sabato 12 dicembre 2009



Ch' io sia la fascia che la fronte ti cinge,
cosi' vicina ai tuoi pensieri .....
Ch' io sia il grano di mais
frantumato dai tuoi denti selvaggi .....
Ch' io sia, al tuo collo, turchese caldo
della tempesta del tuo sangue!
Ch' io sia la lana variopinta del telaio,
la lana che scivola tra le tue dolci dita .....
Ch' io sia la tunica di velluto
sul flusso e riflusso del tuo cuore .....
Ch' io sia la sabbia nei mocassini
che osa carezzare le stupende dita dei tuoi piedi .....
Ch' io sia il tuo tenero sogno notturno,
quando, nelle nere braccia morbide del tuo sonno,
tu gemi girandoti gioiosa..
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canto/poema degli indiani Navajo del Nuovo Messico


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"Ch'io sia la fascia che la fronte ti cinge, così vicina ai tuoi pensieri". Inizia così questa canzone tratta da una poesia/canto dei Pellerosse Navajo del Nuovo Messico, si canta dell'amore cerebrale, vero, ma anche di sangue, di passione pura fatta d'istinto.
Che i Pellerossa fossero un popolo guerriero, questo lo si sapeva, ma che fossero anche dei passionali in amore, questo può risultare sorprendente ai più, oltretutto qui si canta dell’amore fisico ma che non sfocia mai nella semplice constatazione di un rapporto meccanico, anzi, vengono coinvolti tutti i settori emotivi e sensoriali innescando in questo modo una carica di erotismo per niente volgare o scontata. Eros e Thanatos si rincorrono, “Ch’io sia il grano di mais frantumato daituoi denti selvaggi“: Si evidenzia il completo stato di dedizione quasi sacrificale dell’amante nei confronti della sua donna e di nuovo, ecco riversarsi in una potente immagine erotica e passionale: “Ch’io sia al tuo collo turchese, caldo della tempesta del tuo sangue.” per poi scivolare tra le dita di lei, come la lana del telaio, quasi come inconsapevole ricerca di una via di fuga. Ma a questo punto è la donna a sentirsi coinvolta da questo innesco, o meglio, è il desiderio e speranza dell’uomo: “Ch’io sia il tuo sogno notturno, quando nel sonno parli e gemi“.
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Ringrazio chi ha fatto questa bella descrizione del testo di questo poema/canto indiano pellerossa lirico e meraviglioso, l'ho ripresa tal quale perchè non avrei saputo fare di meglio, mi spiace solo non poter citare l'autore perchè non ha firmato il pezzo, questo però nulla toglie al fatto che abbia centrato in pieno la descrizione e l'argomento.



Merito va anche ad Angelo Branduardi che ha saputo scovarla tra molte, liricizzarla e musicarla nel modo più adatto facendola così conoscere a tanti; compare nel suo primo disco (Angelo Branduardi - Re di Speranza) verso la metà degli anni '70 e ha fatto parte della mia formazione cantautorale di quel periodo di grandi cambiamenti psicofisici ed interminabili suonate di chitarra. Per molti sarà qualcosa di nuovo da ascoltare, per altri, mi auguro, quantomeno un piacevole "remembering".

Il testo che ho scelto di riportare non è quello della canzone ma una pressochè fedele traduzione letterale del testo indiano originale.

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