lunedì 31 dicembre 2012

Fine d'anno tra poesia e riflesso


si va di anno in anno cercando,
a volte si trova, a volte più o meno;
un augurio a chi visita il blog
a chi ci capita ogni tanto;
un abbraccio a chi lo segue e lo ispira,
un bacio a chi fa sue molte cose...

Perplessità

Ieri io indugiai su quel punto che sta
fra la saggezza e la follia, sospesa
fra runa e l'altra in gran perplessità.
Amor sollecitava, aspro d'attesa,
esauste tutte le sottili frodi,
le insidie che trascinano alla resa. /
Ma, su l'incerto limite, i custodi
spiriti della giovinezza chiara
mi trattenevan con più onesti modi.
Curiosità mi rise avida : - Impara l
il Desiderio: - Tenta! - m'incitò.
E all'una e all'altro la superbia amara
di quella che va sola disse : - No.

Amalia Guglielminetti
  

anni che vanno,
via e non si voltano,
non guardano noi
che invece restiamo,
qualcuno invece va,
via con loro...

domenica 30 dicembre 2012

Poesia e riflesso


NAUFRAGHI

L’interminabil mar gurgita e rugge,
Spumeggia l’onda incavallata e bruna,
Pel ciel la nube lacerata fugge,
Guizza sui flutti la sanguigna luna.
Volta di sbieco la sottil carcassa.
Con tutte quante le sue vele al vento,
Balza sull’onde sgominate e passa
Come una visione il bastimento.
Addio, speranze mie, figlie del nulla,
Amori nati e non cresciuti, addio;
Con voi sdegnosa l’onda si trastulla;
Ah, potessi con voi perdermi anch’io!
L’interminabil mar gurgita e rugge,
Incalza il vento con selvaggia foga,
Pel ciel la nube lacerata fugge,
La torba luna giù nel mar s’affoga.

Arturo Graf


nei relitti dell'anima
si cercano dagioni passate
si trovano occasioni perdute
eppure amo in me il riscontro
e gli indugi appena sopiti...

sabato 29 dicembre 2012

Fotografia

La parola fotografia ha origine da due parole greche: φῶς (luce) e γραφή (scrittura). Letteralmente quindi fotografia significa “scrittura con la luce”. Il termine fotografia viene utilizzato con tre differenti accezioni: tecnica che permette di creare immagini su un supporto sensibile alla luce, un'immagine ottenuta con tale procedimento e la forma d'arte che utilizza questo processo. La fotografia si basa su due principi fondamentali della chimica e della fisica: la reazione di alcuni particolari componenti chimici alla luce e la creazione di un’immagine quando la luce passa attraverso un’apertura in una camera oscura o in una scatola chiusa. La sensibilità alla luce di alcuni prodotti chimici fu sperimentata attorno al 1727 dal filosofo naturalista Johann Heinrich Schulze; più antiche sono invece gli studi riguardanti i principi dell’ottica, dei quali troviamo traccia negli scritti di Aristotele, appartenenti al IV secolo a.C. Alla base del processo fotografico troviamo la camera oscura, la quale molto tempo prima dell’invenzione della fotografia veniva utilizzata da vari artisti come aiuto nel disegno; basti pensare che essa fu utilizzata anche da Leonardo da Vinci. La luce entra nella camera o nella scatola oscura attraverso una piccola apertura e viene riflessa sul lato opposto di essa creando così un’immagine capovolta della scena circostante, che verrà corretta grazie all’aiuto di uno specchio. La scoperta definitiva dell’intero processo che noi oggi chiamiamo fotografia avviene nel 1839 contemporaneamente in Francia e Inghilterra ad opera di Louis-Jacques-Mandé Daguerre e William Henry Fox Talbot, di cui parleremo la prossima volta. In verità, l'immagine piu' antica arrivata a noi ed è stata realizzata il 25-11-1826, da Joseph Nicéphore Niépce, ora conservata ad Austin, Texas, nel 1839 è l'anno in cui Daguerre cede i diritti del brevetto, in cambio di un vitalizio, all'accademia delle scienze di Parigi, 15 agosto 1839 (dalla rete).


FOTOGRAFIA
 
M'attira il tuo sorriso come
Potrebbe attirarmi un fiore
Fotografia tu sei il fungo bruno
Della foresta
La sua bellezza
I bianchi sono
Un chiaro di luna
In un pacifico giardino
Pieno d'acque vive e d'indiavolati giardinieri
Fotografia sei il profumo dell'ardore
La sua bellezza
E ci sono in te
Fotografia
I toni illanguiditi
Vi si sente
Una melopea
Fotografia tu sei l'ombra
Del sole
Tutta la sua bellezza.
 
Guillaume Apollinaire


in uno scatto tutto,
quello che siamo fissato
in  un attimo senza fine
in un silenzio pieno di noi...

venerdì 28 dicembre 2012

Poesia e riflesso

Notte invernale
Latrati, lontani nel buio,
di quando eravamo vicini
ad un passo da tutto.
Gridi notturni, invernali,
tra freddo e velate occasioni
in un turbine solo ci siamo,
ritroviamo le cose di sempre.

Anonimo del XX° secolo
poesie ritrovate


vissuto,
come quello di tanti,
eppure unico
come unico sono 
e mi sento...

giovedì 27 dicembre 2012

Frammento


un passo deciso
mi porta lontano
su monti innevati
nel falsopiano
che avevo diviso...

anonimo del XX° secolo
frammenti ritrovati

mercoledì 26 dicembre 2012

Poesia e riflesso

SONETTO LVI

Io amai sempre, ed amo forte ancora,
E son per amar più di giorno in giorno,
Quel dolce loco ove piangendo torno
Spesse fïate quando Amor m’accora;
E son fermo d’amare il tempo e l’ora
Ch’ogni vil cura mi levàr d’intorno;
E più colei lo cui bel viso adorno
Di ben far co’ suoi esempi m’innamora.
Ma chi pensò veder mai tutti insieme
Per assalirmi ’l cor or quindi or quinci
Questi dolci nemici ch’i’ tanto amo?
Amor, con quanto sforzo oggi mi vinci!
E, se non ch’al desio cresce la speme,
I’ cadrei morto ove più viver bramo.

Francesco Petrarca


non smisi di amare
anche quando l'amore
diper sè era duro
era arduo e tagliente;
ora amo ancora,
forse in modo differente...

martedì 25 dicembre 2012

Zampogne di Natale

Lo zampognaro è il suonatore di zampogna, uno strumento musicale arcaico a fiato diffuso in Italia centro-meridionale. La zampogna (da non confondere con la cornamusa diffusa nel nord Italia e in altre regioni europee) è uno strumento tradizionale caratterizzato dalla presenza di più canne sonore (chanter). Le regioni dove è tradizionalmente presente la zampogna sono: Lazio (province di Frosinone e Latina), Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia. Comunemente con il termine di zampognari si definiscono quei musicisti o figuranti che con l'arrivo del Natale (in particolare durante il periodo della Novena dell'Immacolata Concezione e del Natale), percorrono le vie cittadine, in abiti tipici, suonando motivi natalizi tradizionali, quali ad esempio Tu scendi dalle stelle di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Generalmente gli zampognari suonano in coppia, uno la zampogna vera e propria ed un altro la ciaramella o altri strumenti a fiato e tradizionalmente si tratta di pastori o contadini che si trasferiscono temporaneamente in città per il periodo natalizio. La "coppia" di zampognari rappresenta anche una presenza fissa del presepe e in particolare del presepe napoletano, dove generalmente trova posto nelle immediate vicinanze della "capanna" o "grotta" della Sacra Famiglia. Se è vero che la zampogna nei grandi centri urbani si usa solo nel periodo natalizio, in ambito rurale/pastorale questa accompagna tutti gli accadimenti dell'anno. Oggi l'impiego della zampogna e degli zampognari in ambito rurale (processioni, rituali, feste e balli) è praticato in Campania (provincia di Salerno), Basilicata, Calabria, Sicilia (provincia di Messina) Abruzzo. La presenza della zampogna - come tale - in altre regioni d'Italia è dovuta alla passione di alcuni musicisti di altre regioni che l'hanno fatta propria, ma non è espressione di tipicità ne di tradizione. Discorso diverso per i vari tipi di cornamusa tipici dell'Italia nord-occidentale, dove i rispettivi suonatori assumono altre denominazione locali: "cornamusaro", müsetta nelle Quattro province, suonatore di "piva" nel parmense o di "baghèt" nella bergamasca (da wikipedia).

Natale

Quando facevo il pastore
allora ero certo del tuo Natale..
I campi bianchi di brina,
i campi rotti al gracidìo dei corvi
nel mio Friuli sotto la montagna,
erano il giusto spazio alla calata
delle genti favolose.
I tronchi degli alberi parevano
creature piene di ferite;
mia madre era parente
della Vergine,
tutta in faccende
finalmente serena.
lo portavo le pecore fino al sagrato
e sapevo d'essere uomo vero
del tuo regale presepio.

David Maria Turoldo


Giovanni Segantini, zampognari di brianza, 1883-1885 ca


il suono della piva
in lontananza geme,
la zampogna chiosa
e la neve manca...

lunedì 24 dicembre 2012

Christmas eve suite


Vigilia

attesa fatta di niente
spolverata da tracce di neve,
le vie sono strette,
le strade affollate;
la gente mi urta,
scomposta gioisce
e c'è profumo di vento.

anonimo delo XX° secolo
poesie ritrovate



domenica 23 dicembre 2012

Poesia e riflesso

Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni.
Però ciò che é importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito e` la colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo c`e` una linea di partenza.
Dietro ogni successo c`e` un`altra delusione.
Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca cio` che facevi, torna a farlo.
Non vivere di foto ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arruginisca il ferro che c`e` in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.
Quando a causa degli anni
non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Pero` non trattenerti mai!

Madre Teresa di Calcutta


lasciarsi andare,
in crescendi disperati,
in allegri maestosi;
lasciarsi stare
quando si è stanchi
e quando si è soli...

sabato 22 dicembre 2012

Song

ancora lei,
devo ammettere che questo disco
mi intriga
e la voce di questa ragazza
è qualcosa di ancestrale, ammalia...
il video poi
è fantastico


venerdì 21 dicembre 2012

Poesia e riflesso

Treni

A notte
un lento giro d’ombre rosse
alle pareti avviava i treni: tonfi
cupi d’agganci
al sonno si frangevano.
E lavava
lieve la corsa della pioggia il fumo
denso ai cristalli: sogni
s’aprivano continui, balenanti
binari lungo un fiume.
Ora ritorna
a volte a mezzo il sonno quel tuonare
assurdo
e per le mute vie serali, ai lenti
legni dei carri e dentro il sangue
chiama
lunghi fragori – e quell’antico ardente
spavento e sogno
di convogli.

Antonia Pozzi
Torino, 1° maggio 1937


treni che passano
e non passano più,
visi che ritornano
alla mente, al cuore,
non sempre è solo dolore...

giovedì 20 dicembre 2012

Sibilla


Sibilla Aleramo, pseudonimo da Rina Faccio.
Nata ad Alessandria nel 1876, morta a Roma nel 1960.
Narratrice e poetessa.
Una donna, il suo primo romanzo di stampo fortemente autobiografico viene pubblicato nel 1906. Il fallimento matrimoniale dei genitori, il tentato suicidio e la follia della madre, la seduzione da parte di un impiegato del padre (quando era poco più che adolescente), il matrimonio riparatore da cui nasce un bambino: sono tutte tappe drammatiche di una vita e di un'educazione sentimentale che vengono ripercorse dalla giovane scrittrice nel suo romanzo d'esordio a testimonianza dello sviluppo di una coscienza sempre più "femminista", di un'ideologia forte e costante, di cui fanno fede poi i suoi interventi giornalistici su Vita Moderna e su altre riviste per un pubblico di donne. Di lì a qualche anno arriverà anche alla direzione del settimanale milanese Italia femminile. Ben presto abbandona il marito ed il figlio, iniziando nel 1901 la sua "seconda vita". Ha un importante e lunga relazione con lo scrittore Giovanni Cena. Collabora a riviste filosocialiste; si iscrive all'Unione Femminile Internazionale, operando in numerose iniziative di carattere assistenziale. NeI 1910, dopo la crisi del rapporto con Cena, vive una lunga serie di amori e vagabondaggi, facendo della propria vita, dannunzianamente, "un'opera d'arte". Nel 1911 è a Firenze, dove collabora al Marzocco ed entra in contatto con l'ambiente "vociano". Inizia a scrivere versi. Nel 1913 è a Milano e si avvicina al movimento futurista. Tra il 1913 e il 1914 è a Parigi, dove incontra personalità di spicco della cultura internazionale, come Apollinaire e Verhaeren. Durante la grande guerra incontra Campana, con cui ha una relazione tempestosissima. Nel 1919 esce Il Passaggio, una nuova tessera romanzesca aggiunta alla costruzione mitologizzante del proprio personaggio. Del 1921 è la prima raccolta di liriche, Momenti. Fra il '20 e il '23 è a Napoli, dove scrive un poema drammatico dedicato a D'Annunzio, Endimione. Aderisce al manifesto antifascista degli intellettuali promosso da Croce. Nel 1927 esce il romanzo epistolare Amo dunque sono. Del 1929 è la raccolta Poesie. Un anno dopo è pubblicato un volume di prose varie, Gioie d'occasione. Parallelamente escono tra il 1932 e il 1938 un romanzo, Il frustino, e un'altra raccolta di poesie, Si alla terra, così come una nuova serie di prose Orsa minore che ha per sottotitolo la frase indicativa di una non rimossa vena autobiografica, Note di taccuino. Al 1936 risale l'incontro con Franco Matacotta, che segna un momento di svolta nella vita della scrittrice, la quale lascerà traccia di questa sua "quarta esistenza" in un diario ininterrotto, stilato fino alla morte e in parte pubblicato nel 1945 in Dal mio Diario. Nel 1978 escono i quaderni inediti degli anni 1945-1960. Nel dopoguerra Sibilla si iscrive al PCI e abbandona il filone letterario dedicato a un autobiografismo leggendario e affabulatorio, per dedicarsi a un impegno politico e sociale sempre più intenso, un impegno che la porterà a fare lunghi viaggi nei paesi dell'Est e a collaborare con Case del Popolo e circoli ricreativi. Iniziano in questo periodo le collaborazioni all'Unità e a Noi donne. Nel 1947 pubblica tutte le sue poesie nel volume Selva d'amore, a cui fa seguire nel 1956 la nuova raccolta Luci della mia sera, in cui grandeggia l'enfasi della nuova militanza, in una dimensione tutta corale. In quegli ultimi anni, in cui cerca di dimenticarsi e mimetizzarsi nella folla dei destini minimi, annota nel suo diario un pensiero quasi testamentario con sconsolata ironia: "Ho fatto della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avuto così modo di creare in poesia" (dalla rete).



SELVA D'AMORE


Gaudio l'amarti,
illimitato gaudio
credere al riso dei tuoi occhi,'
è vertigine ancora
la certezza d'esser da te cantata,
oh più tardi, negli anni non più miei,
or che tremare la vita sento
sul ciglio estremo...

Sibilla Aleramo




 
infini risi,
risi davvero sul fili
di un grande sogno
di un insolito senso;
nel cuore,
ancora nel cuore...

mercoledì 19 dicembre 2012

Poesia e riflesso

Non c'è nessun vascello che, come un libro
possa portarci in paesi lontani,
né corsiere che superi al galoppo
le pagine di una poesia.
E' questo un viaggio anche per il più povero,
che non paga nulla,
tanto semplice è la carrozza
che trasporta l'anima umana.

Emily Dickinson


un mare d'anima agita
i miei scontrosi pensieri,
è lucida mente
è carico il cuore
nel profondo io sento...

martedì 18 dicembre 2012

Donna

DONNA

Quand'eri
giovinetta pungevi
come una mora di macchia. Anche il piede
t'era un'arma, o selvaggia.
Eri difficile a prendere.
Ancora
giovane, ancora
sei bella. I segni
degli anni, quelli del dolore, legano
l'anime nostre, una ne fanno. E dietro
i capelli nerissimi che avvolgo
alle mie dita, più non temo il piccolo
bianco puntuto orecchio demoniaco

Umberto Saba


mi ricordo il salato,
un sapore strano in bocca
ed i baci rubati
e gli anfratti, i luoghi...

Nel Simposio di Platone, Aristofane cerca di spiegare in che cosa consiste l’amore e dice che all’inizio ciascuno costituiva un intero. 
Racconta che in principio l'uomo era perfetto, bastava a sé stesso ed era felice.
Aveva quattro gambe e quattro braccia e riusciva a utilizzare tutti gli otto arti per muoversi..
 Aveva due volti, quindi riusciva ad avere una panoramica visiva a 360 gradi.
In realtà non esisteva una distinzione tra uomini e donne, c'erano solo questi individui perfetti e felici (il mito dell'androgino).
Solo che un giorno, Zeus, il quale era geloso della loro perfezione, li divise tutti a metà e li disperse ovunque.
Da quel giorno l'uomo ha iniziato a cercare disperatamente la sua metà, perché senza di lei egli si sentiva incompleto, infelice.
Purtroppo, per quanti tentativi facesse, l'uomo non riusciva mai a trovare la sua metà esatta (dalla rete).

lunedì 17 dicembre 2012

Poesia e riflesso

Cocotte


I.

Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto...


II.

"Piccolino, che fai solo soletto?"
"Sto giocando al Diluvio Universale."

Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d'un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.

Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!

"Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?"
"Sì... vedi la mia mamma e il mio Papà?"
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità...

"Una cocotte!..."
"Che vuol dire, mammina?"
"Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!"
Co-co-tte... La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d'ovo e di gallina...

Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l'Isole Felici...
Co-co-tte... le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate...
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!


III.

Un giorno - giorni dopo - mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
"O piccolino, non mi vuoi più bene!..."
"È vero che tu sei una cocotte?"
Perdutamente rise... E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.


IV.

Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent'anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso... Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?

Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l'ultimo amante disertò l'alcova...
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d'un bacio e d'un confetto,
dopo vent'anni, oggi ti ritrova

in sogno, e t'ama, in sogno, e dice: T'amo!
Da quel mattino dell'infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t'aspetta, o creatura!

Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t'agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!

Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state... Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!

Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia...
Vieni! T'accoglierà l'anima sazia.
Fa ch'io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò; rifiorirà, nell'atto,
sulla tua bocca l'ultima tua grazia.

Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d'allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

Guido Gozzano
(La via del rifugio)



ricordi strani,
vecchi merletti
e caffè,
aroma di caffè,
ovunque,
ovunque

domenica 16 dicembre 2012

Libro

La storia del libro passa necessariamente attraverso la storia della scrittura. Le prime forme di scrittura furono di tipo pittografico: i segni riproducevano disegni di oggetti con valore semantico aderente o simbolico. Dal pittogramma si passò poi alle scritture ideografiche, dove il segno non rappresentava soltanto un oggetto, ma un concetto. I geroglifici egiziani testimoniano il passaggio da una scrittura pittografica ad una ideografica attraverso la stilizzazione dei segni grafici. Nelle scritture primitive i segni si andarono sempre piú stilizzando, assumendo significati piú ampi fino ad arrivare ad un tipo di scrittura nella quale pochi segni, combinati fra di loro, potevano rappresentare qualunque parola. Nacquero cosi le scritture sillabiche, nelle quali ogni segno corrispondeva ad una sillaba e infine quelle alfabetiche, in cui ogni segno corrispondeva ad un suono. Un esempio di scrittura sillabica è la cosiddetta &laqno;lineare B», documentata da alcune tavolette rinvenute negli scavi archeologici nei centri dove fiori la civiltà micenea (XV-X sec. a.C.) e decifrate nel 1952 dall'inglese Michael Ventris. Secondo la tradizione i primi ad abbandonare gli ideogrammi per conservare solo i caratteri fonetici furono i fenici. Come è testimoniato dalle tavolette trovate nel porto fenicio di Ugarit, essi passarono da una scrittura ideografica ad una cuneiforme, per sostituire poi i segni cuneiformi con nuovi segni che furono alla base dell'alfabeto di tutti i popoli mediterranei. I caratteri fenici furono poi adottati dai greci dell'Asia Minore che crearono una vera e propria scrittura alfabetica, dove ad ogni fonema corrispondeva una lettera. Una versione dell'alfabeto greco fu introdotta in Italia probabilmente dai coloni di Cuma e si diffuse in varie forme (alfabeti: etrusco, osco, umbro, faiisco, latino). Con il cristianesimo, la necessità dell'evangelizzazione rese necessaria la creazione di nuove scritture alfabetiche, come il cirillico -cosi chiamato da San Cirillo, il monaco che iniziò la cristianizzazione dei popoli slavi, che adattò i segni dell'alfabeto greco alla lingua delle popolazioni slave- il copto, I'armeno, il georgiano. Nel mondo occidentale l'alfabeto latino soppiantò le scritture diverse e ancora oggi, pur avendo subito notevoli modificazioni, è l'unico in uso nell'Europa occidentale (dalla rete).

Libri

Tutti i libri del mondo
non ti danno la felicità,
però in segreto
 ti rinviano a te stesso.

 Lì c'è tutto ciò di cui hai bisogno,
 sole stelle luna.
 Perché la luce che cercavi
 vive dentro di te.

 La saggezza che hai cercato
 a lungo in biblioteca
 ora brilla in ogni foglio,
 perché adesso è tua.

Hermann Hesse
da La felicità, versi e pensieri


ho letto di tutto
dal sognato al reale
in un attimo rivedo
un ragazzo, una stanza,
una luce soffusa...

sabato 15 dicembre 2012

Frammento

vidi in contesti
le fedi intrattabili e i giochi
concordare e mescere
come ardua coorte
le file del senno si stancano...

anonimo del XX° secolo
frammenti ritrovati

venerdì 14 dicembre 2012

Poesia


Nevicata

Un silenzio bianco di fiocchi
scende copioso al cielo,
il candore si spegne negli occhi
incantati dal suono del gelo.

Anonimo del XX° secolo
poesie ritrovate

giovedì 13 dicembre 2012

Le osterie

L'osteria è un esercizio pubblico nel quale si serve prevalentemente vino e, in alcuni casi, cibi e spuntini. Il termine "osteria" viene da 'oste', dall'antico francese oste, ostesse che a sua volta deriva dal latino hospite(m). Una delle prime attestazioni del termine hostaria si trova nei capitolari della magistratura dei "Signori di Notte", che, come suggerito dal nome, vegliava sulla tranquillità notturna della Venezia del XIII secolo. L'etimologia della denominazione attuale richiama la funzione del luogo che è appunto quella dell'ospitalità. Pompei - ThermopoliumLocali simili alle osterie esistevano già nell'antica Roma chiamati enopolium, mentre nei thermopolium si servivano anche cibi e bevande caldi, mantenuti a temperatura in grandi vasi di terracotta incassati nel bancone: esempi ben conservati sono visibili presso gli scavi dell'antica Pompei. Le osterie sorsero, come punti di ristoro, nei luoghi di passaggio o in quelli di commercio che nella fattispecie sono strade, incroci, piazze e mercati. Ben presto divennero anche luoghi d'incontro e di ritrovo, di relazioni sociali. Gli edifici, spesso poveri e dimessi, assumevano importanza in base al luogo dove sorgevano e alla vita che vi si alimentava. Il vino era l'elemento immancabile intorno al quale tutti gli altri facoltativi giravano: il cibo, le camere da letto, la prostituzione. Nella città di Bologna a partire dal XV secolo le osterie divennero sempre più numerose, punto di ritrovo di cittadini e intellettuali, fino a ricoprire un ruolo di aggregazione e dibattito molto importante nel tessuto sociale cittadino. Ancora oggi sono numerosi i locali improntati sull'antico concetto di osteria. L'osteria era, fino alla metà del 1900, un tipico luogo di ritrovo serale popolare delle persone di sesso maschile; luogo di incontro e di socializzazione ha costituito per lungo tempo, uno dei pochi momenti di incontro e di scambio d'idee, in aggiunta alla Chiesa e alla piazza. Dal dopo guerra ad oggi la frequentazione di questi locali è venuta sempre meno, negli ultimi anni però si è visto un rifiorire di questi locali che stanno recuperando la loro funzione di luogo di incontro per ambo i sessi


Le osterie

A me piacciono gli anfratti bui
delle osterie dormienti,
dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,
e i calici di vino profondi,
dove la mente esulta,
livello di magico pensiero.
Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio sì meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite;
io amo le osterie
che parlano il linguaggio sottile della lingua di Bacco,
e poi nelle osterie
ci sta il nome di Charles
scritto a caratteri d’oro.

Alda Merini
(da "Vuoto d'amore")


ricordo bicchieri sbattuti
e tracce di rosso sui fogli,
scrivevo allora a matita
ed ora cancello le liste;
nè poi mi piaceva pensare
eppure rivalsa è la pena...

mercoledì 12 dicembre 2012

Poesia e riflesso


IN CHIESA

Per tre cupe navate
Di bieco stil s’incaverna la chiesa,
Ai gran pilastri ed alle aguzze arcate
Di granito sospesa.
Un color di zaffiro
Scialbo lumeggia i vetri ai finestroni;
Dai frastagliati capitelli in giro
Pende il bujo a festoni.
Pari a stelle disperse,
Luccicanti nel mar del firmamento,
Splendono nella vana ombra sommerse
Le lampade d’argento.
Sopra l’altar maggiore
Un Cristo ignudo sulla croce gronda
Sangue, e, morente, sul trafitto core
Piega la testa bionda.
Tuona l’organo; varia
La formidal voce dalle vote
Canne prorompe, esultano nell’aria
Le reboanti note.
Una voce soave
Di donna piange e con flessibil trama
Nell’aria il rombo ondoleggiante e grave
Dell’organo ricama.
Trema in alto la volta;
Sotto, la fonda critta, ove una gente
Di morti innumerabili è sepolta,
Rimugge cupamente.
Inconscio, ad una tetra,
Ignuda tomba il corpo mio s’addossa;
Io sento il gelo della cruda pietra
Filtrarmisi nell’ossa;
Della rea morte il gelo
Filtrarmisi nel cor. — Nelle trapunte
Nicchie pregan per me, con gli occhi al cielo,
I santi a mani giunte.

Arturo Graf


le preghiere vanno
come ali in Dicembre,
sarà il clima natalizio
saranno gli eventi;
io prego per vaghe
inutili sembianze
e piccole cose...

martedì 11 dicembre 2012

L'ultima Thule

L'Ultima Thule

Io che ho doppiato tre volte Capo Horn
e ho navigato sette volte i sette mari
e ho visto mostri ed animali rari,
l’anfesibena, le sirene, l’unicorno.
Io che tornavo fiero ad ogni porto
dopo una lotta, dopo un arrembaggio,
non son più quello e non ho più il coraggio
di veleggiare su un vascello morto.

Dov’è la ciurma che mi accompagnava
e assecondava ogni ribalderia?
Dov'è la forza che ci circondava?
Ora si è spenta ormai, sparita via.

Guardo le vele pendere afflosciate
con i cordami a penzolar nel vuoto,
che sbatton lenti contro le murate
con un moto continuo, senza scopo.

E vedo in aria un’insensata danza
di strani uccelli contro il cielo bigio
cantare un canto in questo mondo grigio,
un canto sordo ormai, senza speranza.
E qui da solo penso al mio passato,
vado a ritroso e frugo la mia vita,
una saga smarrita ed infinita
di quel che ho fatto, di quello che è stato.

Le verità non vere in cui credevo
scoppiavano spargendosi d’intorno,
ma altre ne avevo e giorno dopo giorno
se morivo più forte rinascevo.
E ora son solo e non ho più il conforto
di amici andati e sempre più mi assale
la noia a vuotar l’ultimo boccale
come un pensiero che mi si è ritorto.

Ma ancora farò vela e partirò
io da solo, e anche se sfinito,
la prua indirizzo verso l’infinito
che prima o poi, lo so, raggiungerò.

L’Ultima Thule attende al Nord estremo,
regno di ghiaccio eterno, senza vita,
e lassù questa mia sarà finita
nel freddo dove tutti finiremo.

L’Ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un’ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo.

Francesco Guccini


addio buon amico,
mi mancherà l'attesa,
mi mancheranno i sogni;
in un contiguo pensiero
rivedo un bimbo
ora un vecchio...


lunedì 10 dicembre 2012

Profumi tra poesia e riflesso

Tutti siamo legati a uno o più profumi, importanti perché parte della nostra intimità, legati al ricordo di una persona speciale, o di un momento indimenticabile… Il profumo è strettamente legato alle memorie e alle esperienze sentimentali della nostra vita. Basti pensare all'esperienza della celebre “Madeleine” di Proust… Tutti conserviamo il ricordo di profumi che appartengono alla nostra infanzia, insistenti, materni, gustativi, ai quali si aggiungono i profumi legati alle emozioni forti che abbiamo vissuto in seguito. La vocazione dei profumi è creare e accompagnare queste emozioni, tentando di avvolgerci in una seconda pelle sensuale e seducente. (dalla rete)


profumi

Nel solco di profumo che si scava
talor fra il vario ansare d'una via
quasi un languor voluttuoso grava.
Ma il desiderio torbido si svia
dietro l'ignoto passo che pel vano
suo ardore allunga l'olezzante scìa,
sfogliando un fiore, o sminuzzando un grano
d'ambra, o stillando issopo e benzoino,
già con altri confuso e già lontano.
Fruscio di seta, o palpitar di lino,
o sviluppo di chiome, come odori,
fiato che, quasi a notte da un giardino,
da tutto un corpo tepido vapori!

Amalia Guglielminetti


mi manca l'odore del vento,
il profumo dell'erba,
il sapore dell'acqua;
mi manca chi ero,
mi manca...

domenica 9 dicembre 2012

Preghiera


Preghiera

Dinamiche consumate
rincarano dosi di dubbio,
l'angelo passa la sera
in un turbinio di neve;
riposa nell'angolo chiuso
una sola preghiera
quella della sera.

Anonimo del XX°secolo
poesie ritrovate

venerdì 7 dicembre 2012

Speranza


SPERANZA

Immobilmente solitario e tetro
Lo sconfinato pelago si stende;
Alta in un cielo di spulito vetro
La luna come ammaliata splende.
Di mezzo all’onde morte una gran rupe
Di livido basalto alza le terga,
E orribil mostro par che dalle cupe
Profondità voraginose emerga.
Lì, bilicato sulla pietra bruna,
Si leva un brigantin; nessun sa donde
Venuto e come, né per qual fortuna
Lassù lanciato dal furor dell’onde.
Negro é lo scafo; alle troniere i bruni
Cannoni stanno immobili all’agguato;
Il diagramma delle tese funi
E degli alberi in ciel sembra segnato.
Di fulvo e terso rame una sirena
Rutila a prora e guata il ciel remoto:
Assicurata ad una gran catena
Pende ivi presso l’ancora nel voto.
Nella custodia di metal, diritto,
S’appunta l’ago all’immutabil polo:
Sovra la poppa a cifre d’oro é scritto:
Speranza . . . . . . . . . . .

Arturo Graf




contavo le ore
e i minuti,
le attese, i giorni di pioggia
e quelli pieni di sole;
attimi intristiti
gocce dagli occhi...





  • A grande speranza il misero non cede.
  • Chi vive a speranza, fa la fresca danza.
  • Chi vive di speranza, disperato muore.
  • Chi vive di speranza, male pranza e peggio cena.
  • Chi vive di speranza, satolla lo spirito e affama la panza.
  • Chi vive sperando muore cantando.
  • Dove non c'è la speranza del bene, non entra la paura del male.
  • È meglio avere in borsa che vivere di speranza.
  • Finché c'è fiato c'è speranza.
  • La speranza addolcisce la vita.
  • La speranza è cattivo denaro.
  • La speranza è il pane dei poveri.
  • La speranza è il patrimonio dei bisognosi.
  • La speranza è il sogno dell'uomo desto.
  • La speranza è la miglior consolazione nella miseria.
  • La speranza è la miglior musica del dolore.
  • La speranza è la moneta spicciola della vita.
  • La speranza è la ricchezza dei poveri.
  • La speranza è l'ultima a morire.
  • La speranza è sempre verde.
  • La speranza è un balsamo per i cuor piagati.
  • La speranza è un piatto magro.
  • La speranza è un sogno nella veglia.
  • La speranza infonde coraggio anche al codardo.
  • La speranza ingrandisce, l'esperienza rimpicciolisce.
  • La speranza spesso è preferibile alla realtà.
  • La speranza troppo a lungo protratta strugge il cuore.
  • La troppa speranza ammazza l'uomo.
  • Nel paese della speranza non s'ingrassa.
  • Solo la morte può uccidere la speranza.
  • Speranza lunga, infermità di cuore.
  • Speranze e timori sono i fili maestri nella trama della vita.