S.ANTONIO abate
protettore ad ampio spettro: allevatori d'animali, tosatori, tessitori fucilieri ecc.
Vittoria Inverni
Per la storia del santo, leggere l'articolo S. ANTONIO abate una festa che affonda le radici nel tempo. Sovrapponendosi le antiche feste pagane, romane e celtiche, dedicate alle Grandi Madri e ai sacrifici penitenziali e propiziatori, alla festa cristiana di s. Antonio, ecco il santo passare di diritto come protettore degli allevatori e del bestiame in genere, in particolare maiali e cavalli.
Ma è anche protettore di molte attività che si collegano agli animali ed ecco i tosatori, i fabbricanti e i commercianti di tessuti, i guantai, i fabbricanti di spazzole (che un tempo si facevano con le setole dei maiali), macellai, droghieri (o pizzicagnoli), e salumieri poiché vendono prodotti a base di maiale o per conservarne la carne. Protegge anche gli animali dalle malattie come lo scorbuto e i parassiti interni, e da qui è passato anche ai parassiti interni umani in quanto sono animali (protegge gli umani da loro, comunque). Per il suo dominio sul fuoco, è invocato anche contro gli incendi, e l'herpes zoster, detto fuoco di sant'Antonio, nonché tutte le malattie della pelle, contagiose, scabbia, peste, prurito e foruncoli compresi. Perché? Perché per i suoi combattimenti con il demonio, era sempre pesto e sanguinante e, presumo, perché vivendo in una grotta difficilmente l'igiene poteva essere seguita in modo soddisfacente con le conseguenze immaginabili. Per niente chiaro è il perché sia invocato nelle malattie veneree e protegga i fucilieri,i confettieri e i fabbricanti di stoviglie. È fra i protettori dei becchini perché si dice abbia sepolto cristianamente l'abate Paolo, dei panerai perché per non stare in ozio intrecciava cestini, degli agricoltori perché si dice che negli ultimi anni coltivasse un orticello, degli eremiti visto che fu il fondatore del monachesimo.
È anche protettore dei campanari perché si racconta che nel luogo dove erano custodite le sue reliquie, portate in Francia da un crociato, accorressero tante di quelle persone che fu necessario costruire un ospedale. Questo era retto dall'Ordine Ospedaliero degli Antoniani, appositamente creato e che aveva come insegna la gruccia a T, attributo del santo, i quali, si pensa, per sfamare tutte queste persone allevavano maiali che scorrazzavano per la città, affidati alla pubblica carità. Ma la moltitudine dei maiali creò problemi igienici, fu necessario sopprimerli, lasciando in vita solo quelli appartenenti all'ordine purché fossero contraddistinti da una campanella. E la campanella passò negli attributi del santo. Ma la campana è anche simbolo del grembo materno, era connessa alla Grande Madre come il maialino, come lui simbolo di morte e di resurrezione. Sant'Antonio entra di diritto in molti proverbi o modi di dire popolari. Nel napoletano si dice "Sant'Antonio lampe e tuone" per dire che, generalmente, fa brutto tempo. Con "Sant'Antonio, téccate 'o vviécchio e damme 'o nnuovo" (eccoti il vecchio, dammi il nuovo), nel giorno del santo un tempo si lanciavano in strada le cose vecchie per bruciarle, per la sostituzione ci si affidava alla sua misericordia.
Sant'Antonio dalla barba bianca, se non piove la neve non manca, sta ad indicare che questo giorno è il cuore dell'inverno, mentre "Sant'Antonio fa il ponte e San Paolo lo rompe" significa che il 17 gennaio gela che ci si può passare sopra, mentre il 25 cominciano a sciogliersi le gelate.
Tra i detti popolari, in Lombardia si trova "l'è un sant'Antone" per indicare qualcosa, persona o cosa, ingombrante, comune a molte regioni è il detto " deve aver rubato il porco di sant'Antonio", per indicare qualcuno colpito da improvvisa sciagura, mentre di un intrigante o scroccone si dice che "va di porta in porta come il porco di sant'Antonio".
S. ANTONIO abate
una festa che affonda le radici nel tempo
Almalinda GiacummoIl periodo che dal solstizio d'inverno porta all'equinozio di primavera, dall'antichità ai nostri giorni è all'insegna di feste di tipo opposto. Ai nostri giorni abbiamo il Carnevale e la Mezzaquaresima, di tipo allegrotto, la Candelora, la Quaresima e le Ceneri per ricordarci che non siamo fatti di sola carne.Feste e penitenze sono un retaggio dell'antica cultura religiosa, sia romana sia celtica, quest'ultima diffusa in particolare nella pianura padana. Un esempio è la festa di s. Antonio abate, che cade il 17 gennaio. Nell'antica Roma la fine di gennaio era contrassegnata da ricorrenze e cerimonie atte a purificare gli uomini e gli animali, i campi, per propiziarsi gli dei affinché permettessero il regolare rinnovamento delle stagioni.Alle fine di gennaio si tenevano le Ferie sementine, durante le quali si procedeva alla lustrazione, cerimonia di espiazione e purificazione, dei campi e degli abitati rurali offrendo alle dee Terra e Cerere, la prima colei che accoglie i semi in seno e la seconda colei che li fa germinare, un intruglio di latte e mosto cotto, il farro che costituiva un dono usuale e sacrificando una scrofa gravida. Le giovenche che durante la bella stagione avrebbero dovuto lavorare, ora erano a riposo e inghirlandate con corone di fiori. Come ci racconta Ovidio nei Fasti, l'aratore doveva sospendere il suo lavoro, poiché la terra quando è fredda soffre per il solco, le giovenche riposare perché verrà poi il tempo del lavoro, le due dee siano placate con il sangue della scrofa, si pongano ogni anno i doni per loro sui rustici altari. All'inizio della evangelizzazione, all'interno della nuova fede si sono innestate le usanze della religione precedente, vuoi per far proseliti o vuoi per non perdere completamente la propria identità, resta il fatto che i riti pagani della benedizione dei campi sono trasmigrati nel cristianesimo ed ecco gli animali domestici benedetti sui sagrati delle chiese dedicate al santo. Perché la scelta di s. Antonio abate? Nella vita del santo non c'è niente che possa accomunarlo ai campi e alla vita rurale, tutt'altro. Antonio abate è il patriarca del monachesimo ed è una figura realmente esistita. Nato a Coma nell'Alto Egitto, tra il 251 e il 356 d.C., da ricchi genitori cristiani, rimasto orfano all'età di vent'anni, divise l'eredità con la sorella e diede ai poveri la su parte. Si ritirò in una tomba scavata sul fianco di una montagna vicino al luogo natale e visse da eremita. Attorno al 305 fondò una comunità nel Fayum e poco dopo un'altra nel Pispir. Fu lui a dare inizio alla vita monastica, pur non dotandola di regole precise. Divenuto famoso in tutto l'Egitto, la gente correva da ogni dove per chiedergli consiglio. Di lui abbiamo una lettera autentica indirizzata all'abate Teodoro e ai suoi monaci. Fu amico di sant'Atanasio, che appoggiò contro l'eresia ariana, tenendo a novant'anni un infervorato sermone nella città di Alessandria. Antonio morì più che centenario nel suo eremo sul monte Colztum, vicino al Mar Rosso. Fu sant'Atanasio a scrivere la sua biografia attorno al 357, mentre secondo altri questa Vita è stata scritta tredici-quindici anni dopo. Sant'Agostino, nelle Confessioni, ricorda come la figura di Antonio fosse ancora viva nella memoria trent'anni dopo la sua morte e come suscitasse ancora vocazioni. Poiché sembra che il santo sia morto veramente il 17 gennaio e, si sa, la data che si sceglie per ricordarli è il giorno della morte che equivale alla nascita al cielo, sant'Antonio, anacoreta e direttore d'anime si è trovato nelle vicinanze delle antiche feste pagane e, senza nesso reale, eccolo santo rurale. A lui, è associato il bastone a T, tau, e un maiale. Cosa c'entra il maiale, che per i cristiani era simbolo del male? Secondo gli studiosi, all'inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lug, venerato in Gallia ma che compare anche nelle saghe irlandesi, ritratto come un giovane che tiene tra le braccia questo animale. Lug era il dio del gioco e della divinazione, era colui che risorgeva con la primavera, figlio della Grande Madre celtica cui erano consacrati i cinghiali e i maiali come alla romana Cerere. I celti lo tenevano in gran conto, tanto è vero che portavano l'emblema di un cinghiale sugli stendardi e il simbolo sugli elmi. Non solo, sui corti capelli stendevano una poltiglia di gesso perché, irrigidendosi, rassomigliassero alla cotenna dell'animale. I sacerdoti celtici, i druidi, erano chiamati Grandi Cinghiali Bianchi, nelle leggende si racconta della caccia al cinghiale immortale per togliergli un pettine e una forbice che si trovavano fra le sue orecchie. Poiché le reliquie del santo erano giunte in Francia, i primi cristiani celti trasferirono nel santo gli attributi del dio pagano e nelle leggende di sant'Antonio abate ecco che s'inserisce il cinghiale, diventato poi maiale per estirpare il ricordo precristiano, e nascono due leggende per cristianizzare gli emblemi, la prima racconta che il cinghiale-maiale fosse il diavolo sconfitto da Antonio resistendo alle tentazioni, la seconda dice che un giorno il santo guarì un maialino e da quel momento questi lo seguì fedele come un cane. E il maiale diventò un privilegio dei Fratelli Ospedalieri di sant'Antonio, fondati nel 1600, che potevano allevarlo per nutrire gli ammalati che accorrevano alla chiesa di Saint-Antoine-de-Viennoi a alla Motte-Saint-Didier, dopo che si era sparsa la voce che attribuiva al santo la facoltà di guarire l'herpes zoster, grazie al suo dominio sul fuoco, poiché si racconta che sant'Antonio abbia rubato, con l'aiuto del suo maialino, il fuoco all'inferno. Una vivace testimonianza di un festeggiamento romano di sant'Antonio ce l'ha lasciato Goethe, che nel suo diario parla del 17 gennaio del 1787, giorno sereno e tiepido dopo una notte in cui aveva gelato, nel quale poté assistere alla benedizione degli animali domestici, con cavalli e muli infiocchettati e benedetti con copiose aspersioni d'acqua. In molte località italiane, al mattino si benedicono gli animali e si preparano cataste di legna che al tramonto si accendono, sempre in ricordo del famoso fuoco trafugato dal santo al demonio. E la gente cerca di portarsi a casa un po' di cenere o qualche resto di tizzone per preservare stalle e animali da eventuali sciagure.