venerdì 17 ottobre 2008

CREPUSCOLO (a P., L., T.)

Non è momento che alba precede
è lento declivio e sfinisce
nei passi di chi percorre la via.
Non è quella dolcezza che lessi
in quei poeti miei che ho amato
ma goccia continua a svuotare esistenze.
Lo vedo, il crepuscolo, in occhi di altri
lo sento esaurire energie, risorse,
e io prima lo amavo, ora non so.
Guido, Sergio, Eugenio...voi...e ora?
Chi mi può ora spiegare il buio che incombe?
Vorrei chiederlo a Dio...


Anonimo, non datato


"Il crepuscolo è l'intervallo di tempo dopo il tramonto caratterizzato dalla permanenza di una luminosità diffusa. Per estensione si parla anche di crepuscolo mattutino, sebbene in questo caso spesso si preferisca il termine aurora o alba.
Convenzionalmente vengono identificati tre tipi di crepuscolo: il crepuscolo civile, il crepuscolo nautico e il crepuscolo astronomico."
da Wikipedia

giovedì 16 ottobre 2008

Marionette




“Vede, Signora,
io sua figlia l’ho sempre amata.
Arrivavo ogni mattina con in tasca
pesci vivi, oroscopi e poesie.
Ma la sua bambina aveva nel corpo
lune insanguinate,
l’impronta infangata di uno stivale.
Il suo odio fermentava con la frutta in cantina.
Il suo odio cresceva e cresceva,
strangolava la casa
Vede, Signora,
sono nato in una valle di fantasmi.
Un paese di morti dove quando fa buio
le divise dei soldati marciano vuote lungo le strade.
E ogni notte la sua bionda bambina mi chiedeva di morire,
ogni notte lasciava un cadavere di cenere sul letto.
Un uomo ha in bocca la fame mai sazia dei lupi.
Ha sempre bisogno di mordere,
di succhiare il sapore selvatico.
E il mio sperma impazziva nei lombi,
la nutrivo ogni notte con le gocce dei miei sogni.
Non l’ho cercata, lo giuro.
Mi ha trovato seguendo un’orbita errata di stelle.
Nuotando e nuotando contro corrente.
Allargava i suoi occhi nel buio,
fiutava il mio odore col ventre.
La chiamai dalla riva.
Era un luccio gigante,
una cornucopia di luce nella marea del mattino.
Guizzò nell’aria: aveva un feto nell’iride dell’occhio,
si dibatteva con furia contro l’uncino del mio sesso.
Vede, signora,
ero un baco senza pupille
lei mi chiuse le palpebre con dita sudate,
mi avvolse con un filo di bava
nel suo bozzolo bianco.
E a casa la sua bambina bella cadeva fra i narcisi.
Si rompeva in mille pezzi,
pura e dolorosa come un grido.
Un crack fra le mie mani, così.
La vita le usciva da un fianco,
il sangue tornava alla terra.
Io non centro, lo giuro.
Fece tutto da sola.”


Marionette è una poesia di Ted Hughes. Poeta inglese, amò e sposò Sylvia Plath. La tradiva, si separarono.
Sylvia, fragile poetessa di vetro, si suicidò a Londra nel 1963.
Esce oggi un Meridiano dell'opera di Hughes

mercoledì 1 ottobre 2008

Quel cielo grande


Quel cielo grande
e nuvole attorno.
E la costiera, così definita
che fa male
e bene insieme
agli occhi e al cuore.
Un volo lento
di corvo
attraverso la breva.
Le mie fiabe qui
non hanno parole
ma voce d’acque
e pensieri assopiti nel sole.
E i lamponi e i fichi
rubati come un rito
e il tramonto brumoso
a sciogliersi in bocca.

Qui il tempo ha un senso
leggero, significa
vita e giorno compiuto.

Non quello scivolare
del mattino
tardo al chiarore
fino a una sera estranea
prematura opaca
dove vortica il nulla
di fari auto stanchezza.
Il fluire stanco
senza forza che non sia
rabbia silenziosa
e versi imperfetti.