venerdì 31 maggio 2013

Flebile


Flebile

Ogni gesto, ogni cosa
in un flebile afflato
come una vecchia
assonnata e confusa
come un passato vissuto.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate



flè-bi-le

Significato:Piangente, lamentoso; sommesso, fioco
dal latino: [fleo] piango.
Il senso principale con cui si usa questa parola è debole, fioco.
Ma è una sinonimia piuttosto generica.
La connotazione originale e forte indica il piangere come cifra distintiva.
Un tono flebile non sarà semplicemente un tono fioco, tenue, quasi impercettibile; piuttosto, sarà la voce tremante di un pianto che è già salito agli occhi o che vibra ancora in gola.
(dalla rete)

mercoledì 29 maggio 2013

Poesia e riflesso


La voce

Dov’è più fitta la trama
Di questa selva remota,
Da lunge, a lungo, un’ignota
Voce mi chiama, mi chiama.
La voce è tenera e trista,
La voce è chiara e profonda,
Come una voce dell’onda
A un grido umano commista.
Io che a fatica trascino
L’anima stanca ed inferma,
Vengo! rispondo, e per l’erma
Selva cammino, cammino.
Cammino tra scure piante,
Per balzi e ripe, salendo:
Il luogo muto ed orrendo
Pare la selva di Dante.
Crescono l’ombre, e l’arcana
Voce ch’io seguo ed ascolto,
S’affievolisce e nel folto,
Innanzi a me, s’allontana.
E alfine tace. Smarrito,
Seggo sul duro terreno;
Il cor mi palpita in seno
Come un uccello ferito.
Ombra, silenzio! A ponente,
Fra i tronchi immobili, dramma
Cupo di sangue e di fiamma,
Traspare il giorno morente.

Arturo Graf


mi trema ogni tanto,
la rabbia, il dolore,
le cose di tutta una vita
sole, insistenti, care...

martedì 28 maggio 2013

Malattia

La malattia (o male),  è un complesso di fenomeni che si instaurano in un organismo vivente quando una causa qualsiasi alteri l’integrità strutturale delle sue parti oppure ne faccia deviare il funzionamento in senso dannoso. Si può dire che la m. è una caratteristica degli organismi viventi, così come lo è la capacità di mantenere costante, attraverso complessi meccanismi regolatori, il proprio equilibrio anatomico e funzionale, sottoposto a continui stimoli provenienti dal mondo esterno e interno all’organismo stesso, tendenti ad alterarne le varie funzioni.L’insorgenza della m. dipende non tanto dalla natura dello stimolo, quanto piuttosto dall’intensità e dal modo, oltre che dalla reattività dell’organismo che lo subisce.La fine della m. può essere la morte dell’organismo, o della parte interessata, oppure la guarigione. Non di rado, però, la m. lascia nell’organismo un danno permanente, uno stato patologico che non si modifica più. Lo stato patologico può derivare anche da una m. congenita, legata a disturbi intervenuti nel corso dello sviluppo intrauterino o ad anomalie genetiche di carattere ereditario.La scienza che studia le malattie è la patologia, e un settore importante di questa è l’eziologia, che ha per oggetto i fattori o le cause di m. Questi possono provenire dall’ambiente esterno (fattori estrinseci) o essere insiti nell’organismo (fattori intrinseci): i fattori estrinseci, a loro volta, possono essere inanimati oppure viventi.Nel realizzarsi della m. una parte importante spetta alle condizioni dell’organismo ogni individuo reagisce in modo proprio all’azione delle cause di m.: vi sono soggetti in cui un determinato agente patogeno non provoca alcun effetto all’opposto vi sono soggetti predisposti a certi stimoli che ammalano con maggior facilità. Le differenze vengono da vari fattori: età, sesso, razza, ambiente, abitudini di vita, alimentazione, condizioni di lavoro, costituzione individuale.Quest’ultima è probabilmente la più importante: vi sono delle varianti particolari della costituzione, dette diatesi, che sono proprio caratterizzate da un’abnorme predisposizione dell’organismo verso una m. o un gruppo di malattie tra loro affini. Infine numerose malattie sono legate ad alterazioni del patrimonio genetico dell’individuo, per la presenza di geni patologici, e vengono trasmesse ereditariamente.Lo studio delle alterazioni che la m. comporta nella struttura e nelle funzioni dell’organismo è argomento della anatomia patologica e della fisiopatologia. Le varie modificazioni anatomiche e funzionali determinate dalla m. si manifestano con la comparsa di sintomi il cui studio è oggetto della semeiotica e della clinica. I sintomi vengono definiti soggettivi quando si riferiscono ai disturbi avvertiti dal paziente, oggettivi quando invece vengono rilevati dal medico attraverso l’esame obiettivo oppure con indagini di laboratorio e strumentali. Attraverso lo studio dei sintomi il medico arriva a identificare la m. in gioco e a prevederne, entro certi limiti, la possibile evoluzione. Le varie malattie vengono in genere classificate tenendo conto dell’organo colpito, della causa, del tipo di alterazione anatomica provocata, dell’evoluzione.La classificazione delle malattie è definita nosologia essa nel corso dei tempi ha subito continue modificazioni, in rapporto con l’approfondimento delle conoscenze scientifiche e con il perfezionamento dei metodi di indagine.







brucio di sonno
all'alba, al tramonto,
gli occhi stancano
un viso invecchiato...







La mia malattia

I
L'altr'anno, ero malato, ero lontano,
a Messina: col tifo. All'improvviso
udivo spesso camminar pian piano,
a piedi scalzi. Era Maria, col viso
tutt'ombra, dove un mio levar di ciglia
gettava sempre un lampo di sorriso.
A volte erano i morti, la famiglia
nostra... Io pian piano mi sentia toccare
il polso, e sussurrare: - Oh! la mia figlia!
sola! con nulla! con di mezzo il mare! -
II
Quelle sere, Maria non, come suole,
pregava al mio guanciale, co' suoi lenti
bisbigli, con le sue dolci parole:
dolci parole dette per gli assenti
al buon Gesù, dette per me: preghiere
perché in pace riposi e m'addormenti.
Prega, e vuol ch'io ripeta. Quelle sere,
nulla, o diceva: "Dormi, ch'hai la voce
debole; è meglio ora per te tacere,
dormire; fatti il segno della croce".
III
Io pensava: - Ma dunque ella non crede
più, tanto? Che sarà della sua vita,
un vilucchio avvoltato alla sua fede? -
E pensando, alla mente illanguidita
io richiamava le devozioni
già dette con le mie tra le sue dita.
E ricordai che tra quei fiochi suoni
che a un Angiolo bisbiglia che li porti
su, c'era il Requiem; c'era anche: Vi doni
nostro Signore eterna pace, o morti!
IV
Morti che amate, morti che piangete,
morti che udivo camminar pian piano
nella mia, nella sua stanza a parete:
che sempre in dubbio d'aspettare in vano
sempre aspettate con pupille fisse,
come il mendico, tesa ch'ha la mano,
quelle preghiere; oh! sì, Maria le disse,
quelle preghiere, ma da sé, ma ebbre
di pianto, ma di là... che non sentisse
suo fratello, che aveva alta la febbre...

Giovanni Pascoli
da I canti di Castelvecchio

lunedì 27 maggio 2013

Poesia e riflesso

LACRIMA
 
    Lontano dagli uccelli, dai greggi, dalle villanelle,
bevevo, accoccolato in qualche landa circondata dai
boschi di nocciuoli, in una tepida e verde foschia pomeridiana.
    Che cosa potevo bere in quella giovine Oise - olmi
senza voce, erba senza fiori, cielo coperto-, che
cosa attingevo alla zucca di colocasia? Qualche
liquor d'oro insipido, e che fa sudare.
    Parevo una brutta insegna d'albergo. Poi
l'uragano mutò il cielo, fino a sera: furono paesi neri,
laghi, pertiche, colonnate sotto la notte azzurra, stazioni.
    L'acqua dei boschi si perdeva in sabbie vergini, il
vento scagliava dal cielo ghiaccioli ai pantani... E
dire che, come un pescatore d'oro o di conchiglie,
non mi sono dato pensiero di bere!

Arthur Rimbaud


e si piange sempre
fino alle lacrime
o basta un
sospiro,
un mugolio
continuo...

domenica 26 maggio 2013

Nascondino


Raccontano che un giorno si riunirono in un luogo della terra tutti i sentimenti e le qualità degli uomini.
Quando la Noia si fu presentata per la terza volta, la Pazzia, come sempre un po' folle propose:
"Giochiamo a nascondino!"
L'Interesse alzò un sopracciglio e la Curiosità senza potersi contenere chiese:
"A nascondino? Di che si tratta?"
"E' un gioco, - spiegò la Pazzia - in cui io mi copro gli occhi e mi metto a contare fino a 1.000.000 mentre voi vi nascondete e, quando avrò terminato di contare, il primo di voi che scopro prenderà il mio posto per continuare il gioco."
L'Entusiasmo si mise a ballare, accompagnato dall'Euforia. L'Allegria fece tanti salti che finì per convincere il Dubbio e persino l'Apatia alla quale non interessava mai niente... Però non tutti vollero partecipare.
La Verità preferì non nascondersi. Perché, se poi alla fine tutti la scoprono?
La Superbia pensò che fosse un gioco molto sciocco (in fondo ciò che le dava fastidio era che non fosse stata una sua idea) e la codardia preferì non arrischiarsi.
"Uno, due, tre..." - comincio a contare la Pazzia.
La prima a nascondersi fu la Pigrizia che si lasciò cadere dietro la prima pietra che trovò sul percorso. La Fede volò in cielo e l'Invidia si nascose all'ombra del Trionfo che con le proprie forze era riuscito a salire sulla cima dell'albero più alto.
La Generosità quasi non riusciva a nascondersi. Ogni posto che trovava le sembrava meraviglioso per qualcuno dei suoi amici. Che dire di un lago cristallino? Ideale per la Bellezza. Le fronde di un albero? Perfetto per la Timidezza. Le ali di una farfalla? Il migliore per la Voluttà. Una folata di vento? Magnifico per la Libertà. Cosi la Generosità finì per nascondersi in un raggio di sole.
L'Egoismo, al contrario trovò subito un buon nascondiglio, ventilato, confortevole e tutto per se'.
La Menzogna si nascose sul fondale degli oceani (non è vero, si nascose dietro l'arcobaleno).
La Passione e il Desiderio al centro dei vulcani. L'Oblio...non mi ricordo...dove?
Quando la Pazzia arrivo a contare 999999 l'Amore non aveva ancora trovato un posto ove nascondersi poiché li trovava tutti occupati, finché scorse un cespuglio di rose e alla fine decise di nascondersi tra i suoi fiori.
"Un milione!" - contò la Pazzia. E comincio a cercare.
La prima a comparire fu la Pigrizia, solo a tre passi da una pietra. Poi udì la Fede, che stava discutendo con Dio su questioni di teologia, e sentì vibrare la Passione e il Desiderio dal fondo dei vulcani. Per caso trovò l'Invidia e poté dedurre dove fosse il Trionfo. L'Egoismo non riuscì a trovarlo. Era fuggito dal suo nascondiglio essendosi accorto che c'era un nido di vespe.
Dopo tanto camminare, la Pazzia ebbe sete e nel raggiungere il lago scoprì la Bellezza.
Con il Dubbio le risultò ancora più facile, giacché lo trovò seduto su uno steccato senza avere ancora deciso da che lato nascondersi.
Alla fine trovò un po' tutti: il Talento nell'erba fresca, l'Angoscia in una grotta buia, la Menzogna dietro l'arcobaleno e infine l'Oblio che si era già dimenticato che stava giocando a nascondino.
Solo l'Amore non le appariva da nessuna parte.
La Pazzia cercò dietro ogni albero, dietro ogni pietra, sulla cima delle montagne e quando stava per darsi per vinta scorse il cespuglio di rose e cominciò a muoverne i rami. Quando, all'improvviso, si udi un grido di dolore: le spine avevano ferito gli occhi dell'Amore...! La Pazzia non sapeva più che cosa fare per discolparsi; pianse, pregò, implorò, domandò perdono e alla fine gli promise che sarebbe diventata la sua guida.

Da allora, da quando per la prima volta si giocò a nascondino sulla terra, l'Amore è cieco e la Pazzia sempre lo accompagna.
Anonimo



Jan Verhas, Nascondino



Nascondino 

Ho giocato
a nascondino col sogno
nella piega del tempo
ritrovo ristoro.
Ho bevuto
da una fonte nascosta
nella cresta di un'onda
rivedo l'amore.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

sabato 25 maggio 2013

Frammento riflesso


Mario Sampieri, Alba sul fiume

fredda nell'alba
immagine statica
di me che osservo,
intorno il verde
si confonde e fonde

col vivido fiume,
qui si sta bene...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati



venerdì 24 maggio 2013

Pasturo e la Valsassina tra poesia e natura

Pasturo (Pastür in dialetto valsassinese)
è un comune di 1.945 abitanti della provincia di Lecco.
Citato nei i Promessi Sposi del Manzoni come paese di origine di Agnese madre di Lucia Mondella.
Girando per le vie e viuzze di Pasturo sotto gli archi e gli archivolti si riesce a cogliere in pieno la pacata atmosfera che ancora regna nei paesi della Valsassina.
La poetessa Antonia Pozzi trascorse a Pasturo i migliori anni della sua vita, essa è sepolta nel piccolo cimitero del paese.



Bontà inesausta

Chi ti dice
bontà
della mia montagna? –
così bianca
sui boschi già biondi
d’autunno –
e qui nebbie leggere alitano
in cui sospesa
è la luce dei ragnateli –
della rugiada
sulle foglie morte –
mentre il terriccio accoglie
petali stanchi di ciclamini
e crochi, velati
di uno stesso pallore
roseo –
tu sana, venata di sole,
porti sul grembo
il cielo tutto azzurro –
chiami voli d’uccelli
alle tue mani
colme di vento –
Bontà
a cui beve il suo canto
il cuore
e di cantare non può più finire –
perché sei la sorgente che rifà
il sorso bevuto
ed il suo fondo
non si tocca mai.

Antonia Pozzi
Pasturo, 1° ottobre 1933



un cielo e un dito
pennello le nubi,
i cirri ed i nembi,
ritrovo un attimo
lo scordato viso
e un breve sorriso...


La Valsassina è racchiusa tra il gruppo delle Grigne, a occidente, e il gruppo delle Alpi Orobie, che, a semicerchio da oriente a settentrione, la separano dalle valli bergamasche e dalla Valtellina.
Si collega al ramo lecchese del Lago di Como grazie a due sbocchi, a Lecco e a Bellano. Esiste una strada di collegamento alle valli bergamasche: la strada provinciale 63 Prealpina Orobica, che dal comune di Moggio sale alla Culmine di San Pietro per poi discendere nella Val Taleggio.
La valle è percorsa in tutta la sua lunghezza dal torrente Pioverna, il quale nasce dalla Grigna e scorre verso nord per sfociare nel Lago di Como all'altezza di Bellano, comune nel quale il torrente forma una spettacolare forra chiamata l'Orrido di Bellano (dalla rete).

giovedì 23 maggio 2013

Ciao


Ti vorrei dire
cose che non ho
ti vorrei dare
cose che non so.

Gujil

mercoledì 22 maggio 2013

Poesia e riflesso




Rotonda terra; scena che si ripete,
in te, del saluto serale: consuetudine
mia planetaria, con te e i tuoi tramonti:
trasalimento, di tegola in tegola,
del mio vivere che se ne va col tuo
trapassare, lume diurno, lento,
sul tetto davanti casa; e mio formarsi,
intanto, un petto come di colomba;
e metter piume amorose per la notte
che viene; ravvolgermi unitario
con essa: pigolìo interiore; perdita
dell’umano: divenir mio universale.



C arlo Betocchi
da Poesie del sabato



flashback impietoso
assisto al riposo,
poi mi siedo e ritento
senza colpa,
senza segno...

martedì 21 maggio 2013

Usignolo


In sordina


Calmi nella penombra
che gli alti rami spargono

penetriamo il nostro amore
di questo silenzio profondo.

Uniamo le nostre anime, i cuori
ed i sensi in estasi,

in mezzo ai vaghi languori
dei pini e dei corbezzoli.

Socchiudi gli occhi,
incrocia le braccia sul seno,

e dal tuo cuore assopito
scaccia per sempre ogni progetto.

Lasciamoci persuadere
al dolce soffio che culla

e che ai tuoi piedi
viene ad increspare
le onde di erba rossa.

E quando, solenne, la sera
cadrà dalle nere querce,

voce della nostra disperazione
l'usignolo canterà.

Paul Verlaine


piano senza suoni,
come un fluido caldo,
come gli umori saputi
e i sussulti del tempo...

Ordine: Passeriformi Famiglia: Turdidi Genere: Luscinia Specie: Luscinia megarhynchos Ascolta il canto E' celebre fin dai tempi antichissimi per il suo canto delizioso. 
Caratteristiche L'usignolo (Luscinia megarhynchos), lungo circa 17 cm, ha un piumaggio di colore bruno nelle parti superiori e biancastro in quelle inferiori, la coda invece è di colore bruno ruggine. I giovani possono essere confusi con quelli del pettirosso o del codirosso. 
Diffusione E' diffuso nell'Europa occidentale, centrale e meridionale, nell'Asia Minore e nell'Africa del Nord. Sverna nell'Africa tropicale. In Italia è diffuso ovunque ed è quasi esclusivamente di passo o estivo, rarissimi sono gli esemplari che svernano nella nostra penisola. Sulle Alpi supera di rado gli ottocento metri di altitudine. In Campania è presente nel Parco Nazionale del Vesuvio. 
Habitat Vive e nidifica quasi ovunque, sia nei boschi che nei giardini, preferendo comunque la pianura alla montagna, dove comunque è molto presente, purchè le falde dei monti siano coperte di boschi cedui. Sono infatti i boschi cedui, ed in generale tutti quelli a basso fusto, le sue dimore predilette. Dove non ha da temere insidie dall'uomo, si stabilisce nelle vicinanze dei centri abitati. 
Riproduzione L'usignolo costruisce il nido nelle buche del terreno o dei tronchi rovesciati e vi depone dalle 4 alle 6 uova, di colore grigio-bruno o opaco. Durante la cova il maschio si alterna alla femmina. 
Alimentazione L'usignolo si ciba di larve di insetti e lombrichi, frutta in generale e durante l'autunno anche varie specie di bacche.

lunedì 20 maggio 2013

poesia, video e riflesso



Già la pioggia è con noi

Già la pioggia è con noi,
scuote l’aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.
Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d’improvviso un giorno.

Salvatore Quasimodo


e piove su di me
mentre fuori è sole
piove in me
mentre in alto è cielo...

domenica 19 maggio 2013

Frammento


racchiusi in un nulla
si spostano sempre
equilibri distanti
come genii distratti
come farfalle...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

sabato 18 maggio 2013

Poesia e riflesso



mollezze

Alle catene molli offrir per poco
le mani, benché sia leggiadro incanto,
è per il chiuso cuor ben nuovo gioco.
Ma lunga schiavitù già gli fu tanto
grave d'affanni, ch'esso cerca il riso
fugace, quel che non ritorna in pianto.
Cerca in amore un bel razzo improvviso,
un breve incontro di due eguali gesti,
di labbra mute nel languor del viso.
I desideri giova tener desti
fin che il buon tempo dell'amor seduce.
Prima ch'esso in un'ombra alta s'arresti
berrò la sua meravigliosa luce.

Amalia Guglielminetti


fuggendo da tutti,
evitando tutti
in un cuscino di raso
abbandonarsi al riposo...

giovedì 16 maggio 2013

Grazie davvero



Grazie davvero

piove già:
piova piano,
piove su di me;
viene giorno viene piano,
quieto qui de me,
piove già.
Suona già sullo stagno,
cade senza età.
sui colori gioca piano,
l'acqua senza età.
Piova su un mondo da vivere
Piova sul giorno che è qua
Piove sul tempo che arriverà.
Grazie davvero di vivere
grazie del giorno che è qua
grazie del tempo che arriverà.
Piove già piove piano,
piove su di me:
viene giorno, viene piano,
quieto qui da me:
pioverà.

PFM

mercoledì 15 maggio 2013

Poesia e riflesso

I have a Bird in spring
Which for myself doth sing -
The spring decoys.
And as the summer nears -
And as the Rose appears,
Robin is gone.
Yet do I not repine
Knowing that Bird of mine
Though flown -
Learneth beyond the sea
Melody new for me
And will return.
Fast in a safer hand
Held in a truer Land
Are mine -
And though they now depart,
Tell I my doubting heart
They're thine.
In a serener Bright,
In a more golden light
I see
Each little doubt and fear,
Each little discord here
Removed.
Then will I not repine,
Knowing that Bird of mine
Though flown
Shall in a distant tree
Bright melody for me
Return.
   Ho un Uccello in primavera
Che per me sola canta -
La primavera ammalia.
E quando l'estate s'avvicina -
E quando la Rosa appare,
Il pettirosso se n'è andato.
Ma non me ne rattristo
Sapendo che l'Uccello mio
Pur se volato via -
Impara al di là del mare
Nuove melodie per me
E tornerà.
Sicuri in una più salda mano
Custoditi in una più fidata Terra
Sono i miei -
Ed anche se adesso vanno via,
Dico al mio cuore in ansia
Essi sono tuoi.
In più sereno Splendore,
In più dorata luce
Vedo
Ogni piccolo dubbio e paura,
Ogni piccola discordia di quaggiù
Sparita.
Dunque non mi rattristerò,
Sapendo che l'Uccello mio
Pur se volato via
Da un albero lontano
Splendenti melodie per me
Invierà.

Emily Dickinson





in un solo crescendo,
come una sonata,
come un trillo continuo...

martedì 14 maggio 2013

Aforisma e riflesso



Anelo all’eternità,
perchè lì troverò
i miei quadri non dipinti,
e le mie poesie non scritte.

Kahlil Gibran


ed io?
dove penso trovo,
quando vedo, guardo
amo ed amo ancora...

lunedì 13 maggio 2013

Poesia e riflesso

«Ave, Maria (rallegrati, Maria)».
Il saluto dell'angelo Gabriele apre la preghiera dell'Ave.
È Dio stesso che, tramite il suo angelo, saluta Maria.
La nostra preghiera osa riprendere il saluto a Maria con lo sguardo che Dio ha rivolto alla sua umile serva (cf Lc 1,48), e ci fa rallegrare della gioia che egli trova in lei (cf Sof 3,17).



Giovanni Segantini, Ave Maria a trasbordo

L'AVE
 
La campana ha chiamato,
e l'angelo è venuto.
Lieve lieve ha sfiorato
con l'ala di velluto
il povero paese;
v'ha sparso un tenue lume
di perla e di turchese
e un palpito di piume;
ha posato i dolci occhi
sulle più oscure soglie...

Poi, con gli ultimi tocchi
cullati come foglie
dal vento della sera,
se n'è volato via...
A portar la preghiera
degli umili a Maria.

Diego Valeri




anche quando è insulto
anche quando manca
eppure sta nel mio
come un canto sopito...

domenica 12 maggio 2013

Poesia e riflesso


Rodin, il bacio

Il buon compagno


Non fu l'Amore, no. Furono i sensi
curiosi di noi, nati pel culto
del sogno... E l'atto rapido, inconsulto
ci parve fonte di misteri immensi.

Ma poi che nel tuo bacio ultimo spensi
l'ultimo bacio e l'ultimo sussulto,
non udii che quell'arido singulto
di te, perduta nei capelli densi.

E fu vano accostare i nostri cuori
già riarsi dal sogno e dal pensiero;
Amor non lega troppo eguali tempre.

Scenda l'oblio; immuni da languori
si prosegua più forti pel sentiero,

buoni compagni ed alleati: sempre.

Guido Gozzano



diversi i baci ora,
affetto, vicinanza,
passioni scontate
indugiano in me...

sabato 11 maggio 2013

Smirne

File:Izmir021.jpgSmirne (in turco İzmir, in greco Σμύρνη, Smyrni) è una città di 3,5 milioni di abitanti della Turchia centro-occidentale, la terza del paese per numero di abitanti dopo Istanbul e Ankara, capoluogo della provincia omonima. È anche un grande ed efficiente porto situato sull'omonimo golfo, nel Mar Egeo. Amministrativamente è formata dai centri urbani di 21 dei 30 distretti della provincia. Konak costituisce il centro storico della città. Smirne è la città natale del poeta antico Bione ed è tra le località che si contendono l'onore di essere il luogo natìo del leggendario poeta Omero. Il nome "Smirne" (Smyrna) significa "mirra" in greco antico, pertanto si riferisce alla presenza di tale arbusto nella zona dove la città è stata fondata. Izmir è il nome turco, ufficializzato solo nel 1930, negli ultimi decenni diffuso anche all'estero. Nasce probabilmente dalla corruzione del nome più il prefisso -Is e il cambiamento della S in Z come accadde per Costantinopoli (ora Istanbul) e Nicea (ora Iznik). In greco come anche in italiano e in altre lingue il nome Smirne (o Smyrni, Σμύρνη) è rimasto consolidato nel lessico al posto del più recente nome turco. Il primo insediamento umano a Smirne può risalire al III millennio a.C. Si pensa che il suo sviluppo sia coinciso con quello di Troia. Intorno al 1500 a.C. essa venne occupata dagli Ittiti, ma con la caduta di Troia e della capitale Hattusa l'impero ittita entrò in crisi. Nel VIII secolo a.C., passata sotto il controllo di Mileto, Smirne fondò diverse colonie in Libano, Siria, Grecia e lungo le sponde del Mar Nero, le quali la resero non più un piccolo villaggio, ma una vivace e ricca città commerciale. Tuttavia la sua prosperità attirò l'interesse dei Persiani, i quali la occuparono, causandone così la decadenza e la distruzione. Rifondata da Alessandro Magno nel 333 a.C., essa divenne romana nel 133 a.C. e, in seguito, subì un terremoto disastroso che la devastò nel 178, cosicché l'imperatore Marco Aurelio ordinò di ricostruirla. Sotto l'Impero bizantino il suo sviluppo si fermò, soprattutto a causa della crescita d'importanza della vicina Efeso. La ripresa del commercio medievale (soprattutto quello dei beni di lusso) sotto gli imperatori macedoni (867-1057) resero nuovamente importante Smirne a causa della sua posizione strategica. Ma nel 1076 essa fu occupata dai Turchi Selgiuchidi e decadde, non riuscendo a rifiorire neanche dopo la riconquista comnena avvenuta nel 1098. Fu ceduta ai Genovesi nel 1261 e nacque allora una piccola colonia genovese. Successivamente fu ceduta da questi ai cavalieri ospitalieri (1320-1402) ed infine conquistata dai turchi ottomani, che la possedettero per più di cinque secoli. Sotto il dominio ottomano la città divenne un importante scalo commerciale, snodo fra le piste carovaniere dell'Asia e le rotte mediterranee. La sua popolazione era un modello tipico della società ottomana, multi-etnica, multi-confessionale e poliglotta. Gli stessi turchi la chiamavano gâvur Izmir cioè l'infedele Smirne, in riferimento all'alta percentuale di non musulmani (greci, armeni, ebrei, levantini) residenti in città. Col tempo sorse una comunità italiana che all'inizio del ventesimo secolo arrivo' a contare circa 6-7.000 residenti. L'impero ottomano, uscito sconfitto dalla prima guerra mondiale, cedette Smirne alla Grecia col Trattato di Sèvres (1920). Smirne nei primi decenni del Novecento aveva oltre 250.000 abitanti, due terzi dei quali greci.[senza fonte] Dopo l'invasione greca dell'Asia minore e la sconfitta greca a Dumlupınar, la città fu riconquistata dall'esercito turco repubblicano comandato da Mustafa Kemal (1922) e devastata da un catastrofico incendio che distrusse gran parte della città vecchia; durante l'incendio, tra devastazioni e saccheggi, le popolazioni cristiane, principalmente quelle greca e armena, in parte massacrate, si imbarcavano sulle navi dell'Intesa alla fonda nel porto, trovando poi rifugio in Grecia (da wikipedia).


 
A Sud del mio percorso
ho lasciato il dono
i sapienti di Smirne
tra flebili fiamme
disegnavano oracoli
al passare del tempo.

Se devo credere ai mercanti di tempo
è giusto che vaghi in ricerche continue
e mi prostri al passaggio dei saggi.

Anonimo
del XX°é secolo
frammenti ritrovati

venerdì 10 maggio 2013

Aforisma e riflesso



Alcuni di noi
sono come l’inchiostro,
altri come la carta.
Se non fosse
per il nero di alcuni,
altri sarebbero muti.
Se non fosse
per il bianco di alcuni,
altri sarebbero ciechi.

Kahlil Gibran


sic est!
come un nodoso
ingombrante
ricordo...