sabato 20 settembre 2014

Agonia tra poesia e significato



Agonia
 
Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato.
 
Giuseppe Ungaretti
 

Trevisan, Agonia del pianto

 



nel filo del segno
si ritrova
il contesto
ho parlato
con chi ha vissuto
ho scoperto le cose,
 il passato;
ora torno
al presente...

 
agonìa s. f. [dal gr. ἀγωνία «lotta» (der. di ἀγών: v. agone 1), da cui anche il lat. eccles. agonia «angoscia; l’angoscia che precede la morte»]. – 1. Il periodo che precede la morte, caratterizzato da un progressivo affievolimento delle funzioni vitali (cioè intermittenza del respiro, affievolimento e irregolarità dei battiti cardiaci, indebolimento e scomparsa del polso periferico, diminuzione della temperatura, e, di solito, abolizione della coscienza): essere in a.; entrare in a.; suonare l’a.
 
Dal punto di vista medico per agonia si intende il progressivo spegnersi delle funzioni vitali che si verifica nel periodo di tempo immediatamente precedente la morte in tutti quei casi, e sono la grande maggioranza, in cui essa non colga l'individuo all'improvviso. L'etimologia del termine (dal greco ἀγών) si riallaccia al concetto di lotta, quasi che il periodo che precede la fine fosse l'estrema lotta che il corpo compie contro la morte.La durata dell'agonia è assai variabile, da alcune ore ad alcuni giorni: è più breve, per es., nei violenti traumatismi, negli avvelenamenti e nelle infezioni acute, mentre può durare anche giorni nelle malattie a lungo decorso, come per es. le cardiopatie croniche, o nelle neoplasie. Il momento in cui l'agonia inizia non è determinabile con esattezza, mentre il suo termine è rappresentato dal sopraggiungere della morte, con la cessazione dell'attività cerebrale, cardiaca e respiratoria, simultanea o in successione. Non esiste nessun segno specifico, patognomonico, che caratterizzi l'agonia. Già Ippocrate però descriveva quell'insieme di alterazioni che la fisionomia dell'agonizzante subisce, in un quadro ancora adesso definito facies ippocratica: naso freddo e affilato, occhi affossati con palpebre abbassate, cornea appannata e sguardo vagante, mandibola cadente, bocca semiaperta con labbra secche, pelle della fronte e di tutto il volto cianotica e imperlata di sudore freddo e vischioso.Tutti i principali organi e apparati vengono coinvolti nel processo di progressiva perdita delle funzioni vitali. Il respiro subisce alterazioni nella frequenza, nell'intensità e nel ritmo; spesso è intermittente (respiro periodico di Cheyne-Stokes), con alternanza di gruppi di atti respiratori d'intensità crescente con gruppi di atti respiratori superficiali e affievoliti, seguiti da pause di apnea; talvolta il respiro assume un carattere sonoro (rantolo tracheale) per il passaggio dell'aria attraverso l'accumulo nei bronchi e nella trachea di muco, che non può essere espulso. La pulsazione cardiaca diventa sempre più debole e irregolare, e i toni sono difficilmente percepibili all'ascoltazione. Il polso diviene più piccolo, spesso quasi impercettibile alla palpazione o percettibile solo su arterie meno periferiche; è irregolare, intermittente, con frequenza accentuata. L'insufficienza periferica della circolazione comporta il raffreddamento delle estremità (mani, piedi, punta del naso), che assumono colorito cianotico. Dalle estremità il raffreddamento gradualmente si estende a tutto il corpo. La temperatura corporea generalmente si abbassa (35,5-35 °C), salvo che in alcune malattie infettive o neurologiche, nelle quali la temperatura può rimanere elevatissima e crescere ancora di circa 1 °C dopo la morte. La forza muscolare progressivamente sparisce, i movimenti volontari cessano e rimangono solo sporadici movimenti involontari o sussulti e tremori. Anche la deglutizione avviene con difficoltà. Fra i sensi la prima a essere danneggiata è la vista che si affievolisce fino a spegnersi; invece l'attività dell'udito persiste più a lungo, pur con grande variabilità individuale, per cui a volte esso diviene più ottuso, mentre altre volte conserva tutta la sua forza. I riflessi tendinei divengono sempre più deboli, fino a non poter più essere provocati; l'ultimo a scomparire è il riflesso corneale. Vario da caso a caso è il livello della coscienza: vi sono infermi che conservano la loro lucidità fino alla morte; altri sono agitati da idee deliranti; altri ancora, fin dal primo instaurarsi dell'agonia, appaiono privi di coscienza, e in loro sembra persistere solo la vita vegetativa nelle sue funzioni principali, sempre più indebolite. In realtà non è facile determinare se, e fino a quando, l'infermo conservi la lucidità interna del pensiero e si mantenga, nonostante il deficit dei suoi organi di senso, ancora in relazione con il mondo esterno. Una qualche attività elementare degli emisferi cerebrali, e corrispondentemente una traccia di coscienza, non può essere esclusa fin tanto che permangono segni di una qualche attività del sistema nervoso centrale (lamenti, movimenti automatici, riflessi i cui centri di elaborazione sono nella porzione encefalica del sistema nervoso, quali, per es., tosse, ammiccamento, deglutizione). Tale problema della sussistenza della coscienza nell'agonizzante è della massima importanza dal punto di vista affettivo, etico, religioso e medico-legale (v. coma; morte).
Serena Andreotti TRECCANI.
 
bibliografia:
Council on scientific affairs, american medical association, Good care of the dying patient, "JAMA", 1996, 275, pp. 474-78.
S.B. Nuland, How we die, New York, A.A. Knopf, 1994 (trad. it. Milano, Mondadori, 1995).

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