Dal Foro dove ciondolavo il mio buon Varo
mi porta a casa di una sua ragazza,
una fichina che a prima vista mi parve
non priva di qualche grazia, quasi carina.
Giunti da lei ci si mise a parlare
di tante cose e fra queste della Bitinia,
il suo stato, le sue condizioni politiche,
i guadagni che mi avrebbe fruttato.
Risposi la verità: a nessuno di noi,
pretori o gente del seguito, era toccato
di tornarsene col capo piú profumato,
vedi poi se ti capita in sorte un fottuto
di pretore che del seguito se ne infischia.
'Ma almeno' m'interrompono 'avrai comprato
ciò che dicono la specialità del luogo,
dei portatori di lettiga.' Io per farmi
con la donna un po' piú fortunato degli altri:
'Non mi è andata poi cosí male,' le rispondo
'considerata quella terra maledetta:
ne ho cavato otto uomini robusti.'
In realtà non ne avevo neppure uno,
qui a Roma o laggiù, in grado di reggere
sul collo una vecchia brandina sgangherata.
E quella con la sua facciatosta mi fa:
'Catullo mio, dovresti prestarmeli un attimo,
te ne prego, voglio farmi portare al tempio
di Seràpide.' 'Un momento, dico, ragazza,
ciò che poco fa ho detto di possedere,
m'ero distratto: è un amico mio,
Gaio Cinna, che se l'è procurato.
D'altra parte, suoi o miei, che importa?
Me ne servo come fossero miei.
Ma tu sei proprio sciocca e impertinente
se non ammetti che ci si possa distrarre.'
Publio Valerio Catullo
Nessun commento:
Posta un commento