De natura rerum
Lucrezio lo sapeva:
Apri il baule,
vedrai, è colmo di neve
che turbina
e a volte due fiocchi
s’incontrano, unendosi
oppure uno si volta, graziosamente
nella sua poca morte.
Di dove quel chiarore
in alcune parole
quando l’una non è che notte,
l’altra, solo sogno?
Di queste due ombre
che, ridendo, vanno
e l’una raggomitolata
in una lana rossa?
Yves Bonnefoy
È un poema fondamentale della storia del pensiero, in cui vengono
assunti a fondamento i princìpi portanti della filosofia epicurea.
Lo
stesso Cicerone fu soggiogato dalla grandezza dell'opera e, pur non
approvandone filosoficamente il contenuto, contribuì in modo decisivo
alla sua pubblicazione.
L'opera è la celebrazione della dottrina
epicurea come filosofia liberatrice dell'uomo e valido mezzo a
confortare un'umanità quanto mai turbata e incerta.
Cardine del suo
approccio era la fisica atomistica democritea: il mondo in cui viviamo
non è che il risultato dell'unione casuale di una parte degli infiniti
atomi, da sempre in movimento nello spazio senza fine.
Al rigido sistema
democriteo, Epicuro in realtà aggiunse una variante rivoluzionaria, il
clinamen, ossia la spontanea deviazione degli atomi dalla loro
traiettoria rettilinea, una sorta di "libero arbitrio" ante litteram.
Anche il mondo degli dèi esiste.
Ne abbiamo immagine, ma vivendo
eternamente beati negli spazi tra mondo e mondo, essi non hanno tempo né
voglia di occuparsi di noi.
La conclusione è che, in questo modo, sia
la fisica sia la teologia ci liberano dagli ostacoli più gravi che si
oppongono alla nostra felicità: il timore della morte e della collera
divina.
(Feltrinelli)
Naturali come stupidi esseri umani,
la morte, la vita, i mesi passatia pensare;
siamo stralci di attimi rubati all'eterno
susseguirsi di eventi, le tracce e i sospiri...
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