(dalla rete)
Mia cara Ingeborg,
dunque non verrai prima di due mesi – perché?
Non dici neppure per
quanto tempo, non dici se ti concedono la borsa di studio.
Intanto, come
tu consigli, possiamo, perché no, “scambiarci lettere”.
Ingeborg sai perché in quest’ultimo anno ti ho scritto così poco?
Non
soltanto perché Parigi mi aveva imposto un terribile silenzio dal quale
non riuscivo ancora una volta a liberarmi, ma anche perché non sapevo
che cosa tu pensassi di quelle brevi settimane a Vienna.
Cosa potevo mai
capire dalle tue prime righe scritte frettolosamente, Ingeborg?
Forse
mi inganno, forse è vero che noi ci schiviamo proprio quando vorremmo
tanto incontrarci, forse colpevoli siamo tutti e due.
Ma talvolta mi
dico che il mio silenzio è, in qualche modo, più comprensibile del tuo,
perché il buio che mi impone è più antico.
Come sai: le grandi decisioni
bisogna prenderle sempre da soli.
Quando è arrivata quella lettera in
cui mi chiedevi se era meglio per te Parigi o gli Stati Uniti, non avrei
esitato un istante a dirti quanto sarei stato felice se fossi venuta.
Riesci a capire, Ingeborg, perché non l’ho fatto?
Mi dissi che, se
davvero ti importava qualcosa (ovvero, più di qualcosa) di vivere nella
città in cui anch’io vivevo, non saresti venuta prima da me a chiedere
consiglio, proprio no.
Un anno intero adesso è trascorso, un anno
durante il quale ti sarà successo senz’altro qualcosa.
Ma tu non mi dici
quanto lontani sono, dietro quest’anno, il nostro maggio e il nostro
giugno…
Quanto lontana o quanto vicina sei, Ingeborg?
Dimmelo, così
saprò se tu chiudi gli occhi, quando io adesso ti bacio.
Paul
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