venerdì 28 febbraio 2014

Lars Gustafsson

Lars Gustafsson
(Västerås, 17 maggio 1936) è uno scrittore svedese.

Laureato nel 1960 all'Università di Uppsala è stato redattore (dal 1962 al 1966) e direttore (fino al 1972) della rivista letteraria BLM (Bonniers Litterära Magasin) e si è convertito nel 1981 all'ebraismo.
È stato professore all'University of Texas[1] dal 1983 fino al pensionamento (2006), quando si è ritirato a Södermalm, quartiere di Stoccolma.
Nel 1986 è stato fatto cavaliere dell'Ordre des Arts et des Lettres. Nel 2003 il film A Breach in the Wall del regista Jimmy Karlsson è stato tratto dal suo racconto Yllet (da Wikipedia).


Una mattina in Svezia

Mattina,
il vento soffi
ava, sventolava e tendeva
le bandiere della zona, c’era
ghiaccio sotto le betulle bianche.

Allora passa qualcuno vestito di nero,
cammina con passo pesante,
come se dovesse andare molto lontano.
La strada vuota sale spontanea
per un pendío dove egli si avvia.

Certo che lo conoscevo, potevo raccontare
di lui
e di tutte le strade che ha percorso.
Ora il vento soffia già molto meno.
Le betulle bianche stanno assolutamente
immobili,
con un ghiaccio lucido ai piedi,
bagliore solare.

Dall’orizzonte
dove la luce del cielo è intensa come qui
arriva un piccolo tram sulle rotaie.
Si ferma un po’ qui e poi scompare,
senza che nessuno scenda.

Lars Gustafsson
Traduzione di Maria Cristina Lombardi

 

mattina come tante
a volte grigia
a volte esaltante
di luce e riflessi...

giovedì 27 febbraio 2014

Alta è la notte

Alta = profonda, lat.
piume = letto; poetica.
che....l’iracondo soffio = che l'irato (iracondo) soffio del vento squarcia e sospinge innanzi.
del ciel per gl’interrotti campi = interrotti dalle nuvole; metafora
ricalcata dall'"agros coeli" latino; deserte = solitarie.

Oh vaghe stelle = da qui Leopardi trasse la celebre apostrofe in apertura delle Ricordanze "Vaghe stelle dell'Orsa...".
carro = quello formato dalle stelle dell'orsa maggiore di cui al verso seguente.
tardo = lento; l'Orsa maggiore si trova vicino al Polo e quindi il suo spostamento appare più lento; Boote = nome greco della costellazione dell'Orsa maggiore.
artici = settentrionali.
rimembri = ricordi.
t’insegnai = ti segnalai.
rote = movimenti circolari.
prostrato = chinato; stavo inginocchiato dinanzi a lei.

Oh rimembranze! = l'apostrofe e l'incalzante serie degli interrogativi  che seguono lasceranno una profonda impressione in Leopardi fino ad influenzarne la sintassi, ravvisabile soprattutto nell'ode "A Silvia".
mi deluse = mi ingannò.
in più larga vena = vena in questo caso designa il flusso dell'acqua e sta a significare: con più abbondanza.
Commento: L'ode fa parte dei "Pensieri d'amore" scritti per Carlotta Stewart e pubblicati nel 1783, in seno alla raccolta poetica dei Versi. La corona poetica è suddivisa in dieci momenti, di cui quest'ode rappresenta l'VIII, e sviluppa in versi la materia del Werther (tranne i pensieri V e IX). I dieci componimenti vengono scritti negli anni in cui il poeta frequenta il salotto fiorentino di Fortunata Sulgher, dove conosce Carlotta, una giovane fanciulla della quale s"innamora perdutamente e si ispirano ad alcuni passi dei "Die Leiden des jungen Werthers" di Goethe.
Il pensiero VIII in realtà non deriva direttamente dal Werther ma dai Canti di Ossian (Ossian è per Werther il più grande poeta di tutti i tempi), dove, in uno dei poemi più belli Il Cartone (vv.608-619), un'oscura minaccia turba il corso sempre uguale del sole. La riflessione sulla caduta degli astri e sulla fine del mondo è tipica della letteratura preromantica e i solitari pensieri notturni del Poeta vertono appunto su tale tematica, sulla possibile fine dell'intero universo con il conseguente cadere degli astri e del sole nel caos originario.
Leopardi attingerà copiosamente a questa lirica, specie per quanto concerne le Ricordanze, il cui incipit è identico al verso montiano:"Vaghe stelle...". ed inoltre la seconda parte dell´idillio leopardiano A Silvia ha il medesimo andamento finale del pensiero del Monti.
Forma metrica: endecasillabi sciolti (dalla rete).

 Alta è la notte

Alta è la notte, ed in profonda calma
dorme il mondo sepolto, e in un con esso
par la procella del mio cor sopita.
Io balzo fuori delle piume, e guardo;
e traverso alle nubi, che del vento
squarcia e sospinge l’iracondo soffio,
veggo del ciel per gl’interrotti campi
qua e là deserte scintillar le stelle.
Oh vaghe stelle! e voi cadrete adunque,
e verrà tempo che da voi l’Eterno
ritiri il guardo, e tanti Soli estingua?
E tu pur anche coll’infranto carro
rovesciato cadrai, tardo Boote,
tu degli artici lumi il più gentile?
Deh, perché mai la fronte or mi discopri,
e la beata notte mi rimembri,
che al casto fianco dell’amica assiso
a’ suoi begli occhi t’insegnai col dito!
Al chiaror di tue rote ella ridenti
volgea le luci; ed io per gioia intanto
a’ suoi ginocchi mi tenea prostrato
più vago oggetto a contemplar rivolto,
che d’un tenero cor meglio i sospiri,
meglio i trasporti meritar sapea.
Oh rimembranze! oh dolci istanti! io dunque,
dunque io per sempre v’ho perduti, e vivo?
e questa è calma di pensier? son questi
gli addormentati affetti? Ahi, mi deluse
della notte il silenzio, e della muta
mesta Natura il tenebroso aspetto!
Già di nuovo a suonar l’aura comincia
de’ miei sospiri, ed in più larga vena
già mi ritorna su le ciglia il pianto. 

Vincenzo Monti



quante notti
e quante ore
a cercare il piacere
a bruciare il dolore...

mercoledì 26 febbraio 2014

Preghiera pellerossa


Preghiera pellerossa

Grande spirito, la cui voce sento nei venti
e il cui respiro dà vita a tutto il mondo, ascoltami!
Vengo davanti a te, uno dei tuoi tanti figli.
Sono piccolo e debole, ho bisogno della tua
forza e della tua saggezza.
Lasciami camminare nelle cose belle, e fa
che i miei occhi ammirino il tramonto rosso e oro.
Fa che le mie mani rispettino tutto ciò che hai creato,
e le mie orecchie siano acute nell'udire la tua voce.
Fammi saggio, così che io riconosca le cose
che hai insegnato al mio popolo, le lezioni
che hai nascosto in ogni foglia, in ogni roccia.
Cerco forza, non per essere superiore ai miei
fratelli me per essere abile a combattere il mio
più grande nemico: me stesso! Fa che io sia
sempre pronto a venire con te, con mani pulite
e occhi dritti, così che quando la mia vita
svanirà come luce al tramonto, il mio spirito
possa venire a te senza vergogna.


oceani di voci
e sale e sole;
ebbro di vita
riperdo e riparto...

martedì 25 febbraio 2014

Vita e poesia

vita

1 [vì-ta] s.f.1 Insieme delle funzioni che rendono un organismo animale o vegetale capace di conservarsi, svilupparsi, riprodursi e mettersi in rapporto con l'ambiente e con gli altri organismi: v. animale, vegetale, umana; v. vegetativa, sensitiva; il fatto di essere vivo: essere in v. || dare la v. a qlcu., darlo alla luce | essere in fin di v., stare per morire | perdere la v., morire | restare, rimanere in v., sopravvivere | dare la v. per qlco., essere disposto anche a morire per esso | dare v. a qlco., esserne il promotore, il fondatore: dare v. a un'associazione culturale | togliersi la v., eufemisticamente, suicidarsi | l'altra v., la v. eterna, ultraterrena, l'esistenza soprannaturale che, secondo varie concezioni religiose, sarebbe possibile per l'anima | passare a miglior v., in senso eufemistico, morire | non dare segni di v., sembrare morto ~fig. detto di persona, non dare più notizie di sé; detto di cosa, in usi scherz., cessare di funzionare: il televisore non dà più segni di v. || fig. una questione di v. o di morte, molto importante | nel prov. finché c'è v. c'è speranza, non bisogna mai disperare

2 Spazio compreso tra la nascita e la morte; l'esistenza di un individuo, come svolgimento e come insieme di fatti e di esperienze che l'hanno caratterizzata: una v. breve, lunga; avere avuto una v. tranquilla, avventurosa; nel l. fam., con valore iperb., periodo di tempo molto lungo: è una v. che non lo vedo || v. natural durante, per tutta la vita | v. media, in statistica, numero medio di anni che una persona o una popolazione può attendersi di vivere | a v., per tutta la vita: carcere a v.; senatore a v.

3 Aspetto particolare in cui si esplica l'attività vitale dell'individuo: v. fisica, psichica, interiore; modo di vivere particolare di ogni individuo: fare una v. attiva, sedentaria; fare una v. d'inferno, da cani; la dimensione collettiva del vivere: partecipare alla v. politica del proprio paese; ritirarsi dalla v. pubblica || fare la bella v., vivere dedicando molto tempo al divertimento e ai piaceri mondani | fare la v., nel gergo, prostituirsi | fare, avere una doppia v., affiancare attività illegali e clandestine a quelle legali | ragazza, donna di v., prostituta

4 fig. Esistenza e complesso di attività di un organismo sociale: questo è stato un anno importante nella v. dell'azienda; durata di qlco.: un giornale che ha avuto v. breve

5 La realtà delle cose terrene, il mondo umano: conoscere la v.

6 estens. Capacità vitale, salute, vigore: l'aria, la luce sono fonti di v.; in senso fig., fermento, vivacità: strade, piazze piene di v.

7 Quanto costituisce la causa per cui qlcu. o qlco. vive; lo scopo e la ragione per cui si vive: il sole è la v. della terra; il lavoro è tutta la sua v.

8 Insieme dei mezzi materiali di sostentamento: la v. è sempre più cara

9 (spec. pl.) Persone, esseri umani: una strage di v. umane

10 Autobiografia o biografia: personaggio che scrive la propria v. • pegg. vitaccia • sec. XIII.


Saggio di commento al Petrarca

"La vita fugge e non s’arresta un’ora:"
Messer Francesco, la sentenza  è vera.
Tempo fu ch’io men dolsi e che all’aurora
Troppo vicina mi parea la sera.
"La vita fugge e non s’arresta un’ora:"
Messer Francesco, è pur verace il grido;
Ma lasciatela andare alla malora
Or che del suo fuggir m’allegro e rido.

Arturo Graf






vera è la vita,
che siamo,
che viviamo...

lunedì 24 febbraio 2014

Emily sempre


 
The morns are meeker than they were -
The nuts are getting brown -
The berry's cheek is plumper -
The Rose is out of town.

The Maple wears a gayer scarf -
The field a scarlet gown -
Lest I should be old fashioned
I'll put a trinket on.
   I mattini sono più miti di com'erano -
Le noci stanno diventando marroni -
La guancia della bacca è più paffuta -
La Rosa è fuori città.

L'Acero indossa una sciarpa più gaia -
Il campo una veste scarlatta -
Per non essere fuori moda
Mi metterò un ciondolo.

Quella riportata sopra è la copia inserita nei fascicoli. Esiste un altro manoscritto, spedito a Susan legato con un nastro che teneva un fiore, con "seem" ("sembrare") al posto

Emily Dickinson


 

domenica 23 febbraio 2014

Aforisma

Ti amerò
come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome
come la valle canta l'eco delle campane;
ascolterò
il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta la storia delle onde.

Kahlil Gibran


natura di cose,
cieli blu cobalto,
rami ancora spogli...

sabato 22 febbraio 2014

Poesia

 Passanti

Seduti ristanno i passanti
come figure scarne a panchine
scrostate da vento e pioggia;
assenti sono i passanti
con loro stanche schiene chine
nel peso degli anni che appoggia.
Li vedo partire i passanti
che ancora albeggia appena
in un mesto corteo vanno avanti
verso il giorno, verso la pena.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

venerdì 21 febbraio 2014

Paura

paura s. f. [rifacimento, col suff. -ura, del lat. pavor -oris «timore, paura», der. di pavere «aver paura»]. –

1.

a. Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso: più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso, che si manifesta anche con reazioni fisiche, quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente: quelle ombre che passavano nel buio mi davano un senso di p.; quando mi vidi puntare la pistola al petto ebbi veramente p.; non ti dico la mia p. nel vedere quel precipizio aperto sotto i nostri piedi!; Già mi sentia tutti arricciar li peli De la p. (Dante). Entra in numerose locuz.: prender p.; esser preso, colto, invaso, afferrato, assalito dalla p.; ho avuto (o ho preso) una gran p., una bella p., una p. matta, tremenda, birbona, una p. indiavolata; avevo addosso una p. del diavolo, ero certo che non avrei visto mai più un altro giorno (Vitaliano Trevisan); una p. da morire; mamma mia, che p.!; ti e passata la p.?; gli è entrata addosso (o, più efficacemente, in corpo) la p.; la p. lo teneva inchiodato lì; diventare pallido, bianco, smorto per la p.; tremare per la p.; dalla p. gli si piegavano le gambe; scappare per la p.; iperb., era morto, era mezzo morto di p.; pop., farsela addosso per la p.; il coraggio della p., quella sorta di arditezza temeraria e quasi disperata che talora nasce, per istinto di conservazione, in situazioni molto pericolose; la p. fa novanta, modo prov. scherz. (v. novanta); la p. è fatta di niente (prov.), ha per lo più origine da cause vane, immaginarie; niente p.!, non aver p.!, senza p.! esclamazioni e incisi frequenti per far coraggio a qualcuno.

b. Con sign. attenuato, stato d’animo abituale, o condizione costante, di timore e di apprensione: vivere nella p., in una continua p.; cavaliere senza macchia e senza p.; gira sempre armato per p. dei ladri. Spec. in locuz. formate con il verbo avere, come: avere p. della morte o di morire; aver p. del contagio; aver p. degli spiriti, del diavolo, del tuono, del buio; hai p. di star solo?; ha p. della propria ombra, di persona che si spaventa per nulla e teme di tutto o di tutti; proverbî: chi ha p. d’ogni figura, spesso inciampa nell’ombra; cane scottato dall’acqua calda ha p. della fredda, chi ha subìto un danno una volta, diventa doppiamente prudente; in frasi negative: non aver p. di nessuno, di persona ardita o sfrontata; non avere p. di qualcuno, non temerne la forza, la potenza oppure il confronto.

c. Altre locuz.: mettere p. a qualcuno, con riferimento a uno spavento improvviso (ah, sei tu?, m’avevi messo p.) o per indicare uno stato d’ansia, un senso di timore e sim. (esagerava apposta la descrizione del pericolo per mettergli p.; è inutile che minacci, tanto non mi metti p.); con sign. attenuato anche nelle espressioni, meno com., mettere qualcuno in p., mettersi in paura. Far p., spaventare con atti o gesti improvvisi, incutere timore, sbigottire: gli balzò davanti per fargli p.; ti ho fatto p.?; il mare era così agitato, il cielo era così scuro, la strada era così solitaria, che faceva p.; puoi fare a meno di gridare, perché tanto non mi fai p.; la morte fa p. a tutti; niente gli fa p. (non arretra dinanzi a nessun pericolo, o sim.); con valore iperb. nelle espressioni da far p., da mettere p., che fa p. e sim., usate per sottolineare le qualità, spec. negative, già espresse nella frase, o per indicare condizioni particolarm. impressionanti, spaventose e sim.: è magro da far p.; ha una faccia che fa p.; lo trovai in uno stato da mettere paura.

2. In molti casi, spec. nel linguaggio fam., ha accezioni e usi analoghi a quelli di timore (nel sign. in cui questa parola si contrappone a speranza): preferì tacere, per p. d’uno scandalo, per p. di compromettersi; camminava adagio per p. di scivolare; mal non fare e p. non avere (prov.), quando si ha la coscienza tranquilla non si deve temere di nulla; libertà dalla p., una delle quattro libertà atlantiche (v. libertà, n. 2 b). Con sign. ancor più attenuato: ho p. di non fare in tempo; aveva p. di non riuscire; m’affrettai per p. di trovare l’ufficio postale chiuso; mangia pochissimo per p. d’ingrassare; ho p. che dovremo attendere un pezzo; ho p. che queste scarpe mi stiano strette; avrà ciò che merita, non aver p.! (siine pur certo, sta’ pur sicuro). ◆ Dim., non com., paurétta; pegg. pauràccia: al cessar di quella pauraccia, s’era da principio sentito tutto scarico, ma ben presto cominciarono a spuntargli in cuore cent’altri dispiaceri (Manzoni).
(vocabolario Treccani)

Ho paura

Ho paura. Lo ripeto a me stesso
invano.
Questa non è poesia né testamento.
Ho paura di morire.
Di fronte a questo che vale cercare le parole per dirlo
meglio.
La paura resta, lo stesso.
Ho paura. Paura di Morire.
Paura
di non scriverlo perché dopo,
il dopo è più orrendo e instabile del resto.
Dover prendere atto di questo:
che si è corpo e si muore.


Dario Bellezza


timori
incentrati
su nulla
conosciuti
nei mai
eppure...

giovedì 20 febbraio 2014

Pianto con poesia e riflesso

Per pianto si intende comunemente l'atto di produrre e rilasciare lacrime in risposta ad un'emozione, sia essa negativa (dolore), che positiva (gioia).
Queste due componenti, lacrimazione ed emozione, possono anche non essere compresenti. Nei neonati, per esempio, data l'immaturità del dotto lacrimale, si può verificare un pianto senza lacrime. Altre situazioni, invece, determinano spremitura della ghiandola lacrimale in assenza di un'emozione correlata, come il contatto dell'occhio con sostanze irritanti (solfuri organici contenuti nella cipolla) o l'innervazione della ghiandola lacrimale da parte di neuroni secretagoghi diretti primitivamente alle ghiandole salivari (definita "pianto del coccodrillo").
Infine, il cosiddetto "piangere dal ridere" descrive una situazione dove non è tanto l'emozione gioiosa a determinare lacrimazione, quanto il complesso delle attivazioni muscolari determinato dal riso.
Il piangere è stato definito come "un complesso fenomeno secretomotore caratterizzato dall'effusione di lacrime da parte dell'apparato lacrimale, senza alcuna irritazione per le strutture oculari", in cui un collegamento neuronale tra la ghiandola lacrimale e le aree del cervello è coinvolto in un'emozione dapprima controllata.
Si ritiene che nessun altro essere vivente oltre l'uomo possa produrre lacrime come risposta ai diversi stati emozionali,benché ciò non sia del tutto corretto per diversi scienziati.
Le lacrime prodotte durante pianti emozionali presentano una composizione chimica diversa dagli altri tipi di lacrime: contengono infatti un quantitativo significativamente più alto di ormoni prolattina, ormoni adrenocorticotropo, leu-encefalina (un oppioide endogeno e potente anestetico), potassio e manganese. Stando ad uno studio su oltre 300 individui adulti, in media gli uomini piangono una volta ogni mese, mentre le donne piangono almeno cinque volte al mese, specialmente prima e durante il ciclo mestruale, quando il pianto può incrementare anche di cinque volte, spesso senza evidenti ragioni (come depressione o tristezza).
In molte culture è più socialmente accettabile per donne e bambini piangere che per gli uomini.
Sulla funzione ed origine delle lacrime emozionali non si è ancora trovata una risposta definitiva: le diverse teorie proposte spaziano dalle ipotesi più semplici, come una risposta al dolore provato, a quelle più complesse, compresa la comunicazione non verbale atta a "farsi comprendere" dagli altri.
Per Ippocrate e la medicina medievale, l'origine delle lacrime era da attribuirsi allo stato umorale del corpo, mentre il pianto era percepito come una purificazione del cervello dagli eccessi umorali.
William James interpreta le emozioni come riflessi a priori del pensiero razionale, argomentando che lo stato fisiologico, come è lo stress, sia una precondizione necessaria per raggiungere la piena conoscenza delle emozioni come l'ira.
William H. Frey II, biochimico all'Università del Minnesota, ha dichiarato che le persone si sentono "meglio" dopo aver pianto, a causa dell'eliminazione di ormoni associati allo stress, e più specificamente degli ormoni adrenocorticotropo. Questo, unito all'incremento delle secrezioni delle mucose mentre si piange, potrebbe condurre alla teoria che il pianto sia un meccanismo sviluppato nell'uomo per disporre di questo "ormone antistress" come valvola di sfogo quando il livello di stress accumulato è troppo elevato.
Recenti teorie psicologiche evidenziano la relazione tra il pianto e la percezione della debolezza. Da questa prospettiva, la marcata esperienza di debolezza può spiegare in generale perché la gente piange (da Wikipedia).

 
 
perduti carmi come petali,
le parole incocciano i sogni
e i sogni perdurano al mattina;
si vorrebbe, si vuole,
a volte si duole
e si soffre...


L'antico pianto

Quindi prosegua per cammini ombrosi,
a fior di labbro modulando un canto
che per me l'altra notte mi composi.
Poiché talor non piango io il mio pianto,
lo canto, e qualche mia triste canzone
fti come il sangue del mio cuore infranto.
Tempo fu che le mie forze più buone
stremai in canti a' piedi d'un Signore
che m'arse di ben vana passione.
Io piangevo così note d'amore,
come la cieca in sul quadrivio, volta
al sole, canta il suo buio dolóre
e non s'avvede che nessun l'ascolta.

Amalia Guglielminetti

mercoledì 19 febbraio 2014

Tramonto

Il tramonto è il momento in cui un astro scompare sotto l'orizzonte.
Dal punto di vista strettamente astronomico, il punto sull'orizzonte dal quale al tramonto transita il centro del disco solare corrisponde esattamente alla direzione dell'ovest solo nelle date degli equinozi: ad esempio, nell'emisfero boreale, esso si sposta rispettivamente a nord-ovest nei mesi primaverili ed estivi (raggiungendo il punto più a nord al solstizio d'estate) e a sud-ovest nei mesi autunnali e invernali (analogamente, raggiungendo il punto più a sud al solstizio d'inverno). 
La zona dell'orizzonte compresa tra il punto più a nord e quello più a sud è detta zona occasa.
Al tramonto o al sorgere del Sole è possibile, a volte, osservare un raggio verde.
Il tramonto esiste anche sugli altri pianeti, ma è differente a causa della distanza dal sole al pianeta e della composizione atmosferica.
Su Marte, dato che il pianeta è più distante dal sole che la terra, il sole appare solamente di una grandezza di 2/3 rispetto a quello terrestre; a causa della rarefatta atmosfera, inoltre, al tramonto il cielo si colora di blu, non di rosso.


Tramonto

Muore il giorno; la muta aria non alita,
L’orizzonte s’annuvola e si perde;
Brune sul cielo si disegnan l’arbori,
S’addensan l’ombre sull’immenso verde.
Freddo è il mio core; intorno a me s’abbujano
Le minacce del mondo e della sorte;
Di rimembranze il mio pensier rigurgita;
Trista è l’anima mia sino alla morte.

Arturo Graf


un viale alberato
 verso il sole,
così lo vedo
e vedo schiere 
di vecchi
percorrerlo lenti,
senza voltarsi indietro...

martedì 18 febbraio 2014

Poesia e riflesso di canzone


Febbraio

Febbraio.
Prender l'inchiostro e piangere!
Scrivere di Febbraio a singhiozzi,
finchè il tempo piovoso scrosciante
brucia come una fosca primavera.

Prendere una carrozza. Per sei soldi
fra scampanio e stridere di ruote
recarsi là dove la pioggia torrenziale
strepita più che lacrime ed inchiostro.

Dove, come pere incenerite,
dagli alberi mille cornacchie
cadranno nelle pozze rovesciando
una secca mestizia sul fondo degli occhi.

Nereggiano di sotto gli spazi disgelati,
e il vento e solcato dai gridi,
e quanto più a caso, tanto più esattamente
si compongono i versi a singhiozzi.
 
Boris Pasternak
 
 
Viene Febbraio il mondo è a capo chino
ma nei convitti e in piazza
lascia i dolori e vesti d'Arlecchino
il Carnevale impazza...

lunedì 17 febbraio 2014

Poesia, riflesso e descrizione

O falce di luna calante
che brilli su l'acque deserte,
o falce d'argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
esalano al mare: non canto non grido
non suono pe 'l vasto silenzïo va.

Oppresso d'amor, di piacere,
il popol de' vivi s'addorme...
O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!

Gabriele D'Annunzio


la luna e i sogni,
il dito, le coglie,
i colori notturni...

La poesia appartiene al genere, molto frequente, della visione notturna lunare, sul tipo degli Idilli leopardiani. Certo però la visione dannunziana risulta ben diversa da quelle liriche e insieme riflessive di Leopardi. Manca infatti, in questa lirica, un vero sviluppo di idee; tutto sembra risolto in una sensazione istantanea. Il giovane poeta coglie dell'incanto lunare solo le sue componenti sensuali:
-Le foglie sembrano emanare un'ansia di desiderio;
-Il profumo dei fiori suggerisce sospiri voluttuosi;
-La notte è piena solo di piacere.

Già i poeti classici (da Omero a Virgilio) avevano cantato il comune riposo di animali e uomini dopo le fatiche del giorno; ma in questo canto la stanchezza non giunge a sera, cioè alla fine del giorno, bensì dopo una notte densa di piaceri. L'aggettivo oppresso aggiunge a questa immagine una nota negativa, e tipicamente decadente: esso infatti indica che anche il piacere può dare stanchezza.

Suoni e colori smorzati percorrono l'intero testo; alla fine grazie alla parziale ripetizione della mossa iniziale (O falce calante), il poeta si abbandona al sonno e alla velata minaccia di quella falce che tutto taglia. Che cosa ci riserverà il domani? Ma l'interrogativo non viene neppure esplicitato; tutto si risolve in pura musica, senza più pensieri. La musicalità e il ritmo smorzano con leggerezza le immagini (dalla rete).

Schema Metrico: 3 strofe di 4 versi ciascuna (2 novenari e 2 dodecasillabi o senari doppi, l'ultimo dei quali tronco).

domenica 16 febbraio 2014

Canto indiano


Quando ti avvicini a un piccolo ruscello e ti vuoi lavare,
devi prima metterti in raccoglimento e
parlare all'acqua che scorre.
Non è possibile immergere semplicemente la mano
e lavarti il volto con l'acqua fresca,
devi mostrare timore e
camminare piano fino al ruscello.
Una volta arrivato prendi un po' d'acqua
e bagnati quattro volte il volto,
poi china il capo e prega.
Ogni corso d'acqua dell'antica regione dei Chiricahua è per noi sacro.

Beshàd e - indiana Apache


semplici frasi
in pensieri immensi
aria e vastità... 

sabato 15 febbraio 2014

Aforisma


Vorrei che andaste
incontro al sole e al vento
con la pelle,
più che con il vestito,
perchè il respiro della vita
è nella luce solare
e la mano della vita
è nel vento.

Kahlil Gibran

venerdì 14 febbraio 2014

Asilo

aṡilo
s. m. [dal lat. asylum, gr. ἄσυλον (ἱερόν), propr. «(tempio) dove non c’è diritto di cattura (σύλη)»].
1.
a. Immunità concessa anticamente a chi (schiavo fuggitivo, delinquente, prigioniero di guerra) si rifugiava in luogo sacro (edificio, recinto, bosco o monte consacrato alla divinità) o presso una cosa sacra (altare, statua degli dei, ecc.); costituiva un diritto (diritto d’a.) riconosciuto non solo presso i popoli primitivi, ma anche presso quelli più progrediti, e in seguito accettato anche dalla Chiesa cristiana a favore di coloro che, indiziati per qualche reato o già colpiti da condanna, si fossero rifugiati in una chiesa (a. ecclesiastico, tuttora vigente nel diritto canonico, ma abolito dalle legislazioni civili del sec. 19°). Attualmente, il diritto di asilo si configura come garanzia di inviolabilità accordata a stranieri rifugiati, per motivi politici, in territorio estero o in sedi che godono della extraterritorialità, come ambasciate, ecc. (a. politico).
b. Per estens., rifugio, ricovero: dare, cercare, offrire, trovare a. (in un luogo, o presso qualcuno).
2.
Edificio destinato a ospitare, temporaneamente o permanentemente, speciali categorie di persone bisognose di ricovero, sorveglianza, o assistenza: a. notturno, per il pernottamento dei senza tetto; a. di mendicità, per l’ospitalità completa, soprattutto ai vecchi; a. per minorenni, per l’assistenza e la tutela della gioventù priva di mezzi.
3.
a. Asilo nido, riservato ai bambini d’età non superiore ai tre anni (v. nido, n. 3). A. infantile o a. d’infanzia, nome che, fino a un passato abbastanza recente, ha indicato la scuola dell’infanzia (v. infanzia, n. 1. b), ancora usato nel linguaggio fam. (più spesso, semplicem. asilo): questo è il grembiulino dell’asilo?
b. Asilo-scuola: istituzione medico-pedagogica esistente dalla fine dell’Ottocento al Novecento, con il compito di adattare alla vita sociale le persone con problemi psichici.
4.
Luogo che gli uccelli, e la selvaggina in genere, eleggono a dimora preferita e a rifugio.
(dizionario Treccani)


Asilo del tempo

Non so stare che qui
dove sfiorisce la vita;
tutto uguale scandito
da attimi lenti e fugaci.
Lo vedo negli occhi, nei gesti,
quel sordo dolore che porta il ricordo;
lo intendo dal cuore l'amore
dai teneri gesti, tremanti
e mi piange la gioia
nel bacio che do,
in quello che prendo.

"a mio padre"
Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

giovedì 13 febbraio 2014

Poesia, quadro e riflesso


Pallida Mors

Mentre intorno ai fioriti e scintillanti
Deschi sediam entro dorata sala,
E dalle tazze traboccanti esala
Il sonoro e gentil spirto dei canti;
Mentre ferve la gioja, e accende il volto
Alle fanciulle e scalda il sen di neve,
Dietro i serici arazzi il passo greve
E il riso acuto io della morte ascolto.
E gli occhi, pieno di sgomento il core,
Ficco nel viso a un oriuol beffardo,
E il negro, maledetto indice guardo
Per l’angusto volar cerchio dell’ore.
Mi guardo a fianco, e sull’amata fronte
Veggo di tratto inaridir le rose,
E spegnersi il balen dell’amorose
Luci che al mio piacere eran sì pronte
Illividir le tempie ed il soave
Labbro farsi di gel, sciorsi le chiome,
E sulla sedia arrovesciarsi, come
Morto, il bel corpo illanguidito e grave.
E mi s’agghiaccia il cor; falso nè vero
Pi・non discerno, non rido, non piango;
Ma, con le braccia al sen, muto rimango,
Immobile, a guatar l’empio mistero.

Arturo Graf
 

Joseph W. Turner "La morte su di un cavallo pallido"

ora vivo
più partenze
che arrivi;
dove si va
nessuno lo sa...