lunedì 26 dicembre 2011

Mario Luzi

«Non esiste un poeta di così lungo corso e sempre in ascolto come è Mario Luzi, il cui itinerario poetico non ha mai comportato una pigra amministrazione delle proprie ricchezze, ma si è sempre prodigalmente speso, e tuttora si spende, in diverse avventure dell'immaginazione con un esito di molteplicità che non ha eguali nel nostro secolo».
Queste parole di Stefano Verdino ben introducono a questo grande poeta, il maggiore contemporaneo italiano.
Mario Luzi è nato a Castello, allora frazione di Sesto Fiorentino, ora inglobato in Firenze, il 20 ottobre 1914 e «diversamente da altri importanti poeti della sua generazione come Bertolucci, Caproni e Sereni, Luzi è stato pressoché‚ subito riconosciuto: la sua era un'«immagine esemplare» (secondo una famosa definizione di Carlo Bo) già nel 1940, quando il poeta non ancora ventiseienne viveva in quella capitale della letteratura italiana che era la Firenze degli anni trenta, la città allora di Montale, Gadda, Palazzeschi, Vittorini, Gatto, Pratolini e altri.
Il precoce riconoscimento comportò anche un'etichetta - Luzi poeta ermetico, anzi il poeta ermetico per antonomasia - che, mai respinta dal poeta fedele alla propria giovinezza, si è sempre più mostrata limitante e inadeguata.
La vastità dell'opera luziana fa sì che egli sia un poeta plurimo come pochi e che sia emblematico di stagioni tra loro diverse: il primo Luzi (fino agli anni cinquanta) è significativo rappresentante di una lirica esistenziale (soprattutto con Sereni, suo prediletto interlocutore in poesia) di derivazione ben più montaliana di quanto l'appariscente orfismo di alcune sue punte ermetiche faccia supporre.
Però poi si apre la svolta: il punto di vista non è più tra l'io e la realtà, non c'è più giudizio (o pregiudizio): l'io come tutti e tutto è nel flusso, è attraversato dalla vita, come è attraversato dalla parola: il poeta assume per sé‚ il ruolo umile e superbo di scriba, in un rinnovamento degli istituti del dire poetico e delle prospettive fondamentale per il tardo Novecento, affine, per quanto diversissimo, all'altro prediletto compagno di poesia, Giorgio Caproni.
È la stagione poetica che, dopo la svolta di Nel magma, fa la grandezza del Luzi di tardo Novecento, poeta della «pienezza» (per usare un’espressione di Giovanni Giudici).
E va riconosciuto il coraggio di una poesia che, per quanto allarmata dal nefando della storia, dice un raro (o forse unico) "sì" a una vita naturale (Stefano Verdino, in “Italica").
Mario Luzi è scomparso all'età di novant'anni nel febbraio 2005 (dalla rete).

Gelo

Il giorno schietto
d'inverno inasprisce le carraie,
aguzza il taglio della pietra, sopra i poggi pelati
brucia i pochi fili d'erba.
Chi affastella legna, chi sciorina
panni s'affretta; sgretola la crosta
con le scarpe chiodate, con gli zoccoli,
spranga l'uscio di casa.
E' un tempo che fa bruschi i conciliaboli,
ruvide le parole ed i commiati.
...Antenne
e nervature d'alberi, di rovi
graffiano i venti del tramonto...

Mario Luzi



2 commenti:

  1. A memoria

    Cosi' sono le tue voci
    come getti di materia in spazio senza tempo.
    Sai geme la terra al suo nascere
    e le zolle si piegano al passaggio del contadino.
    Si piega spesso la vita
    quando alla mietitura,
    la falce strappa alle radici.
    Parole dure tagliano piu' diamante.
    "poesiainsmalto"

    RispondiElimina