martedì 31 gennaio 2017

Giacinto

Nel linguaggio dei fiori e delle piante il giacinto, in generale, simboleggia il gioco e il divertimento ma, come molti altri fiori, assume un significato diverso seconda la sua qualità ed il suo colore, infatti: il giacinto di colore rosso simboleggia il dolore; di colore blu simboleggia la costanza e la coerenza; giallo simboleggia la gelosia;  color porpora simboleggia la richiesta del perdono; rosa simboleggia il gioco e la voglia di divertirsi. Inoltre, fino a qualche secolo fa il giacinto selvatico era considerato, nei paesi anglosassoni ed in particolare in Bretagna, il fiore degli amanti, mentre i giacinti di colore azzurro erano ritenuti il simbolo della sincerità.
Il giacintohyacinthus, appartiene alla famiglia delle liliaceae, è originario dell’Asia Occidentale. Il nome le fu dato da Tournefort e successivamente fu mantenuto anche da Linneo nel 1737, secondo le più accreditate teorie il termine hyacinthus deriverebbe dalle parole giak, di origine greco-albanese che significa rosso scuro o porpora, e dal suffisso inthos, che significa pianta. La specie più comune è hyacinthus orientalis, una specie molto profumata, con foglie di color verde brillante di forma nastriforme e fiori di forma tubolare con apertura a stella che posso essere di diversi colori: rossi, bianchi, rosa, arancioni, lilla e di diverse tonalità di blu. Questa specie fu importata in Italia, a Padova, dall’Asia occidentale nel 1590. I primi ibridi coltivabili vennero portati in Italia, nel 1688 dall’Olanda e furono richiesti da Cosimo de’ Medici per adornare i suoi giardini. 

 In questo sparso odore di giacinto

Ancora viva nella pura luce
della sera d'aprile, ancora viva,
luna?

Così fragile sei nell'aria tersa
che fa vibrare i teneri trifogli
ed allontana il suono delle trombe
sulla piana notturna, luna ignara,
in questo sparso odore di giacinto
cancelli ogni memoria e sulla nuda
petrosa terra, tu sola viva, luna.


Franco Matacotta
  

 Méry-Joseph Blondel
(1781- 1853)
"Apollo e Giacinto"

Secondo la mitologia greca al tempo degli dei, il dio Apollo si era invaghito di un suo compagno di giochi il bellissimo Giacinto, un giovane spartano. Un giorno mentre i due stavano giocando al lancio del disco, Apollo colpì accidentalmente Giacinto alla testa ed il giovane morì. Apollo rimase sconvolto e cadde in preda alla disperazione per la perdita del caro amico, essendo un dio, però, fece nascere un fiore che glielo potesse far ricordare per l’eternità, il giacinto. 
Essendo però molto celebre tra i greci la leggenda sopracitata non è la sola, era secondo Pausania il fiore sacro a Cerere, i giovani durante le celebrazioni sacre a lei dedicate, si incoronavano con corone di giacinti.
Secondo altri racconti, anche Apollo e le Muse ne portavano corone sulla fronte, e persino la dea Afrodite, per vincere il premio, volle apparire a Paride ancor più bella distendendosi su un letto di giacinti (dalla rete).
  
nel profumo dei fiori, la vita,
la gioia e l'amore si perpetrano;
l'odore dei fiori e le cose rimaste,
i volti, le mani, i  risaputi fianchi...

lunedì 30 gennaio 2017

Sesso e amore




Nell’amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Noi saremo
 
Paul Verlaine
 



 



già saremo,
finché staremo insieme,
fin quando la vita non ci separerà;
 questo ci diciamo,
spesso non lo facciamo...
 


 

Caratteristiche della Dipendenza dal Sesso e dall’Amore
© 1990 The Augustine Fellowship, S.L.A.A., Fellowship-Wide Services, Inc. All Rights Reserved
 
1.- Avendo pochi confini emotivi sani, ci coinvolgiamo sessualmente e ci leghiamo emotivamente agli altri senza conoscerli.
2.- Temendo l’abbandono e la solitudine, indugiamo e ritorniamo a rapporti dolorosi e distruttivi, nascondendo così la nostra dipendenza sia a noi stessi che agli altri e diventando sempre più isolati e lontani dagli amici, dai nostri cari, da noi stessi e da Dio.
3.- Temendo un vuoto emotivo e sessuale, ricerchiamo compulsivamente e ci coinvolgiamo in una relazione dopo l’altra,
a volte realizzando più di un legame emotivo e sessuale contemporaneamente.
4.- Confondiamo l’amore con il bisogno, con l’attrazione fisica, con la pietà ed il bisogno di salvare o di essere salvati.
5.- Ci sentiamo vuoti e incompleti quando siamo soli.
Sebbene abbiamo paura dell’intimità e di impegnarci, siamo sempre alla ricerca di relazioni e contatti sessuali.
6.- Scarichiamo nel sesso lo stress, i sensi di colpa, la solitudine, la rabbia, la vergogna, la paura e l’invidia.
Usiamo il sesso e la dipendenza emotiva come sostituti del nutrimento, delle cure e del sostegno affettivo.
7.- Usiamo il sesso e il coinvolgimento emotivo per manipolare e controllare gli altri.
8.- Ci lasciamo immobilizzare o ci facciamo seriamente distrarre dalle ossessioni e dalle fantasie romantiche o sessuali
9.- Evitiamo la responsabilità verso noi stessi affezionandoci a persone emotivamente non disponibili.
10.- Continuiamo ad essere schiavi della dipendenza emotiva, degli intrighi romantici o delle attività sessuali compulsive.
11.- Per evitare di sentirci vulnerabili, potremmo ritrarci da ogni coinvolgimento emotivo,
confondendo l’anoressia sessuale ed emotiva con il recupero. 
12.-  Assegniamo qualità magiche agli altri, li idealizziamo
e poi li biasimiamo per non aver soddisfatto le nostre fantasie ed aspettative.

domenica 29 gennaio 2017

Tipperary

It's a Long, Long Way to Tipperary è una canzone da sala scritta da Jack Judge e coaccreditata, ma non scritta, da Henry James "Harry" Williams. Si dice che fosse stata composta a seguito di una scommessa di 5 scellini inglesi, nella città di Stalybridge, nei pressi di Manchester, in Inghilterra, il 30 gennaio 1912 ed eseguita la notte successiva presso la sala musicale locale. Ora è comunemente ricordata come It's a Long Way to Tipperary, ma la musica originale pubblicata si intitolava It's a Long, Long Way to Tipperary. Diventata molto popolare tra i soldati della prima guerra mondiale è considerata una canzone tipica di quella guerra.

Tipperary
Tipperary, dall'irlandese Tiobraidarann:
fontedi percezione, illuminazione, intelligenza
(...)

È lunga fino a Tipperary
e quando ci arrivi
niente ti aspetta, né cartelli, né fanfara
o comitato di benvevuto che con tanto
di stendardo proclami che sei a Tipperary
e un medaglione da portare al collo.
Troverai solo quanto
ti sei portato in cuore.


Allora, una cosa devi fare,
compiere e lasciare lì un ricordo
di quel che la tua Tipperary significa per te,
una testimonianza per quanti indietro
sono in cammino per le loro Tipperary.

È lunga fino a Tipperary
e lì posano tutti i nostri cuori.

 
Desmond O'Grady
"Tipperary"
traduzione di Alessandro Gentili
 


Tipperary (in irlandese: Tiobraid Árann, letteralmente "il pozzo di Arra") è una cittadina nella parte sud-occidentale della contea di Tipperary, in Irlanda. Il nome "Tipperary" deriva da un pozzo da cui nasce il fiume Arra.
La cittadina è talvolta erroneamente ritenuta il capoluogo dell'omonima contea, pur non essendolo mai stata: invece ospita il Tipperary Racecourse. Le contee di North Tipperary e South Tipperary hanno come capoluoghi rispettivamente Nenagh e Clonmel. Storicamente Tipperary fu un mercato di una qualche importanza e oggi è sede di industrie lattiere, impegnate nella produzione di burro.
La cittadina è stata fondata nel Medioevo e divenne un centro popolato durante il regno di Giovanni Senzaterra.
Le sue antiche fortificazioni sono oggi scomparse, ma il centro urbano è caratterizzato da un antico insediamento con larghe strade che si irradiano a partire da una via maestra (Main Street).
Sulla stessa Main Street si affacciano due monumenti notevoli: una statua in bronzo del poeta Charles Kickham e un'altra statua commemorativa dei patrioti irlandesi noti come i martiri di Manchester.
Il primo episodio della Guerra d'indipendenza irlandese ebbe luogo presso la cava di Solloghead Beg il 19 gennaio 1919 quando Dan Breen e Seán Treacy guidarono un gruppo di volontari in un attacco ai membri della Royal Irish Constabulary che stavano trasportando gelignite (da Wikipedia).

 
le vie sono sempre lunghe, pesanti,
almeno quelle che portano nei bei posti
in quelli che aneliamo e speriamo,
molti rimangono sempre a casa loro...

sabato 28 gennaio 2017

Capriccio

caprìccio
sostantivo maschile [dall’ant. caporiccio].
- TRECCANI -
 
1. - a.- Voglia improvvisa e bizzarra, spesso ostinata anche se di breve durata: venire, saltare un capriccio (con il dativo della persona: gli vengono tutti i capricci; le è venuto il capriccio di un orologio molto costoso; ma che capriccio ti salta, ora?); levare, cavare un capriccio, soddisfarlo; fare passare i capricci; essere pieno di capricci; avere più capricci che capelli in testa; modo proverbiale, ogni riccio un capriccio, di bambino assai capriccioso
(ma anche riferito talora, scherzosamente, a donne);
 
fare, agire a capriccio, seguendo i proprî impulsi improvvisi,
senza una ragione plausibile;
 
fare i capricci, spec. di bambini, fare le bizze. Riferito a cose, non funzionare bene: la mia vecchia macchina stamattina ha fatto i capricci e mi ha lasciato per strada; oggi il computer ha fatto i capricci.
b.- Amore superficiale e instabile, passioncella amorosa: non era vera passione, ma un capriccio giovanile.
2. - Fenomeno strano, anomalo, bizzarria: un capriccio del caso, della natura; i capricci della sorte, della fortuna.
3. -. a.- Componimento strumentale (meno spesso vocale) di forma varia e libera e di carattere fantasioso, quasi improvvisatorio.
b.- modo di dire "A capriccio", locuzione avverbiale, rara, che affida l’esecuzione di un passo alla libera interpretazione dell’artista, sinonimo di ad libitum (vedi).
4. - Nelle arti figurative, composizione, trovata, modo di esecuzione inconsueti, immaginosi, bizzarri.
5. - Nell’arredamento, tipo di mantovana drappeggiata in tessuto pesante, spesso ricadente in due bande ai lati della finestra.
6. - anticamente: Raccapriccio, brivido, ribrezzo: un gran capriccio di paura (Firenzuola).
 
◆ Diminutivo: capriccétto;
    Peggiorativo: capricciàccio.


Il capriccio
 
E tu, Capriccio, genïetto rosa
che svolazzi con ali di farfalla
e un riso su la bocca desiosa,
 
talvolta io ti sentii su la mia spalla
lieve posare e un'avida parola
colsi, al riparo dell'aluccia gialla.
 
Fu qualche sera, quando d'una sola
fiamma bruciano i nostri occhi e le stelle,
e ci trema la voce, arida, in gola.
 
Qualche sera in cui sembran così belle
le labbra che si porgono e così
molle l'odor delle rose novelle,
 
ch'è duopo susurrare un dolce: – sì!
 
Amalia Guglielminetti
 

voglie, capricci, uzzoli,
tutte cose che la vita ci ha chiesto,
qualcosa di superficiale ed inutile
si chiude in noi il desiderio
quando vogliamo...

venerdì 27 gennaio 2017

Pensieri confusi dall'assenzio


Un pensiero

Come un’antica belva in suo riparo,
Dentro l’anima mia,
Dov’e piu fitto bujo e piu silenzio,
Si nasconde un pensiero,
Piu della morte angustioso, amaro
Piu dell’assenzio.
 
Non vide il mondo mai cosa si scura,
Che a voler dir qual sia
Mi sento in capo brulicar le chiome
Orrido mostro e fiero,
Spettro pien di terror, senza figura
E senza nome!
 
Arturo Graf
 
 
Edgard Degas
"L'assenzio"
Come possiamo vedere da tutta la sua vita artistica Degas non ama i paesaggi, e conseguentemente, non ama nemmeno la loro rappresentazione; al contrario le sue ambientazioni fanno sempre riferimento a caratteristici interni parigini.
Ne è un esempio eccellente L' Assenzio, realizzato tra il 1875 e il 1876 la tela doveva originariamente chiamarsi "In un caffè", e fu esposta alla seconda mostra degli impressionisti nel 1876.
Ambientato all'interno di Café Nouvelle-Athènes, uno dei luoghi di ritrovo prediletti dagli impressionisti.
Il soggetto illustra un episodio cittadino, dando un'interpretazione appartata e solitaria della vita all'interno dei cafès assai ben distante da quella di  E. Manet, il quale amava ritrarre sguaiate protagoniste del mondo dei piaceri notturni.
La composizione è caratterizzata da una inquadratura squilibrata verso destra, per dare il senso di una visione improvvisa, ma come ben possiamo immaginare Degas costruisce l'immagine in modo rigoroso e quasi scientifico.
Con questa prospettiva obliqua data dalla disposizione dei tavolini, colloca il punto di vista di un osservatore "invisibile" in un punto alto e decentrato, in modo che si possa cogliere la naturalezza di ogni movimento e gesto.
Degas nell' Assenzio dipinge due personaggi seduti uno accanto all'altro, raccolti nella loro solitudine ed emarginazione, accentuando il tutto, lasciando lo spazio centrale vuoto, rappresentato da un tavolo scorciato su cui è abbandonata una bottiglia vuota.
I due soggetti recitano il ruolo di due poveracci: una prostituta e un tipico barbone parigino dall'aria trasandata e burbera.
La solitaria bevitrice ha davanti a se un bicchiere pieno di assenzio, un liquore verdastro, aromatizzato con menta e anice, oggi proibito, ma molto comune intorno alla metà dell'Ottocento.
Davanti al barbone sta invece un calice di vino.
Entrambi hanno lo sguardo perso nel vuoto, per sottolineare ancora di più il senso di solitudine.
Degas, attento ai giochi di colore e di luce, ritrae alle spalle dei personaggi, uno specchio appannato e squallido che ne riflette le sagome in modo confuso ed evanescente.
(T. Gardini - dalla rete)
 
affogare i dispiaceri e le brutture,
riempirsi la gola di fuoco e inghiottire;
famelico di vita, di amore,
ritrovo me stesso quando me ne vado...
 
 

L’assenzio (Artemisia absinthium)  è una pianta amara conosciuta fin dall’antichità e utilizzata soprattutto sotto forma di liquore per le sue doti inebrianti e allucinogene.
In realtà questo rimedio naturale vanta diverse altre proprietà e usi.
Come la maggior parte delle sostanze naturali, però, non è esente da controindicazioni che bisogna tenere bene a mente.
L'assenzio è un distillato ad alta gradazione alcolica all'aroma di anice derivato da erbe quali i fiori e le foglie dell'assenzio maggiore (Artemisia absinthium), dal quale prende il nome.
È classificato come distillato; i liquori invece sono, generalmente, una soluzione alcolica zuccherina a base di componenti vegetali.
Nel corso del XIX secolo si diffusero in Francia e Svizzera molte distillerie di assenzio con vari marchi, ma il liquore divenne particolarmente noto alla fine del secolo, grazie alla fama che ebbe tra gli artisti e gli scrittori di Parigi.

L'assenzio, consumato da molti artisti famosi con rituali elaborati
 e accessori stravaganti, divenne un'ispirazione dello stile di vita bohémien.
La bevanda ebbe enorme successo in Europa, ma declinò nel giro di poco più di un decennio, a causa di vari fattori: il movimento contro l'alcolismo che si diffuse all'inizio del XX secolo, gli studi scientifici dell'epoca che individuarono la pericolosità del tujone contenuto, e le pressioni dei produttori di vino francesi che ne temevano la concorrenza.
Il liquore a base di Artemisia absinthium spopolò soprattutto in Francia a fine '800 creando non pochi problemi visto che, soprattutto gli artisti, tendevano ad abusarne.
Questo prodotto conteneva oltre all’alcool anche un olio essenziale estremamente attivo e tossico ad alte dosi: il tuione.
In passato, l’uso medico dell’assenzio era molto diffuso e la pianta, dopo essere stata diluita in acqua, veniva utilizzata soprattutto per le sue proprità antisettiche e vermifughe.
A scopo terapeutico, l’assenzio può essere preparato come infuso o decotto oppure diluendo in acqua alcune gocce dell’estratto liquido o tintura madre. Essenziale però non superare mai le dosi consigliate. Si tratta infatti di una pianta dai principi attivi tossici che può addirittura portare a convulsioni se assunta in maniera scorretta ma molto stimolante invece a piccole dosi. (dalla rete).

giovedì 26 gennaio 2017

Poesia e riflesso


Dal mondo esposto

L’amore è la salute della scimmia.
Gli occhi dell’asino santo imbrattati dal vedere
la ruggine quieta delle cisterne.

Vento che arrota l’erba, l’ultravioletto calice
della sera come una latitudine radiante.

O il mare e i pomeriggi
composti dall’involucro ninfale della cicala.

Dammi le prove della tua gioia
nella carcassa del quotidiano
che rodi fin che è luce, luce...


Maria Grazia Calandrone
La macchina responsabile
 

 
esposto
e·spó·sto/
aggettivo e sostantivo maschile
 
1.- aggettivo
Offerto alla vista o all'attenzione del pubblico, messo in mostra.
"i quadri e. non sono in vendita"
In medicina: frattura esposta, quando una lacerazione dei tessuti soprastanti lascia scoperti i monconi ossei.
In alpinismo, di parete scoperta, la cui pendenza non offre appigli naturali e risulta quasi verticale.
2.- aggettivo
Soggetto all'azione di forze esterne, spec. atmosferiche (anche + a ): un luogo troppo e. (al vento); un giardino e. al sole.


esporsi, mettere in mostra, vedersi,
lo specchio ci avvisa ci dice,
i nostri occhi vedono ma la mente media;
siamo esposti al mondo...

mercoledì 25 gennaio 2017

Giorni di minime #38 in chiaroscuro

 
Il chiaroscuro è un effetto artistico di luce che consiste nel dare risalto alle immagini, tramite la definizione di luce ed ombre sulle superfici dipinte, sovrapponendo, appunto, tonalità "chiare" e "scure".
Il chiaroscuro in senso stretto è quello legato all'arte grafica, ed è tecnicamente il passo successivo al disegno lineare.
A volte il rapporto temporale tra la stesura di linee e luci/ombre può essere invertito, iniziando dalle seconde. Attraverso il chiaroscuro è possibile dare un'idea dei volumi, dei materiali, dello spazio.
Esistono varie tecniche, che oscillano tra quelle che lasciano vedere il segno (tratteggio, linee continue, ecc.) a quelle che lo rendono invisibile (sfumatura, passaggi graduali, ecc.).
Il chiaroscuro si può stendere solo dipingendo le ombre, con uno o più colori (carboncino, sanguigna, ecc.) oppure schiarendo le luci rispetto al colore del supporto.
La stesura di luci si chiama "lumeggiatura" e può essere effettuata, ad esempio, usando un pastello bianco su un foglio color ocra.


effimere immagini tra il chiaro
ed il buio del mattino presto,
mi individuo in un tratto di strada
è in salita, sono stanco ed ho sete;
i miei forse vacillano e tremano,
le mia mani si stancano spesso
vivo in un chiaroscuro...
 
Gujil


 
 
In pittura il chiaroscuro è legato all'uso dei colori. Usato nella pittura antica, perse di importanza nell'arte bizantina e medievale, dove il simbolismo delle figure non richiedeva un rilievo plastico-spaziale. Per creare effetti di luci ed ombra si usava tutt'al più un tratteggio, a grana più o meno fine. In Italia, alla fine del XIII secolo, Cimabue riportò in auge l'uso delle sfumature più delicate, riscoprendo il problema della luce e del modo in cui essa illumina in maniere diverse le differenti parti di un corpo, le materie e le superfici disparate. Un capolavoro in tal senso fu il Crocifisso di Santa Croce. Con Giotto la gamma cromatica di sfumature si fece più ampia, arrivando ad assomigliare sempre più alla luce reale. I pittori successivi svilupparono queste tecniche, facendo del chiaroscuro un elemento imprescindibile della raffigurazione pittorica fino al XIX secolo. Da quell'epoca gli impressionisti prima (legati ad una pittura di pura luce e colore) e i cubisti poi (che riscoprirono le forme piatte e geometriche) portarono a un superamento del chiaroscuro: Matisse ad esempio ne fece completamente a meno (da Wikipedia).

martedì 24 gennaio 2017

Amori al capolinea

 

Un giorno o l’altro ti lascio, un giorno
dopo l’altro ti lascio, anima mia.
Per gelosia di vecchio, per paura
di perderti – o perché
avrò smesso di vivere, soltanto.
Però sto fermo, intanto,
come sta fermo un ramo
su cui sta fermo un passero, m’incanto...
 
Giovanni Raboni
 

 
Amori al capolinea.
Esistono un sacco di ovvi motivi per cui ci si lascia, come l’infedeltà, le continue liti o le opinioni divergenti su sogni e speranze future da parte di entrambi i partner: a volte però capita che – senza che le cose vadano spudoratamente male – non siano nemmeno più sufficientemente giuste.
E quando ciò avviene, è difficile stabilire se la relazione debba essere troncata, o se invece valga la pena sforzarsi di farla funzionare di nuovo.
Nessuno tranne voi conosce i dettagli e le sfumature del vostro rapporto e sa dirvi con precisione se questo vada interrotto o meno: il primo step per capire se e come andare avanti è sempre parlarne con l’altra persona coinvolta, ma se sentite di averle tentate tutte, e nonostante questo di stare comunque ancora mettendo in dubbio il legame, ci sono alcuni segnali in grado di far suonare dei campanelli d’allarme, non sempre però sono in grado di suonare o siamo nelle condizioni per poterli sentire (dalla rete).
 
 
lasciarsi, perdersi, amarsi,
ritrovarsi, intuirsi, costringersi;
amori fatti di strapi, lacerazioni,
affetti soffocati nel petto...

lunedì 23 gennaio 2017

Destino


 
Destino
 
Mi manchi Amore mio,
ma così ha deciso Dio,
adesso sei un angelo che vola,
ed io mi sento così sola.
 
Perché hai aperto la porta,
perché è entrata la morte?
Perché ti sei ammalato
e nessuno ti ha aiutato?
 
Perché mi hai abbandonato
e dalla morte non sei scappato?
Perché non ti sei nascosto,
vorrei esserci io al tuo posto.
 
Quando decide Dio,
verrò da te Amore mio,
non ti dirò addio,
perché ci rivedremo, Amore mio.
 
Ti ho promesso di andare avanti,
ti ho promesso di non dimenticarti,
nessuno prevede il destino,
ho bisogno di un bicchiere di vino.
 
Il vino rosso mi fa ricordare,
la prima volta in cui siamo andati al mare,
ci siamo ubriacati, non di vino,
ma d’amore, Amore mio.
 
Non so se mi vedi,
non so se mi senti,
a volte ti sento così vicino,
spero non sia l’effetto del vino.
 
Ti amerò sempre Amore mio!
 
Atanasova Vanya Nikolova
 


forse ci rivedremo davvero,
con tutti, con tutte, con gli altri;
forse è solamente un transito
di dolore, di pensieri, di cuore...

 
 destino
(ant. distino)
sostantivo maschile
[der. di destinare].
- TRECCANI -
1.- La predeterminazione fatale dell’accadere; il succedersi degli eventi ritenuto come preordinato e necessario, al disopra dell’umana capacità di volere e di potere: subire il d.; rassegnarsi al d.; seguire il proprio d.; predire il d.; leggere nel libro del d.; avere un brutto destino. Nel linguaggio fam., è destino, era destino, seguìto o no da prop. soggettiva, è (o era) destinato, fatale, irrevocabilmente stabilito da una volontà superiore o dal succedersi degli eventi: perché prendersela? si vede che era destino!; era d. che non dovessero più incontrarsi; è d. che io ci debba sempre rimettere. Talora personificato e inteso come una superiore potenza che opera secondo leggi immutabili: essere perseguitato dal d.; prendersela col d.; non si può sfuggire al destino. Con sign. più generico, sorte, anche al plur.: i d. della patria, dell’umanità.
2.- Con uso improprio, destinazione: l’impiegato attendeva di conoscere il suo d.; spec. nella pratica mercantile: la nave ha raggiunto il proprio d.; merce spedita franco destino.