domenica 10 aprile 2011

La Via del Rifugio

L' idea di raccogliere i suoi versi, comparsi su riviste e giornali, venne a Gozzano nel 1905; ma solo dopo due anni di continui rimaneggiamenti, nel 1907, poté pubblicarli, a spese della
madre, Diodata Mautino. Lo stesso anno l'editore ristampò il volume.
La via del rifugio è il frutto di una rigorosa selezione del materiale poetico iniziata dall'autore fin dal 1905. La struttura del libro non presenta suddivisioni. Le poesie che lo compongono, tra le quali compaiono le prime stesure dei testi più famosi del repertorio di Gozzano (come Le due strade o L'amica di nonna Speranza), sono complessivamente venticinque. Il gusto e la sensibilità dell'autore si esplicano in una poesia fatta di situazioni quotidiane, all'interno di ambienti carichi di oggetti desueti e di memorie: «le miniature, / i dagherottipi: figure sognanti in perplessità, // il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone / e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto, // il cucù dell'ore che canta, le sedie parate a damasco / chremisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!» (L'amica di nonna Speranza). Con il ricorso a questi temi, la poesia di Gozzano, non avendo, del resto, alcuna ideologia da difendere, esplora avidamente il passato, senza però cadere nel ricatto di una memoria intenerita o catalogatrice.
Alla celebrazione della storia, adottata dal Risorgimento e dal Romanticismo, il poeta torinese sostituisce una più dimessa percezione della realtà a cui fa da contrappunto un'intensa e quasi dolorosa lucidità. La realtà è presente nella dimensione del «sogno», del «rifugio», per l'appunto, e della marginalità dell'esperienza: «La Vita? Un gioco affatto / degno di vituperio, / se si mantenga intatto / un qualche desiderio. // Un desiderio? Sto / supino nel trifoglio / e vedo un quatrifoglio / che non raccoglierò» (La via del rifugio).
Le frequenti atmosfere di stampo tardo-simbolista hanno in parte contribuito a far ascrivere questa poesia alla scuola dannunziana. Si è visto, invece, come la poetica della Via del rifugio andasse nella direzione opposta, seguendo il corso dell'ironia e dell'autoironia, un' arma che Gozzano usa con una chiara funzione di demistificazione di se stesso e dei valori ideologici dell'arte: «Ma dunque esisto? O strano! / vive tra Tutto e Niente / questa cosa vivente / detta guidogozzano!» (La via del rifugio). La stessa poesia viene accettata con una sorta di pudore in contrapposizione all'esibizionismo declamatorio di chi, al contrario, la identifica con l'emblema stesso della superiorità. È per via di questa concezione che le liriche della Via del rifugio sono popolate di interni borghesi tranquilli e banali, di comportamenti fuori moda, inscenando una meditazione sul tempo e sulla vita che a stento cela lo strazio della nostalgia e un fermo risentimento nichilista.
La poesia della Via del rifugio è tra le prime e più significative sperimentazioni letterarie intenzionate a lasciare alle spalle il modello dannunziano, con il ripudio di una lirica fatta di situazioni preziose, di sensazioni rarefatte e artificiose. In questi componimenti è tuttavia avvertibile l'attraversamento di D'Annunzio, soprattutto quello dei toni minori e chiusi del Poema paradisiaco: «Ma poi che Primavera ogni corolla / dischiuse con le mani di velluto, / dai monchi nodi qua e là rampolla / e sogna ancora d'essere fronzuto» (Speranza). Tale particolare fruizione del verso dannunziano fa di Gozzano una sorta di epigono della stagione decadente e liberty e, nello stesso tempo, il primo di una generazione nuova. Il tono dimesso, prosaico, antiaulico e "crepuscolare" della Via del rifugio è spesso contaminato e intrecciato a un lessico prezioso e sofisticato: «Sui gradini consunti, come un povero / mendicante mi seggo, umilicorde...» (I sonetti del ritorno, I).
Scrisse Renato Serra a proposito di questa prima raccolta gozzaniana: «La sua è sopra tutto l'opera di un virtuoso, abile e sottile negli effetti verbali». Con questo lessico si coniuga la scelta di metri prevalentemente narrativi e discorsivi, come per esempio il senario, senza tuttavia che ciò comporti la banalizzazione dei sentimenti, non di rado espressi con il ricorso al dialogo: « - Il fieno ci copra. / Ah! T'amo di fiamma! / Ti giuro fin sopra / la testa di mamma: -/ Mi guarda supino, / mi dice: «assassino!» (Il giuramento). (dalla rete).




Le due Strade


Tra le bande verdi gialle d'innumeri ginestre
la bella strada alpestre scendeva nella valle.

Andavo con l'Amica, recando nell'ascesa
la triste che già pesa nostra catena antica;

quando nel lento oblio, rapidamente in vista
apparve una ciclista a sommo del pendio.

Ci venne incontro; scese. "Signora! Sono Grazia!"
sorrise nella grazia dell'abito scozzese.

"Graziella, la bambina?" - "Mi riconosce ancora?"
"Ma certo!" E la Signora baciò la Signorina.

La piccola Graziella! Diciott'anni? Di già?
La Mamma come sta? E ti sei fatta bella!

"La piccola Graziella, così cattiva e ingorda!..."
"Signora, si ricorda quelli anni?" - "E così bella

vai senza cavalieri in bicicletta?" - "Vede..."
"Ci segui un tratto a piede?" - "Signora, volentieri..."

"Ah! ti presento, aspetta, l'Avvocato, un amico
caro di mio marito... Dagli la bicicletta."

Sorrise e non rispose. Condussi nell'ascesa
la bicicletta accesa d'un gran mazzo di rose.

E la Signora scaltra e la bambina ardita
si mossero: la vita una allacciò dell'altra.

Adolescente l'una nelle gonnelle corte,
eppur già donna: forte bella vivace bruna

e balda nel solino dritto, nella cravatta,
la gran chioma disfatta nel tocco da fantino.

Ed io godevo senza parlare, con l'aroma
degli abeti, l'aroma di quell'adolescenza.

- O via della salute, o vergine apparita,
o via tutta fiorita di gioie non mietute,

forse la buona via saresti al mio passaggio,
un dolce beveraggio alla malinconia.

O bimba, nelle palme tu chiudi la mia sorte;
discendere alla Morte come per rive calme,

discendere al Niente pel mio sentiere umano,
ma avere te per mano, o dolce sorridente! -

Così dicevo senza parola. E l'Altra intanto
vedevo: triste accanto a quell'adolescenza!

Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
colei che vide al gioco la piccola Graziella.

Belli i belli occhi strani della bellezza ancora
d'un fiore che disfiora e non avrà domani.

Al freddo che s'annunzia piegan le rose intatte,
ma la donna combatte nell'ultima rinunzia.

O pallide leggiadre mani per voi trascorse-
ro gli anni! Gli anni, forse, gli anni di mia Madre!

Sotto l'aperto cielo, presso l'adolescente
come terribilmente m'apparve lo sfacelo!

Nulla fu più sinistro che la bocca vermiglia
troppo, le tinte ciglia e l'opera del bistro

intorno all'occhio stanco, la piega di quei labri,
l'inganno dei cinabri sul volto troppo bianco,

gli accesi dal veleno biondissimi capelli:
in altro tempo belli d'un bel biondo sereno.

Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
colei che vide al gioco la piccola Graziella.

- O mio cuore che valse la luce mattutina
raggiante sulla china tutte le strade false?

Cuore che non fioristi, è vano che t'affretti
verso miraggi schietti, in orti meno tristi.

Tu senti che non giova all'uomo soffermarsi,
gittare i sogni sparsi per una vita nuova.

Discenderai al niente pel tuo sentiere umano
e non avrai per mano la dolce sorridente,

ma l'altro beveraggio avrai fino alla morte:
il tempo è già più forte di tutto il tuo coraggio. -

Queste pensavo cose, guidando nell'ascesa
la bicicletta accesa d'un gran mazzo di rose.

Erano folti intorno gli abeti nell'assalto
dei greppi fino all'alto nevaio disadorno.

I greggi, sparsi a picco, in gran tinniti e mugli
brucavano ai cespugli di menta il latte ricco;

e prossimi e lontani univan sonnolenti
al ritmo dei torrenti un ritmo di campani.

- Lungi i pensieri foschi! Se non verrà l'amore -
che importa? Giunge al cuore il buono odor dei boschi:

di quali aromi opimo odore non si sa:
di resina? di timo? e di serenità?... -

Sostammo accanto a un prato e la Signora china
baciò la Signorina, ridendo nel commiato:

"Bada che aspetterò, che aspetteremo te;
si prende un po' di the, si maledice un po'..."

"Verrò, Signora, grazie!" Dalle mie mani in fretta
prese la bicicletta. E non mi disse grazie.

Non mi parlò. D'un balzo salì, prese l'avvio;
la macchina il fruscìo ebbe d'un piede scalzo,

d'un batter d'ali ignote, come seguita a lato
da un non so che d'alato volgente con le ruote.

Restammo alle sue spalle. La strada, come un nastro
sottile d'alabastro, scendeva nella valle.

Volò, come sospesa la bicicletta snella:
"O piccola Graziella, attenta alla discesa!".

"Signora! arrivederla!" Gridò di lungi, ai venti:
di lungi ebbero i denti un balenio di perla.

Graziella è lungi. Vola vola la bicicletta:
"Amica! E non m'ha detta una parola sola!".

"Te ne duole?" - "Chi sa!" - "Fu taciturna, amore,
per te, come il Dolore..." - "O la Felicità!"

E seguitai l'amica, recando nell'ascesa
la triste che già pesa nostra catena antica.

Guido Gozzano

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