domenica 30 ottobre 2011


Marianne Moore (Kirkwood, Missouri 1887 - New York 1972) fu molto legata alla madre, abbandonata dal padre malato di nervi.
Bibliotecaria, collaborò a riviste.
Tradusse le Favole di La Fontaine. Pubblicata in Italia da [Guanda, Rusconi, poi] Adelphi e Rizzoli (Unicorni di mare e di terra). [prima Rizzoli, poi Adelphi]


Che cosa sono gli anni

Che cos'è la nostra innocenza,
che cosa la nostra colpa? Tutti
sono nudi, nessuno è salvo. E donde
viene il coraggio: la domanda senza risposta,
l'intrepido dubbio, -
che chiama senza voce, ascolta senza udire -

che nell'avversità, perfino nella morte,
ad altri dà coraggio
e nella sua sconfitta sprona
l'anima a farsi forte? Vede
profondo ed è contento chi
accede alla mortalità
e nella sua prigionia ti leva
sopra se stesso, come
fa il mare dentro una voragine,
che combatte per essere libero
e benché respinto

trova nella sua resa
la sua sopravvivenza.
Così colui che sente fortemente
si comporta. L'uccello stesso,
che è cresciuto cantando, tempra
la sua forma e la innalza. È prigioniero,
ma il suo cantare vigoroso dice:
misera cosa è la soddisfazione,

e come pura e nobile è la gioia.
Questo è mortalità,
questo è eternità.

Marianne Moore
da Le poesie, a cura di Lina Angeletti e Gilberto Forti, Adelphi



Perché nelle poesie di Marianne Moore si parla tanto di animali?
Perché l'autore si ostina a descrivere il loro corpo, come sono fatti, come si muovono?
Perché decifra e trascrive il messaggio muto che viene emesso dal loro modo di essere?
Marianne Moore ha una convinzione (o possiamo chiamarla fede?): che nella forma fisica, nel corpo animale, che è «stile di vita» e modo di essere dettato dalla Natura (o da Dio), sia depositata una saggezza, un senso della realtà immediata e cosmica che noi non possediamo o che in noi è labile.
Quando Marianne Moore si sprofonda nella contemplazione di un animale, tutte le sue facoltà più forti e più sottili si risvegliano, si animano.
Le sue frasi e i suoi versi (versi molto prossimi alla prosa), tutto il suo linguaggio virtuale, assopito nei depositi della memoria, entra con trionfale destrezza nel cerchio di luce dell'esistere.
E le sue poesie si allungano e si contraggono come forme viventi.
Anche quando deve dichiarare le proprie idee sulla poesia, ecco che Marianne Moore pensa a un animale.
Per esempio a una lumaca lodata in un breve componimento per la sua capacità di contrarsi, di ridurre con sagace modestia le proprie dimensioni: il che è fondamentale per uno scrittore, se è vero che «la concisione è la prima grazia dello stile».
Senso della misura e rispetto del limite, perché niente di vivo e di reale può accedere all'esistenza e può essere percepito se non dentro quel preciso limite di spazio che lo accoglie e che è suo: la poesia non è altro che questo.
E in questo il suo valore è elementare, sfida ogni dichiarazione di ostilità e disinteresse.
In un prezioso epigramma di morale poetica intitolato Poesia, leggiamo: «Neanche a me piace. - A leggerla, però, con totale disprezzo, vi si scopre, - dopo tutto, uno spazio per l'autentico».
La poesia nasce piuttosto da un non crederci che da una fede a priori.
È alla vita della mente, alla sua cura, che Marianne Moore prima di ogni altra cosa si interessa.
Il linguaggio della poesia è vita della mente, è esercizio e igiene della mente che si protende verso il mondo, verso la vita esterna, la sua varietà piena di meraviglia.
Per questo il linguaggio della poesia di Marianne Moore è dotato di una forza così sobria, è animato da una così fisica moralità, la moralità delle bestie, che vivono elaborando e perfezionando con eroica perseveranza e intelligenza la forma corporea migliore per essere quello che sono.
La forma delle poesie di Marianne Moore è anch'essa colma di arguzia e di vitalità: sovrappone l'attitudine descrittiva e la riflessione, fonde il vedere e il ricordare, la ricerca di una verità enunciabile in stile aforistico e il gusto del puro esercizio dei sensi.
Ogni verità, prima di essere pensabile deve essere visibile.
È dalla visione attenta, dalla descrizione precisa che si sviluppa un pensiero integro.
E questa integrità non è altro che la nuda onestà dei corpi, il
loro essere mortali. Accedere all'eternità, come viene detto in questa poesia, è accedere alla mortalità. Innocenza, colpa, coraggio hanno senso solo nella lotta con il limite e nell'accettazionedel limite.
La sconfitta «sprona l'anima a farsi forte», arrendersi è saper sopravvivere.
Questo è l'eroismo della forza che sa levarsi sopra se stessa: come quella dell'uccello, che ha bisogno della più abile e tenace energia per cantare e vedere (Panorama, 1991).

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