono incontrare alcune differenze macroscopiche dello stesso.
La foce di un fiume, infatti, può essere di tre tipi: semplice, a delta o ad estuario. Una foce semplice è una foce ad un solo ramo; una foce a delta si può incontrare invece quando il fiume si divide in più rami prendendo una caratteristica forma triangolare (i fiumi con una foce a delta più importanti sono il Po', il Danubio, il Nilo ed il Mississippi), ed infine, parlando di una foce ad estuario, s'intende una foce le cui sponde si allargano ad imbuto (come per esempio nei fiumi Senna, Congo e Tamigi). Le caratteristiche strutturali più importanti di un fiume (e che quindi lo caratterizzano in modo particolare) sono sicuramente:

IL BACINO (cioè l'area depressa nella quale si accumulano i sedimenti del fiume stesso)
IL PROFILO DI EQUILIBRIO (dalla sorgente alla foce)
LA PORTATA (il volume d'acqua che passa in una sezione del fiume in un minuto-secondo)
IL REGIME(ovvero la tipologia della distribuzione della portata durante un periodo annuale)
IL COEFFICENTE DI DEFLUSSO
Tutte queste caratteristiche sono da rapportare alle condizione climatiche, e geolitologiche del territorio attraversato dal corso d'acqua in esame. Anche il letto di un fiume (come la sua foce), può assumere aspetti differenti (si possono suddividere infatti i letti di un fiume in letti di magra o di piena), e lo studio della sua sezione è utile per la determinazione delle sue caratteristiche, ed in particolare per quelle di sedimentazione. La capacità di sedimentazione di un fiume, infatti, se molto elevata in pianura, porta di sovente alla sopraelevazione del suo letto rispetto al piano di campagna (come nel caso di un fiume pensile). Molto importanti, a questo proposito, sono quindi le opere d'ingegneria, con cui s'intende governare i corsi d'acqua, diminuirne l'azione erosiva, migliorarne la navigabilità, e difendere abitanti e campagne dalle loro piene (a volte disastrose). Un corso d'acqua quando subisce forti variazioni di portata, tali che in alcuni periodi dell'anno può rimanere asciutto prende il nome di torrente (dalla rete).

Nei fiumi a nord del futuro
da "Virata di respiro"

Nei fiumi a nord del futuro
getto la rete che tu,
esitante, carichi
di ombre scritte
da pietre

Paul Celan 
 
 
In den flussen nördlich der Zukunft
("Atemwende")

In den flussen nördlich der Zukunft
werf ich das Netz aus, das du
zögernd beschwerst
mit von Steinen geschriebenen
Schatte.

Paul Celan


il fiume che sono riposa
le stanche rive assolate
in un insieme di torti,
in un nugolo di ragioni;
l'azzurro si va stemperando
in viola e cobalto...


lunedì 21 maggio 2012

La meraviglia e le gemme

Rientrano fra le gemme tutte quelle specie e varietà minerali (oltre ad alcune rocce ed alcuni materiali di origine vegetale od animale) che, suscettibili di taglio o lucidatura, possono essere utilizzate in lavori di gioielleria.
La preziosità di queste pietre è determinata dalla loro purezza e dall'intensità del loro colore oltre che dalla loro rarità.
Vengono considerate come gemme anche l'avorio, il corallo e le perle, che sono di origine animale anziché minerale, e l'ambra ed il giaietto, che sono di origine vegetale.
Benché sia ancora comunemente usato, il termine pietre preziose ha poco significato poiché in pratica il valore commerciale di una gemma dipende essenzialmente dalle sue qualità ottiche (principalmente la limpidezza e il colore) e dalla lavorazione piuttosto che dalla appartenenza a specifiche specie minerali più o meno preziose.
Conseguentemente ha poco significato la distinzione fra pietre preziose e semipreziose, specialmente se si considera che ormai da anni vengono lavorate con ottimi risultati moltissimi minerali intrinsecamente non preziosi ma che hanno caratteristiche di lavorabilità, durezza, colore e limpidezza tali da consentire di produrre gemme di qualità (da wikipedia).


Alcune gemme:

1) turchese
2) ematite
3) crisocolla
4) occhio di tigre
5) quarzo
6) tormalina
7) corniola
8) pirite
9) sugilite
10) malachite
11) quarzo rosa
12) ossidiana "a fiocchi di neve"
13) rubino
14) agata muschiata
15) diaspro
16) ametista
17) agata calcedonio
18) lapislazzuli





La meraviglia

Incatenata dalla meraviglia,
s'indugia ancora e il sangue dei rubini,
forse, il pallor del volto le invermiglia.
O perle opache, o bei fiori marini
che le regine attorcono in collane
su le grazie de' nudi alabastrini.
Dolci turchesi ed ametiste strane
prescelte ai fasti della liturgia,
gemme per dita sacre e per sovrane.
Gioie di nozze e prezzo di follia
ch'offre amore a far sazia la sua sete.
Taluno che la riguardante spìa
esce dall'ombra e tenta : — Che scegliete ?

Amalia Guglielminetti


domenica 20 maggio 2012

Poesia e riflesso

A mezzo Maggio

A mezzo maggio migrano nei prati
le lucciolette e vanno sul frumento.
come un soave aroma le conduce;
e balenando dentro l'aria scura
cercano i fiori delle vetri ariste.

Tutta la vasta pianura è un luccichio.

A mezzo maggio presso i casolari
le fragolette odorano negli orti
soavemente. Dalle vie propinque
i bei garzoni accordan le chitarre
per liberar le allegramerenate

Va nella cheta notte un arpeggio

Enrico Panzacchi


mese su mese si passa
nel cuore del tempo,
farfalle di giorno,
lucciole notturne...

sabato 19 maggio 2012

Alicante

Alicante (Alacant in catalano), è una città spagnola della Costa Blanca, situata ai piedi di una collina che si affaccia sul Mar Mediterraneo al centro di una grande baia. Capoluogo dell'omonima provincia, la sua popolazione nel 2008 era di 331.750 abitanti.
Alicante è un importante porto e una delle città a crescita più elevata della Spagna; il suo aspetto è perciò molto mutato a causa dei grandi interventi edilizi degli ultimi anni del secolo scorso. L'economia è basata sul turismo, la produzione di vini e i servizi. Esporta vini, olio di oliva e frutta e ha parecchie industrie del settore alimentare, tessile e conciario. La città è sede dell'Ufficio per l'Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI), l'Agenzia dell'Unione Europea che si occupa di marchi e design.
Nella sua storia si avvicendarono Fenici, Greci, Cartaginesi e Romani. Nel 237 a.C. il generale cartaginese Amilcare Barca fortificò il colle sul quale poi i Musulmani costruirono il castello. I Romani nel II secolo a.C. fondarono nelle vicinanze il municipio di Lucentum. Nel periodo delle invasioni barbariche divenne un'importante città visigota, passò poi ai Bizantini e, nell'VIII secolo, agli Arabi, che ne detennero il possesso fino al XIII secolo, quando fu conquistata dai Cristiani e popolata dai catalani. Nel 1936 vi fu fucilato il capo della formazione politica di destra detta la Falange spagnola José Antonio Primo de Rivera. Questo fu uno dei primi episodi che scatenarono la guerra civile che nel 1939 portò alla dittatura di Francisco Franco.Molto animata la vita notturna nei numerosissimi locali del centro e nella zona del porto. Per la sua posizione geografica gode di un ottimo clima ed è frequentata anche come soggiorno invernale, è molto animata anche durante l'estate; il centro della vita cittadina, dove si trovano gli alberghi principali, caffè e luoghi di ritrovo, è la cosiddetta Explanada de España (Esplanada d'Espanya in catalano) bellissimo lungomare con palme che va dai piedi della collina del castello fino al molo principale del porto. La specialità locale è il torrone. È sede di una giovane ma attiva Università meta ogni anno di numerosi studenti provenienti da tutto il mondo. È sede vescovile con Orihuela. È ricca di edifici religiosi e conta ben 36 chiese nel solo centro abitato.
Tra i suoi monumenti più famosi vi è il "Castillo de Santa Bárbara" che domina la costa dall'alto del monte Benacantil. La storia della fortezza inizia con il dominio musulmano. Il castello si consolidò con la conquista di Alfonso X. La fortezza dimostrò la sua importanza difensiva quando fu costruita intorno ad essa una muraglia di tipo moderno, in sintonia con il progresso dell'artiglieria, ai tempi di Carlos I e di Felipe II. L'edificio è parte del patrimonio comunale dal 1928. Altri monumenti importanti sono la Cattedrale di San Nicola, il Municipio e la Chiesa di Santa Maria. Luoghi di interesse turistico sono la Explanada, il Parco de El Palmeral, il porto, il Tossal de Manises e l'isola di Tabarca.


Alicante

Un'arancia sul tavolo
Il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto, tu
Dolce dono del presente
Frescura della notte
Calore della mia vita.

Jacques Prévert



venerdì 18 maggio 2012

Timoniere

Il timoniere è un membro dell'equipaggio di un'imbarcazione, addetto alla manovra del timone.
Visto che il timoniere è colui che conduce materialmente la nave sulla giusta rotta, non di rado il termine è associato a importanti personalità del campo politico.
In tale accezione metaforica, Mao Zedong era ad esempio detto "il Grande Timoniere".
Nell'imbarcazione a vela le sue principali funzioni sono: orzare il timone, poggiare il timone e cazzare la randa.
Il termine è usato anche nel canottaggio ed è quel membro dell'equipaggio che ha il compito di condurre la barca, dando il tempo agli altri componenti dell'equipaggio. Solitamente la sua posizione è a poppa.
Nelle competizioni internazionali egli è premiato con le madaglie al pari degli atleti e non sono rari i casi in cui alcuni timonieri acquisiscano una cera notorietà (da wikipedia).

Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.

Pablo Neruda


lentamente sogna chi è solo,
si porta in cuore i sospiri
e raccoglie le gocce di pioggia;
nel cupo vortice dell'ansia
si cercano appigli sicuri
e saldamente si tiene il timone...

giovedì 17 maggio 2012

Gioia

Dormiva su un giaciglio fatto di erba, mescolata a foglie verdi, che provvedeva a cambiare, ogni volta che iniziavano a farsi secche, in mezzo ad un immenso prato, contornata da alte querce ombrose.
Era una bimba minutina ma proporzionata, con delle belle guanciotte rosse e un po' ruvide, occhi grandi e dolci come quelli di un cerbiatto, capelli lunghi, ordinatamente legati da un fiocco rosso.
Si chiamava Gioia. Contrariamente al suo nome, che avrebbe dovuto identificarla come una persona gaia, serena e contenta, Gioia, era una bimba molto triste. Quando la sera si stendeva sul suo giaciglio e si trovava di fronte quell'immenso cielo stellato, rischiarato a volte dalla brillantezza della luna, era naturale per lei, sentirsi sola, piccola e indifesa, immersa in tutto quel blu che la circondava.
E pensava, che i bimbi sono coloro che devono imparare a vedere le cose e a capirle durante e solo con la crescita, che non devono essere costretti a crescere, dalle situazioni che si verificano loro intorno.
E quanti bimbi, come lei, erano infelici, in quello stesso momento!
Tutto ad un tratto, vide una stella cadente sfrecciare nel cielo e attraversarlo completamente, da sinistra verso destra. Immediato, arrivò il suo desiderio, che poi era sempre lo stesso, per tutte le volte che aveva assistito a tali avvenimenti: lei non voleva niente di materiale, nè vestiti, nè giocattoli, nè cose superflue. Desiderava solo che tutti i bimbi del mondo, potessero avere ciò che a lei più mancava: amore e tenerezza, serenità e pace, tranquillità e compagnia.
Il Vento, che aveva accompagnato la stella cadente nella sua discesa, ascoltò senza volere le sue parole, ed intenerito dalle sue nobili intenzioni, decise di aiutarla, nell'unico modo che gli era possibile. Si alzò forte nel cielo, fino a toccare le nuvole e a spostarle con un lieve movimento della sua bocca, arrivando fino alla Luna, che splendeva in tutta la sua maestosità: Ella, sempre così attenta al Vento, che con la sua forza tutto riusciva a muovere e cambiare, che le offriva, ogni qualvolta ne fosse in grado, la possibilità di illuminare le notti più oscure, vedendolo andare presso di lei, gli chiese:
"Caro amico, quale motivo hai tu stasera, per avvicinarti a me, in assenza di nubi?"
Egli, con voce decisa, rispose:
"Mi sei debitrice cara Luna, lo sai quante volte ho soffiato fino allo stremo solo per mostrarti al mondo e farti arrivare fino agli angoli più bui? Beh, adesso sono io ad aver bisogno di te: dammi un tuo frammento, affinchè possa donarlo ad una bimba infelice, che deve trovare la sua strada ben illuminata. Solo così potrà sentirsi meno sola e trovare quello che le manca".
La luna ascoltò con attenzione, tutte le sue parole e la sua risposta, non si fece attendere oltre:
"Soffia adesso contro di me, con tutta la tua forza e nello stesso istante corri al lato opposto e raccogli quel frammento che si staccherà! E quando le arriverà, dille che ogni volta che lo stringerà a sè, si illuminerà, indicandole la strada giusta….Corri, non farla aspettare ancora ! "
Il vento si affrettò a compiere la sua missione, ma si accorse che mancava ancora qualcosa. E allora raggiunse velocemente quel punto in cui era caduta quella stella, che anche Gioia aveva visto, e che le aveva chiesto di esprimere quel preciso desiderio. Lì la trovò, ancora brillante, ancora accesa, anche se un po' malconcia.
"Stellina, vuoi continuare a brillare per me? " le chiese il Vento "Ho già un piccolo frammento di Luna, così non sarai mai sola; vi porterò in un posto, in cui ti sentirai a tuo agio, perchè continuerai ad esplicare al massimo il tuo antico compito: indicherai la strada come quando lo facevi per i marinai, ad una piccola bimba, che si è perduta."
Così la raccolse ed insieme alla Luna, le racchiuse in un'ampolla di vetro, non senza però averla prima riempita dell'aria pura presente nel cielo quella sera.
Quando Gioia si svegliò, il mattino dopo, trovò accanto a sè la magica ampolla consegnatale dal Vento, con dentro quanto le serviva per continuare il suo percorso. Un minerale bianco ed uno rosso, contenuti, a loro volta, in una bolla d'aria sana, che riempiva l'ampolla.
Tutte le volte che la guardò, da quel giorno in poi, si sentì felice, serena, gioiosa e non più sola e quando ne aveva bisogno, la stringeva a sè e si sentiva la bimba più sicura del mondo. La tenne sempre con sè, e dovunque andò, da quel momento in poi, si sentì sempre come a casa sua.
Ancora oggi, se guardiamo il cielo in una notte di luna piena, possiamo vedere che nel suo contorno c'è una piccola imperfezione: come se qualcuno, ne avesse tolto un pezzetto. E ogni volta che vediamo cadere una stella ed esprimiamo un desiderio, cerchiamo di pensare alle persone che soffrono e che hanno bisogno di tutto quello, che a volte noi abbiamo e di cui non ci rendiamo conto.
E il vento, che ruolo ha? Il vento è colui che tutto muove e tutto cambia, in un attimo che dura da un'eternità…
E quella bimba, sapete dove sia? Beh, dopo quella notte, è cambiata molto, è cresciuta ed è riuscita a portare a tutti i bambini che ha incontrato sul suo cammino, una caratteristica molto, molto particolare…… Il suo nome….è GIOIA, e non scordarla mai! (dalla rete)

mercoledì 16 maggio 2012

Poesia e riflesso

Mi desto dal leggero sonno

Mi desto dal leggero sonno solo
nel cuore della notte.
Tace intorno
la casa come vuota e laggiù brilla
silenzioso coi suoi lumi un porto.
Ma sì freddi e remoti son quei lumi
e sì grande è il silenzio nella casa
che mi levo sui gomiti in ascolto.
Improvviso terrore mi sospende
il fiato e allarga nella notte gli occhi:
separata dal resto della casa
separata dal resto della terra
è la mia vita ed io son solo al mondo.
Poi il ricordo delle vie consuete
e dei nomi e dei volti quotidiani
riemerge dal sonno,
e di me sorridendo mi riadagio.
Ma, svanita col sonno la paura,
un gelo in fondo all'anima mi resta.
Ch'io cammino fra gli uomini guardando
attentamente coi miei occhi ognuno,
curioso di lor ma come estraneo.
Ed alcuno non ho nelle cui mani
metter le mani con fiducia piena
e col quale di me dimenticarmi.
Tal che se l'acque e gli alberi non fossero
e tutto il mondo muto delle cose
che accompagna il mio viver sulla terra,
io penso che morrei di solitudine.
Or questo camminare fra gli estranei
questo vuoto d'intorno m'impaura
e la certezza che sarà per sempre.
Ma restan gli occhi

Camillo Sbarbaro

Antonio Leone, Il Risveglio

e sonno sia quando il peso
degli occhi e della mente è troppo,
quando ossa stanche stridono
in cerca di requie e riposo;
nel profondo di me conseguo
sorrisi inespressi e gioie
sopite in un lungo respiro...