venerdì 16 agosto 2013

Monet tra poesia e riflesso

Mattino

Era necessario un addio, perché capissi,
che non c'è un addio per noi.

Per sempre porterò in me quest'alba
come segno di bruciatura.
Alzàti sul far del giorno,
partimmo verso l'areoporto grigio
ed eravamo contenti, perché era così lontano.

La mia ultima parola fu un sorriso.

E sopra di noi sorgeva con l'addio
l'incontro vero e l'amore.

Blaga Dimitrova



Claude Monet, Mattino sulla Senna

blu e rosa stemperano
la mia tristezza quotidiana,
è mattina,
quella che si aspetta,
quella che vince il buio...


 
Monet e la Senna

Per tutta la vita Monet sarà affascinato dall'acqua del suo fiume - come dal mare - dal suo potere trasfigurante, un elemento naturale mai stabile e in continua evoluzione, una superficie pigramente sonnecchiante nelle giornate senza vento, ma anche inquieta e litigiosa nelle giornate cariche di pioggia e burrasca; una superficie volubile, manipolabile dalle condizioni atmosferiche, ma anche audace nel riflettere il paesaggio circostante e frantumarlo allo stesso tempo. E' nell'acqua che Monet scopre come tutti gli elementi paesaggistici - cielo, case, alberi, imbarcazioni, uomini - perdano la loro obiettiva definizione e possano essere ritratti come fenomeni di pura e visionaria dissolvenza. E' l'acqua il suo mezzo di astrazione, il suo potere specchiante sfuma i riferimenti reali e li riconverte in un gioco informale di colori. E' l'acqua che gli fa scoprire l'esatta "percezione della luce", nel senso che gli insegna a vedere le cose come puri effetti di luce, che lo apre alla visione di una realtà avvolta dagli instabili e perversi effetti atmosferici del cielo che si riversano nell'acqua. L'acqua è la sua musa, la sua amante nelle avventure en plein air, una madre e un padre costantemente presenti e premurosi: tanto è il bisogno di immergersi in questo elemento che Monet sceglie una prospettiva dall'acqua stessa, escogitando l'atelier galleggiante, tenuto a battesimo durante il soggiorno ad Argenteuil, nel 1873. Il pittore trasforma la barca a remi, attrezzandola con una cabina e un tendalino di stoffa. Un espediente che Monet riprende da un'intuizione del paesaggista Daubigny quindici anni prima, e ancora prima, dall'inglese Turner, che a Venezia, città amata dallo stesso francese, a largo del bacino di San Marco, su un'imbarcazione, contemplava la terraferma avvolta da un gioco atmosferico senza confini, dove cielo e mare si compenetravano, dove le famose architetture veneziane, perdevano la loro precisione dei contorni, e venivano risucchiate in un vortice di riflessi "nell'acqua e dall'acqua". Così Monet dipinge l'acqua dall'acqua, entra direttamente nel motivo, con immediatezza di tocchi sulla tela Monet immortala l'impressione della brezza che accarezza silenziosamente la superficie, o del vento che sferza il quieto corso del fiume, increspandolo di morbide onde che disgregano i contorni di tutta la realtà che si riflette. Il fiume - il suo fiume - diventa il fil rouge della produzione di Monet, dalle mondane regate alla solitaria contemplazione di effetti acquatici, attraverso i soggiorni tranquilli e sereni fuori dalla grande città di Parigi, seguendo il corso fino alla foce, fino alla costruzione del suo giardino delle meraviglie a Giverny, quando farà deviare il corso del fiume per creare, nella sua mente prima ancora che nella realtà, l'artificio della natura, fatto di ninfee, di uno stagno, di un ponte giapponese, di salici piangenti, di fiori e piante.(Laura Larcan, dalla rete).

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