SILENZIO
Conosco una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento
Me ne sono andato una sera
Nel cuore durava il limio
delle cicale
Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi.
Giuseppe Ungaretti
Silenzio è il ricordo improvviso di un passato radioso che rinasce sullo sfondo buio del presente, un presente denso di pena e desolazione (la poesia viene scritta nel pieno della guerra). La città natale, dove il sole rapisce e toglie la memoria, era percorsa dal «limio delle cicale» che «durava» e, più correttamente, dura ancora «nel cuore» di chi vi si è allontanato. Questo suono che la memoria rievoca così improvvisamente sorge dal silenzio che può essere sia materiale che interiore, come se la luce rinascesse dal buio. La lirica, che si apre in maniera quasi ottimistica nel momento in cui si afferma:«conosco una città», si sviluppa nel segno del passato ritrovato, e progressivamente va sovrapponendosi alla memoria dolorosa del distacco dalla città solare, accostandosi al momento presente: la città, nel ricordo, svanisce alla vista dell'emigrante («ho visto / la mia città sparire»), lasciando come ultimo segno di sé dei lumi sospesi nella foschia. E questo movimento designa parallelamente anche il processo presente dello svanire del ricordo e quindi come equivalente, di una nuova perdita della città radiosa, e il «sospesi» con cui si chiude il componimento si caricara di forti significati sicuramente inquietanti, come può essere quella della condizione sospesa dell'uomo che affronta la morte giorno dopo giorno.Nel mezzo della guerra, quando tutto spinge a dubitare anche della propria esistenza, il poeta-soldato si aggrappa alle sue poche certezze. Il "conosco" che apre il componimento ha la stessa forza del "cogito ergo sum" di Cartesio. Dal momento che conosco io sono vivo, ed io esisto nel presente perché "conosco una città che appartiene al mio passato". Allo stesso tempo la "città" che il poeta conosce, piena di luce e di vita, lo aiuta a vincere l'orrore della guerra e dei tanti paesi distrutti, tra le cui macerie si vede soltanto la morte.
La città che Ungaretti conosce, l'Alessandria d'Egitto dove era nato nel 1888, ogni giorno, all'alba, si riempie di luce e in quel momento tutto è come rapito, in uno stato di stupore commosso, quasi ascetico.
La seconda tappa, e il tempo passato (lo spostamento è da adesso ad allora) è evidenziato dallo spazio vuoto, è il momento del distacco: il ricordo si sposta a quella sera quando il poeta se ne andò (ma egli dice: me ne sono andato, usa cioè il passato prossimo, cioè più vicino, logicamente, al tempo presente, in cui il poeta soldato scrive).
Di quella sera Ungaretti conserva una straordinaria impressione uditiva, capace di rendere anche il calore della stagione: il limio delle cicale dura ancora nel suo cuore adesso che scrive. E' il primo sintomo di una malinconia che diviene esplicita nell'ultima parte, quella più lunga, in cui prevale l'impressione visiva: il bastimento verniciato di bianco, l'abbraccio di lumi, l'aria torbida.
E' pure evidente il movimento dell'allontanamento: Alessandria sparisce alla vista, ma prima di scomparire si è trasformata in un abbraccio di lumi sospesi nell'aria torbida. Il distacco è completo quando svaniscono anche le luci della città che per qualche tempo erano rimaste come sospese nell'aria poco nitida (dalla rete).
Sospesi ora fra assoluto e cocente incertezza
RispondiEliminanavighiamo in ogni dove.
Noi come uccelli erranti,
rondini senza fissa dimora,
dipersi in oceani senza fine.
Solo così noi viviamo.......
"poesieinsmalto"
Anamaria,
RispondiEliminale città invisibili accolgono
i pensieri sperduti dell'uomo e della donna...
Gujil