Un adulto bambino arriva spavaldo su una moto rombante e rumorosa; è rossa come il fuoco e potente come gli dei e riempie d'orgoglio il suo guidatore che, novello centauro, cavaliere senza macchia e senza paura corre incontro alla vita fantasticando di un mondo che è più vicino a noi di quanto si possa pensare.
E' Antonio Ligabue e come Van Gogh penetra coi colori il reale e lo trascende ma in un modo così umano che ancora riesce a commuovere lo spettatore attonito ed incredulo.
Animali animati direi (nel senso che le sue tele traspondono figure creandole anime dipinte), che popolano sogni e confini di incubi ricorrenti.
Una natura selvaggia che contrasta con la moto rombante e rossa, ma è veramente una moto quella che lui guida? è veramente qualcosa di meccanico?
O è un animale tecnologico che come gli altri dipinti fa parte di un essere vivo in un contesto risaputo e stanco.
Dicono di lui fosse un pò matto ma chi può dirlo e che cosa significa questo?
Io per me rivedo colori reali e animali in scene vitali (anche quando la preda si sublima nel sacrificio finale), gli stessi animali che popolano il nostro immaginario e lo rendono forse solo più umano.
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Nato nel 1899, fin dalla più tenera età Ligabue ha avuto un'esistenza difficile.
Figlio naturale di un'italiana emigrata, ha sempre ignorato il nome del padre.
Nel 1900 viene affidato ad una coppia di svizzeri tedeschi; non verrà legittimata la sua adozione, ma il bambino si legherà moltissimo alla matrigna, con un insolito rapporto di amore e odio.
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Nel 1913, dopo aver superato solo la terza elementare, entra in un collegio per ragazzi handicappati, dove si distingue subito per l'abilità nel disegno e la cattiva condotta.
Nel 1917 è curato per qualche mese in una clinica psichiatrica e qualche anno dopo è espulso dalla Svizzera su denuncia della madre adottiva e ritorna in Italia dove vive come vagabondo, continuando però a disegnare e a creare piccole sculture con l'argilla.
Viene poi scoperto (1927-28) ed aiutato da Mazzacurati, pittore e scultore.
Nel 1937 viene internato in un manicomio in "stato depressivo", da cui esce per l'interessamento dello scultore Mozzali.
Durante la guerra fa da interprete alle truppe tedesche ma, per aver percosso con una bottiglia un soldato tedesco, nel '45 viene nuovamente internato.
---Nel '48 viene dimesso; i critici e i galleristi cominciano ad occuparsi di lui. Iniziano anni durante i quali lentamente la fortuna sembra volgere a suo favore. La sua fama si allarga, la sua attività pittorica subisce un netto miglioramento. Vince premi, vende quadri, trova amici che lo ospitano, si girano film e documentari su di lui. Ligabue rimane però lo stesso, anche se viene identificando nelle automobili, dopo la passione per le motociclette, il segno di un raggiunto prestigio sociale, con forme maniacali (vorrà un autista, che si tolga il cappello, aprendogli la portiera della macchina per salire). Nel 1962 viene colpito da paresi, continua comunque a dipingere, ma nel 1965 muore.
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Anche quando cominciò ad essere accarezzato dalla fama, Antonio Ligabue, il "buon selvaggio" della pittura italiana, continuava ad essere un personaggio inquietante, diverso, strano; per quella sua miseria solitaria, consumata rintanandosi tra gli alberi, le nebbie e le calure della Bassa Padana; per quell'infanzia irrequieta e malaticcia vissuta in Svizzera con una madre adottiva; per la sua parlata mezza tedesca, le ossessioni maniacali, i ripetuti soggiorni in manicomio . ...
Ma a riscattare tanta sofferta alienazione e un passato da reietto vagabondo approdato nel luogo di origine del padre - il paese emiliano di Gualtieri - c'era, sorprendente quanto ogni aspetto del suo essere, una genialità artistica capace di trasformare gli incubi in incantate visioni colorate, gli ordinati filari di pioppi in giungle popolate da belve feroci. Tigri con le fauci spalancate, leoni nell'atto di aggredire una gazzella, leopardi assaliti da serpenti, cani in ferma e galli in lotta: predatori e prede, selvatici e domestici, sentiva gli animali come compagni, li comprendeva e li amava più degli uomini: e ad essi più che agli uomini, voleva assomigliare.
Le opere figurative di Ligabue, dense e squillanti, traboccano di nostalgia, di una violenza ancestrale, di paura e di eccitazione, di dettagli ugualmente minuziosi nelle scene di vita campestre come in quelle di esotiche foreste, attinti, nel primo caso, dalla profondità di un'incredibile memoria visiva, nel secondo da una immaginazione ancora più prodigiosa.
Augusto Agosta Tota, Presidente del Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue di Parma
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