venerdì 31 marzo 2017

Poscritto


Poscritto
 
Se qualcuno stasera è infelice come me,
qualcuno come me, sprangato in una stanza,
dopo aver visto due volte lo stesso film,
solo con un baule di parole sbagliate,
di ricordi bugiardi, in un paese di neve,
fra due lenzuola bianchissime, solo;
se qualcuno stasera è come me nel mondo
uno straniero che domani se n’andrà…

Amico che di là dei monti
per ascoltarmi stringi gli occhi come una volta,
ricordi i balli prima della guerra,
e Jole e Minia e la signora forestiera,
ricordi il sole del trentanove
sui nostri visi brutti, le nostre risa di poveri,
l’intercalare  «Quien sabe?»  di moda tutta un’estate,
finché significò qualcosa…

Poi la luna si chiuse nei pozzi,
l’unghia d’inverno recise
i mazzi di robinie spruzzolati di sangue,
migrarono gli uccelli dai nidi delle caserme…
Chi guarirà dentro di noi tutti quei morti
che palpano con mani cieche
la notte smisurata che li mura?
Chi nel nero tizzone risveglierà una guancia
per ripetere «t’amo» al ponte della Bettola?

Giorni piú neri altrove m’aspettavano:
mi punse il petto la febbre
con lunghe aguzze scapole di vergine,
scaltro venne un sensale
a contare i miei passi, il mio respiro…
Insolente proposta di esistere,
inutilmente al balcone
il grido del gallo un’alba mi chiamò.

Da allora chiuso nel mio cunicolo, e pieno
d’un minuto rancore, d’un bambino rancore,
come un guardiano di faro infedele
vivo in attesa d’un naufragio, m’affeziono
ai minimi relitti che la tempesta mi porge,
dirigo sugli scogli ogni barca che mi cerca,
rido da solo strofinandomi le mani…

Dio, tu dici, o chiedi in silenzio:

a guisa dei poliziotti dei romanzi,
ho fiutato nel mondo le Sue peste;
in piedi e in ginocchio, beffato e beffardo,
l’ho ferito e chiamato, l’ho perduto e cercato,
ma il delitto dentro la stanza chiusa
s’è ripetuto ogni volta, all’improvviso…

E poi… ma addio, addio, le parole non servono.

Gesualdo Bufalino

 
  poscritto
po·scrìt·to/
sostantivo maschile
 
Aggiunta in calce a una lettera già sottoscritta, allo scopo di fornire una precisazione o di ovviare a una dimenticanza; preceduta di solito dalla sigla PS, abbr. del lat. post scriptum.
Origine:
Dal lat. post scriptum ‘dopo lo scritto’ (nella variante ‘postscritto’ ).
 
 ancora postille nella mia vita,
quante ancora? quando?
nell'inferno dell'anima
anche qualche raggio di sole...

giovedì 30 marzo 2017

Post scriptum


Poscritto

E qualche volta trovate il tempo di andare in auto
     ad ovest
in County Clare, lungo la Flaggy Shore,
a settembre o ottobre, quando il vento
e la luce si azzuffano così che da un parte
l’oceano è pazzo di schiuma
e bagliori, e all’interno fra le pietre
la superficie di un lago color ardesia è illuminata
dal lampo terrestre di uno stormo di cigni,
le piume scompigliate e soffiate, bianco su bianco,
le teste adulte dall’aria ostinata
sommerse o affioranti o indaffarate sottacqua.
Inutile pensare di posteggiare e cogliere la scena
più completamente. Non sei né qua né là,
una fretta per cui passano cose note e ignote 
mentre forti morbide folate prendono l’auto di sbieco
e sorprendono il cuore sovrappensiero e lo aprono
     d’un soffio.

                 
Seamus Heaney
Traduzione di Massimo Bacigalupo
 
 poscritto
sostantivo maschile [dal lat. post scriptum «dopo lo scritto»]
- TRECCANI -
 
[breve aggiunta scritta alla fine di una lettera già terminata e firmata] ≈ (ant.) poscritta, postilla, post scriptum.
 Ciò che, in una lettera già terminata e firmata, si scrive per aggiungere una precisazione, una notizia dimenticata, ecc. (e tale aggiunta è generalm. preceduta dalla sigla P. S., abbrev. del lat. post scriptum): alla lettera seguiva un breve poscritto.
 
p.s.,
per le dimenticanze o gli improvvisi ricordi,
una frease lì, buttata, imprevedibile;
negli occhi brillano luci solari e livide,
qualche volta però lo sguardo si spegne...

mercoledì 29 marzo 2017

Nottata



 nottata
sostantivo femminile
[der. di notte]
 

Madre notte

In principio era il bujo. O Madre Notte,
Prima, invitta, superba, ultima dea!
Quanto vive nel tuo grembo si crea,
Quanto vive nel tuo grembo s’inghiotte.
 
Tu pietosa e crudel, tu santa e rea,
Tu d’attonite paci empi e di lotte
Formidabili il tempo e le incorrotte
Vacuita della tua buja idea.
 
Con lo sdegnoso pie tu calchi i vinti
Secoli, ed il lor numero non sai,
E con gli astri la tua man si trastulla.
 
Tu con l’anime nostre e co’ dipinti
Nostri pensieri arabescando vai
La disperata immensita del nulla.
 
Arturo Graf
 
 
- TRECCANI -
 
 Lo spazio di una notte: le lunghe n. invernali; soprattutto in rapporto alle condizioni meteorologiche: una calda n. d’estate; una n. fredda, piovosa, tempestosa; o alle condizioni e circostanze del vivere umano: passare una n. insonne, tranquilla; una n. di lavoro, d’ansia; con una n. di viaggio si arriva; il malato ha avuto una buona n., una n. agitata; perdere la n., fare n. bianca, passare la notte senza dormire; anche semplicemente fare nottata, soprattutto di chi assiste un infermo, o lavora di notte, o deve vegliare per altri motivi.
 
Diminutivo: nottatina, nottata breve (ossia parte di una nottata) o piacevole;
Peggiorativo: nottatàccia, una notte di tempo cattivo, o travagliata da cause fisiche o spirituali. 
 

la notte, la notte che copre,
quella che avanza e tu non dormi,
un'altra ti culla dopo l'amplesso
e una è sempre di ansiosa attesa...



 

martedì 28 marzo 2017

Vita


 comunque è la vita,
che piaccia o meno è nostra;
abbiamo coraggio e paure,
siamo stolti e avveduti...
 

In biologia la vita è la condizione propria della materia vivente, che la distingue dalla materia inanimata. 
La biologia si occupa della vita in quanto proprietà emergente dell'organismo vivente, disinteressandosi di concetti come quello di forza vitale sviluppato dai vitalisti.
L'idea che esista una "forza vitale" è stato argomento di dibattito filosofico, che ha visto contrapporsi i sostenitori del meccanicismo da un lato e dell'olismo dall'altro, circa la possibilità che esista un principio metafisico che porterebbe gli organismi a non obbedire esclusivamente alle leggi della chimica e della fisica, a differenza dell'opinione per cui tutti i processi degli organismi, dall'interazione delle molecole alle funzioni complesse del cervello e di altri organi, e a risalire a quelli dell'intero organismo, seguirebbero rigorosamente delle leggi fisiche. In ogni caso, dove gli organismi differiscono dalla materia inanimata è nell'organizzazione dei loro sistemi e soprattutto nel possesso di informazioni codificate. La Comunità scientifica nel suo complesso non concorda su una definizione di vita condivisa, per alcuni addirittura non esisterebbe.
Ogni organismo vivente ha il proprio ciclo vitale, e all'interno di questo, si riproduce per perpetuare nel tempo la vita stessa.
Il termine "vita" si contrappone parzialmente a morte, ma anche a "non vita", in quanto la condizione della materia morta non coincide con quella della materia che non ha mai avuto vita (da Wikipedia).

 

Vita felix

Immaginavamo navi
come le stimmate del mare – immaginavamo
     navi
come steli di fiori marini e vette

di mare in terra – immaginavamo il rumore
     dell’isola, il mare che batteva come una
     fontana
alta e la terra era impregnata e dolce
e senza dolore e certamente questo
     immaginare
era tornare
al paradiso per la strada aperta
dalle parole e i corpi
si muovevano tenui e disumani come se
     il mondo dovesse ancora venire.
     Se tu parlavi io vedevo l’isola
dove i morti chiariscono
corpi fatti di rami e fili d’erba,
stanno seduti con il sole in faccia sulla
     piccola costruzione del molo. Falde
     di luce che perfezioniamo.
Se tu parlavi io vedevo l’isola
con il giallo sferzante delle ginestre, l’attracco
silenzioso delle barche, la piazzetta in
     cemento, i cubi bianchi
dove siedono parallele le nostre figure
con occhi carichi di sguardo umano
e gli affetti lasciati nelle case
come una foce dimenticata.
Siamo una compagine di vento
un canneto di carne lapidata
un fluttuare canoro di risorti
che perdono
lacrime
dall’occhio interno
perché il vento deve restare vento
e la cenere cenere fino alla fine del mondo
perché questo lasciare che accada
è piú dell’amore, questo dire
chi deve andare vada.


Maria Grazia Calandrone
Roma, 26 febbraio 2009
Sulla bocca di tutti
 
 
 

 

lunedì 27 marzo 2017

Orgoglio


Orgoglio
 
Ebbro di me non vedo
cosa che dico, che pongo,
come stupido tiranno dispongo
ciò che importante credo
sopra di tutto, di loro
ma adesso è tardi
torno al lavoro.
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate
 
 




Il termine orgoglio si riferisce ad un forte senso di autostima e fiducia nelle proprie capacità, unito all'incapacità di ricevere umiliazioni e alla gratificazione conseguente all'affermazione di sé, o di una persona, un evento, un oggetto o un gruppo con cui ci si identifica.
Un'espressione comune, sinonimo di orgoglio, è "avere un'alta opinione di sé".
L'orgoglio smodato comporta un senso di superiorità rispetto alle altre persone, e prende il nome di superbia, che presso la dottrina cristiana è il più grave dei sette peccati capitali.
Una persona superba tende sempre a voler tutta l'attenzione degli altri su di sé senza preoccuparsi degli stati d'animo delle altre persone.
Se qualcosa non va secondo le sue aspettative, allora tende ad arrabbiarsi con i suoi interlocutori (da Wikipedia).

domenica 26 marzo 2017

Oblio

L'oblio rappresenta la dimenticanza intesa come fenomeno non temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione del ricordo con un particolare accento sullo stato di abbandono del pensiero e del sentimento.
Da non confondersi con il concetto di amnesia, in quanto non condivide con questo la durata del fenomeno, tipicamente temporanea nell'amnesia, né il carattere di abbandono della volontà e del sentimento tipico dell'oblio.
Nella mitologia classica l'oblio è associato al Lete, ossia il fiume che conduce all'oltretomba tanto nella tradizione greca che in quella romana. A questo fiume dovevano bere le anime dei defunti per cancellare i ricordi della loro vita terrena, oppure coloro che erano chiamati a rinascere per obliare quel che avevano visto nel mondo sotterraneo.
Il concetto di oblio è collegato ad alcune funzioni specifiche della memoria.
Sigmund Freud identifica l'oblio come una delle facoltà difensive della mente umana che tende a rimuovere contenuti mnemonici e pensieri ritenuti minacciosi, i quali rimangono inconsci e repressi. Hermann Ebbinghaus inoltre identifica la curva dell'oblio quale rappresentazione delle dinamiche di memorizzazione relazionate al tempo di ritenzione delle informazioni. I suoi studi sono alla base di alcune moderne tecniche di memorizzazione come la ripetizione dilazionata (da Wikipedia).  
 

Oblio
 
Son qui raccolta in un oblio profondo
contro il tuo cuore. Credo che ancor siamo
nella vita, ma già fuori del mondo.

So che tu mi desideri e ch'io t'amo,
e tutto che oltre questo è gioia o pena
o bene o male noi dimentichiamo.

Ho il senso di volar su un'altalena
vertiginosa, come fanciulletta
balzavo nell'azzurrità serena.

Ne discendevo con la gola stretta
dal batticuore e con sperduti sguardi,
come or che tu m'avverti: – Il tempo ha fretta

di separarci, o amore. Andiamo, è tardi.

Amalia Guglielminetti
 

 Che cos'è
l'oblio? 
L'oblio rappresenta sostanzialmente la dimenticanza intesa non come distrazione ma come una scomparsa di un ricordo.
 

L'oblio può essere ricondotto a l'amnesia ma non è propriamente la stessa cosa, infatti in entrambi i casi abbiamo una dimenticanza ma ciò che cambia è quello della durata.
 
Il tema dell'oblio è stato un argomento iniziato da molti anni si possono trovare tracce in Platone il quale fonda interamente la sua dottrina sul concetto di anamnesi o reminiscenza delle idee.
 
E' possibile trovare tracce anche nella letteratura italiana, nella divina commedi Dante fa riferimento all'oblio come passo necessario per passare dal luogo di purificazione delle anime.
 
L'oblio se si crede alla vita dopo la morte è un passo necessario per dimenticare le cose negative fatte in vita.
 
Per chi invece non crede alla vita dopo la morte, non gli interesserà se ricorda o ha dimenticato tutto perché tanto sarà lo stesso "sotto effetto" del oblio.
 
Secondo me l'oblio deve cancellare solamente le parti negative e lasciare le parti positive di ognuno di noi ("Il Quotidiano in Classe" - dalla rete).
 
nel nulla dell'oblio avvolto,
mi sento quando non riesco,
quando non penso e non sento;
dolce mi è naufragar..?


 

sabato 25 marzo 2017

Sepolcro

Il sepolcro
 
ed ecco ci siamo tutti riuniti l'intera famiglia
quando gli inservienti del cimitero hanno reciso
un raggio incerto dietro l'ultimo di noi
ci siamo rincontrati come negli ultimi tempi
del gioco in borsa
delle corse in carrozza
dei balli domenicali al club fuori città
siamo coricati sul pavimento duro
sotto una coppa di marmo
pesante per le foglie secche e l'acqua piovana
comunque in compagnia dignitosa
a destra un magnate dello zucchero
a sinistra un tenore d'opera
non sentiamo l'acqua che scorre il vento che sibila ma
a volte in una notte sorda tremiamo
quando i giovani intonano una canzone indolente
ritornando nei sobborghi operai
a ora tarda dal ballo 

 
Jurij Andruchovic
Traduzione di Paolo Galvagni
 
 
sepolcro
(ant. sepulcro)
sostantivo maschile
[dal lat. sepulcrum, der. del tema di sepelire «seppellire»]
- TRECCANI -
 
1-. a. Sinon. meno com. di tomba, ed adoperato soprattutto per indicare sepoltura illustre per la fama della persona sepolta, per la grandiosità delle sue dimensioni o per l’interesse artistico o storico delle sue forme; prende quindi talora aspetti e funzioni di monumento commemorativo come nelle cappelle e nei sacelli funerarî, o di sepoltura familiare e collettiva come in certe tombe monumentali, o di luogo di culto, come nei casi di sepolture di personaggi oggetto di venerazione religiosa (per il sepolcro nella storia dell’arte, v. tomba): il s. degli Scipioni, sulla via Appia a Roma; il s. dell’Alfieri, in S. Croce a Firenze, ecc.; innalzare un s. (qui s’intende il monumento); violazione di s., in diritto penale, delitto contro la pietà dei defunti punito con la reclusione. Col valore generico di sepoltura ha tono più elevato e solenne di tomba e ancor più di fossa, spec. in alcune espressioni fig. in cui è simbolo della morte, come essere con un piede nel s., avere ancora poca vita, scendere nel s., morire, condurre, portare al s., far morire, affrettare la morte di qualcuno. Raro col sign. astratto di sepoltura: né chi mi cuopra Gli occhi sarà, né chi sepolcro dia (Ariosto). Molto nota la locuz. evangelica s. imbiancati, estesa a indicare gli ipocriti, e rivolta da Gesù (Matteo 23, 27) agli scribi e ai farisei.
b. Santo Sepolcro, o assol. il Sepolcro, la sepoltura di Cristo in Gerusalemme: la venerazione del Santo S.; liberazione del Santo S., scopo delle crociate (in questa frase, l’espressione acquista un valore estens., indicando genericam. i luoghi santi della Palestina).
2-. Nella liturgia cattolica, denominazione impropria del repositorio, mobile in cui l’Eucaristia, al termine della messa vespertina in memoria della cena del Signore del giovedì santo, viene riposta, e conservata fino alla solenne funzione liturgica del venerdì santo, nella quale si commemora la morte di Gesù; visita ai S., pia tradizione cattolica per la quale i fedeli sogliono fare una breve adorazione innanzi al repositorio in più chiese: visitare i S., pop. fare i Sepolcri.
 
sarà per tutti un attimo, solo un istante,
nel fumo accecante di sigarette scadenti,
nel sapore acre di cibi di strada,
partiremo nel viaggio scopriremo

venerdì 24 marzo 2017

Grief

 
 Provare dolore emotivo è un'esperienza inevitabile che fa parte degli eventi della vita.
Esserne consapevoli, in ogni caso, non sembra rendere le cose più semplici.
Che si tratti di un dolore associato a un trauma, una perdita o una delusione, occorre sviluppare una strategia per lenire il dolore e saperne gestire le relative difficoltà.
Reagire, scavare a fondo nei propri sentimenti e cercare aiuto da parte di un professionista sono alcuni modi che possono aiutati a superare il dolore emotivo
(dalla rete).
 
 
Voglio finalmente sapere tutto del dolore!
Rompi la campana di vetro della devozione
e porta via l'ombra del mio angelo.
Voglio andare là, dove la tua mano rinsecchisce
nel cervello dei pazzi, nella crudeltà
di cuori rattrappiti che, morsi dall'ira,
si lacerano da soli per spargere la rabbia
nel sangue del mondo.
Il mio angelo se ne va, con la tenda della grazia
sulle spalle, e una scintilla delle tue braci
ha fuso ora tutto il vetro.

Sono colma di superbia e rumino il coraggio
pazzo e borioso, l'ultimo pane che mi resta
da tutto il raccolto della devozione.

Sei stato molto benevolo, Signore, e molto intelligente,
perché senza di te la campana di vetro l'avrei rotta io.

Adesso voglio dare la caccia al mio cuore con i cani
e farlo sbranare, per risparmiare
un lavoro ributtante alla morte.
Sia grazie a te – ora ne so abbastanza.


Christine Lavant

Porta via l'ombra del mio angelo
Traduzione di
Anna Ruchat

 
vorrei non sapere niente del dolore,
eppure c'è vive in me, in noi tutti;
sapere condiziona la vita, le cose,
sapere assomma iperboliche situazioni...

giovedì 23 marzo 2017

Quale direzione?

 
Due navi da guerra utilizzate per attività di formazione, erano state per molti giorni al largo per esercitarsi in manovre in condizioni difficili. Io prestavo servizio sulla nave di comando ed ero di guardia notturna, sul ponte. La visibilità era scarsa, con banchi di nebbia, e così il capitano rimase con noi sorvegliando le varie attività dell’equipaggio. Poco dopo l’imbrunire l’uomo di vedetta gridò: “Luce a tribordo!”. “Ferma o in allontanamento?” gridò il capitano. “Ferma capitano”, rispose la vedetta. Questo significava che eravamo su una pericolosa rotta di collisione con quella nave. Allora il capitano ordinò al segnalatore: “Segnala a quella nave: siamo in rotta di collisione, vi consiglio di correggere la rotta di 20 gradi”. Giunse di rimando questa segnalazione: “È opportuno che siate voi a correggere la rotta di 20 gradi”. Il capitano disse: “Trasmetti: io sono un capitano, correggete la rotta di 20 gradi”. “Io sono un marinaio di seconda classe”, fu la risposta.Fareste meglio a correggere la rotta di 20 gradi”. Il capitano era furente. “Trasmetti”, ringhiò “sono una nave da guerra: correggete la rotta di 20 gradi”. Rispose la luce lampeggiante: “Io sono un faro”. Cambiammo rotta. – (dalla rete: Frank Koch in Proceedings  la rivista del Naval Institute)






Quando un dì
vedremo
 
Quando un dì vedremo
le nostre cose riaffiorare al sole,
ci lasceremo dietro il peso,
questa spoglia che va deperendo.
 
Quando un dì vedremo
la luce bella come non mai
ci lasceremo intorno pianti
e qualche sospiro di sollievo.
 
Quando un dì vedremo
il nostro essere intero
saremo noi, con noi, con loro
ed un attimo sarà il tutto, sempre.
 
Anonimo
del XIX° Secolo
poesie ritrovate
e frammenti


mercoledì 22 marzo 2017

Ultimo amore


Ultimo amore
 
I.
Era il suo primo amor, l’ultimo mio!
Gli anni senza merce faccian lor corso,
Dieno pur nel mio cor, dieno di morso;
Esso trionfera gli anni e l’obblio.
 
Dolce ricordo, angustioso e pio;
Mia suprema sciagura e mio conforto!
Meco vivra, morra quand’io sia morto:
Era il suo primo amor, l’ultimo mio!
 
II.
Di sua persona ell’era esile e sciolta,
Tutta una gentilezza ed un candore;
A volerla abbracciar solo una volta
Temuto avresti di spezzarne il fiore.

Un soave nitor di fiordaliso
Nel suo volto di vergine splendeva;
Breve e di rado l’allegrava un riso,
Ma inteneriva il cor quando rideva.
 
Era la fronte sua d’un velo ingombra
Di dolor consueto, intimo, arcano;
Tremar parea ne’ suoi grand’occhi l’ombra
D’alcuna cosa sospirata invano.

E spesso, senza usar d’altra favella,
Lo sguardo nell’altrui volto fissava,
Seria, sicura: l’anima cercava
Inconsciamente l’anima sorella.

E della prima volta mi rammento
Che cosi gli occhi nel mio volto mise:
Quando li richino dopo un momento
Arrossi leggermente e poi sorrise.

III.
L’anima giovinetta ancor non era
liberamente nel suo fior dischiusa
E gia d’una ineffabile, severa
Mestizia tutta si vedea suffusa.

Ombra d’arcane ritrosie, secreto
Antiveder di tenebrosi eventi,
Un terror della vita, un inquieto
Senso d’inevitabili cimenti,

Di villanie codarde, ove smarrita,
Senza difesa, nell’altrui balia,
Miseramente la sua stanca vita,
Il suo povero cor sciupato avria.
 
IV.
Come m’amo? perche m’amo, che lesse
Sulla mia fronte impallidita e china?
Indovino l’abisso e la ruina?
Vide nel cor le cicatrici impresse?

Vide e senti quella che l’alme lega
Comunion d’affetto e di pensiero?
Chi mel dira? chi gliel dira? mistero
E supremo d’amor, nessun lo spiega.

V.
Ma io tra me diceva: I pensier miei
Sono una landa desolata e scura;
Dove porro, dove porro costei
Che di gel non vi muoja e di paura?

Nel mio cor c’e la morte e l’abbandono;
Una bruciata selce, ecco il mio core!
Dove trapiantero, tristo ch’io sono,
Questo leggiadro e delicato fiore?

VI.
E un di (come m’avvenne?) un di m’accorsi
Di cominciare a riamar; nel petto
Sentii rifar la vita e a lunghi sorsi
Bevvi la volutta del novo affetto. 
 
E fui lieto e sperai! ma gia da tergo
M’incalzava il destin: tremando infransi
Il mio vano pensier, ruppi l’usbergo
Delle speranze mal temprate e piansi.
 
VII.
Giunta la sera ch’ebbi a dirle addio,
Noi l’un dell’altro sedevamo a fronte:
Moriva il sol fra mezzo a un turbinio
Di sanguinose nubi all’orizzonte.

Pallida ell’era e fredda e sbigottita,
E tutto in un pensier l’animo assorto,
Convulsamente fra le bianche dita
Volgea non so che fior gracile e smorto,

E indietro alquanto il bel capo travolto,
Ambe le man congiunte in sui ginocchi,
Senza dir verbo mi fissava in volto
E mi beveva l’anima con gli occhi.

VIII.
Piu non contemplo il suo leggiadro viso,
Piu ’l dolce e schietto favellar non odo,
Piu non m’allieto del soave riso,
Piu del gentile suo stupor non godo;

Ma della immagin sua l’anima ho piena,
Ma del ricordo il mio pensier trabocca;
Sempre in mezzo del core ho la sua pena,
Sempre il suo nome benedetto ho in bocca.

E quando in ciel regna la notte, o quando
M’occupa un greve sonno il corpo affranto,
Come un lamento soffocato e blando
Ne’ travolti miei sogni odo il suo pianto.

IX.
Poveri versi miei, nati e cresciuti
Dove raggio di sol piu non arriva,
Ben sapete s’io v’ho con la piu viva
Parte di me medesimo tessuti.

Poveri versi miei, s’unqua si dia
Ch’ella oda il mesto suon che in voi si frange,
Potra saper come si strugge e piange
Lunge da lei l’afflitta anima mia.
 

Arturo Graf
 
 
 

ci sarà sempre un ultimo amore,
quello che non si riesce, non si può;
ci si consuma le forze, si tiene lontano,
a volte neanche lo sa...