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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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domenica 30 novembre 2014

Lontano

Lontano di qui
 
Al di là delle luminose insegne
ci sono spazi più oscuri: lassù
piccoli nidi brumosi di stelle
sembra ondeggino in aria.
 
Non hanno specifici nomi:
nessun uomo che vaghi nella notte
volge a loro il suo sguardo
per orientarsi, o per puro piacere;
 
una polvere tanto evanescente
può dar ben poca luce:
è molto meno il noto che l'ignoto,
è molto più il lontano che il vicino.
 
Traduzione di Silvio Raffo
Philip Larkin
Lettere dall'esilio
 

lontano, lontano...
quanto spesso, quanto sentito;
un area grigia del ricordo,
a volte scordiamo...
 
lontano -TRECCANI-
Finestra di approfondimento Distanza spaziale -
Qualcosa o qualcuno può essere lontano nello spazio o nel tempo (e anche in senso estens. o fig.: un lontano parente).
Alcuni sinon. sono comuni all’una e all’altra accezione, giacché il confine tra i concetti di spazio e di tempo è spesso sfumato (si pensi a un es. come: il paese più vicino dista tre ore di macchina).
I sinon. del primo sign. sono tutti meno com., quando non decisamente lett., rispetto all’agg. lontano.
Distante (che, al pari di l., può essere sia agg. sia avv...).

 
Lontano lontano

Lontano lontano nel tempo
qualche cosa
negli occhi di un altro
ti farà ripensare ai miei occhi
i miei occhi che t'amavano tanto

 E lontano lontano nel mondo
in un sorriso
sulle labbra di un altro
troverai quella mia timidezza
per cui tu
mi prendevi un po' in giro
E lontano lontano nel tempo
l'espressione
di un volto per caso
ti farà ricordare il mio volto
l'aria triste che tu amavi tanto
E lontano lontano nel mondo
una sera sarai con un altro
e ad un tratto
chissà come e perché
ti troverai a parlargli di me
di un amore ormai troppo lontano.
 
Luigi Tenco
(1966) 
 
"Campo lontano"
Belletti Nicoletta
aggettivo
1 Distante in senso assoluto o relativamente a un punto di riferimento (precisato con da o misurato): essere l.; patria l.; una nave l. dal porto; un paese l. dieci chilometri || l. anni luce, in senso iperb., distantissimo, anche col valore fig. di molto diverso
2 fig. Distante in senso ideale, astratto; in partic., diverso, differente sul piano ideologico: avere idee politiche molto l.; vago, incerto, indeterminato: non avere la più l. idea; c'è una l. somiglianza fra loro || cause l., remote, indirette | alla l., da distante, alla larga; anche in modo generico o generale: prendere qlco. alla l.; essere parenti alla l.
3 Distante in senso temporale (nel passato e nel futuro): epoche l. 
avverbio
A notevole distanza, in un luogo distante, remoto: fuggire l. || figg. andare l., far carriera, avere successo | guardare, vedere l., saper prevedere ciò che potrà accadere | di, da l., da distante: osservare, seguire da l.
Sabatini Coletti
 

sabato 29 novembre 2014

Selciato...e pioggia


Selciato e pioggia
 
Il selciato bagnato accompagna
passi di chi torna, di chi parte;
nel vuoto cosmico del dolore
impegno, costrizione e fede,
nel tempo delle cose si cerca,
un percorso, la via, una strada,
nel silenzio tace anche l'anima,
si ferma, una pozza, un pensiero,
si forma nel petto, nel cuore.
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate
  


1. aggettivo
Rivestito di selci: strade selciate.

2. sostantivo maschile
Tipo di pavimentazione di strade e piazze, cortili, ecc., costituito da selci: fare, accomodare il s. del cortile; è scivolato sul s. bagnato.
Per estensione, pavimento di strade e piazze formato da blocchi, ciottoli o lastre di qualsiasi pietra (sinonimo di lastricato, acciottolato).
- TRECCANI -

 
Con il termine selciato si indica comunemente una superficie esterna pavimentata in pietra a lastre o blocchi.
Il nome, che deriva dal primitivo utilizzo della selce come pietra da pavimentazione, si è poi esteso anche per le opere realizzate con altri materiali tra i quali, ad esempio, il macigno, il porfido, il granito.
Non di rado, tuttavia, sono chiamate selciati anche quelle pavimentazioni ottenute attraverso l'uso di più elementi e materiali in configurazioni, disegni e posa in opera diversi, tendenti a formare un tutt'uno armonico e di effetto scenico/ornamentale.
Gli elementi con i quali sono realizzate le pavimentazioni in pietra, un tempo lavorati sul cantiere dagli scalpellini, sono oggi pre-abbozzati direttamente negli stabilimenti di produzione e nella fase della posa in opera sono realizzati - frequentemente - con piccoli assestamenti.
Gli elementi in pietra che costituiscono le pavimentazioni, possono essere posati a secco, su un letto di magrone, sabbia o colla e possono avere i giunti (fughe) stuccati o aperti (da Wikipedia).
 
Caratteristico quando si bagna per la pioggia, il selciato sembra riflettere in uno strano specchio tutte le cose e traslucida quasi fosse composto anche da particelle di vetro.

venerdì 28 novembre 2014

Fascino

Fascini
 
Colei che a un riso di seduzïoni
tutta sola sen va, volgesi e gode
or dei fascini belli ed or dei buoni.
Talora si sofferma e una sua lode
sorridendo susurra, ma sì piano,
che niuno fuor del suo silenzio l'ode.
Ascolta il mare urlar tragico un vano
suo amore, oppur gioisce in numerare
gl'intrichi delle vene in una mano.
Sosta in ansia d'attesa al limitare
d'un vecchio parco, oppur s'abbaglia al gioco
d'arcobaleno delle gemme rare
sotto rovesci calici di fuoco.

Amalia Guglielminetti
 
Valentina
Guido Crepax
un tempo anch'io,
fuori dai verdi occhi un mondo,
fatato, incantato, trasmesso;
colei che vide amai...
 
fàscino s. m. [dal lat. fascĭnum «maleficio; amuleto»]. – TRECCANI

1.
letter. Malia, influenza malefica che si ritiene possa emanare dallo sguardo degli invidiosi, degli adulatori, degli affetti da qualche morbo; . (lett.) [influenza malefica] ≈ fattura, incantesimo, maleficio, malia, sortilegio, stregoneria.

2. Potenza di attrazione e di seduzione [potere di attrazione: una donna di grande f.] ≈ attrattiva, charme, (lett.) fascinazione, malia, seduzione, sex appeal.... : donna ricca di f., dotata di f. irresistibile; il f. dei suoi occhi; il f. di un oratore sulla folla, di un condottiero sui suoi soldati; avere f., esercitare un f.; sentire, subire il f. di una persona, di una cosa; anche di animali: il f. della serpe sugli usignoli. F. slavo, l’irresistibile attrattiva che viene attribuita alla bellezza (soprattutto muliebre) slava; l’espressione è anche usata in senso iron. o scherz., con riferimento a uomo o donna assai attraente o che tale si creda.
3. Nome che i Romani diedero al dio Priapo, e poi all’attributo sessuale del dio, a cui si riconobbe valore apotropaico.
 

giovedì 27 novembre 2014

Silenzio

Il silenzio che segue
                 

Non solo le rimostranze più innocenti,
che un calcio nel costato capovolge,
non soltanto le grida, che fanno sdraiare sulle piazze,
non soltanto gli insospettabili entusiasmi.

Più è forte, e più pesa
il silenzio che segue,
il silenzio delle strade ostinate, delle finestre chiuse,
il silenzio dei ragazzi davanti al primo ucciso,
il silenzio di fronte all'improvvisa infamia,
il silenzio del bosco,
il silenzio del cavallo accanto al fiume,
il silenzio tra due bocche che non possono baciarsi,
e quella "quiete istantanea",
che si prolunga e s'ingigantisce
nei cuori, nei secoli,
il silenzio, che decide
che cosa deve perdersi o restare.

Viron Leondaris
Traduzione di Nicola Crocetti 
 
 
silenzio e rumore,
alternanza contigua
al mio stare
stare in silenzio,
fare rumore...
 

 
Con silenzio si intende la relativa o assoluta mancanza di suono o rumore; un ambiente che produca suono inferiore ai 20 decibel viene solitamente considerato silenzioso.
Viene considerato una forma di rispetto collettivo l'osservare alcuni minuti di silenzio e raccoglimento durante la commemorazione di persone defunte.
Questa pratica, presente in tutti gli aspetti della vita sociale, assume un particolare valore e importanza in campo militare.
In senso lato si può intendere anche come l'insieme di gesti e comportamenti sociali attuati in alcune circostanze.
"Allegoria del Silenzio"
chiostro del monastero di Santa Chiara, Napoli
La pratica del silenzio (inteso non solo come astensione dalla parola, ma anche come tentativo per ridurre la quantità di pensieri, placare l'attività frenetica della mente e trovare così il silenzio interiore) viene considerato una forma di disciplina spirituale presso alcune forme di religione e spiritualità.
Questo avviene particolarmente in quelle orientali: ad esempio, nel contesto induista, il silenzio è una delle forme di sadhana.
Nelle regole religiose cristiane, in particolare di clausura, il silenzio è uno dei vincoli obbligatori della vita comunitaria.
Che il silenzio non sia solo la negazione o l'interruzione della comunicazione, ma un mezzo di espressione di pensieri ed emozioni è convinzione che risale ai primi retori.
Da Cicerone a Quintiliano, a Seneca si sostiene che un bravo oratore non solo deve saper parlare (persuasivamente), ma anche tacere (efficacemente).
 
Il silenzio è messaggio.
La scelta di non dire è un atto linguistico.
 
Il silenzio, come assenza di suono, è anche considerato una componente della musica.
Essendo naturalmente privo di tono, timbro e intensità, l'unica caratteristica che condivide con il suono, in un contesto musicale, è la durata.
Tale implicazione ha trovato esplicito rilievo a partire dal XX secolo (si veda in proposito la nota opera 4'33" di John Cage) (da Wikipedia).

 

mercoledì 26 novembre 2014

Screziato, screzio

screziato agg. [part. pass. di screziare]. – TRECCANI

1.
a. Cosparso di colori diversi; variopinto: tra gli uccelli, i maschi hanno le penne più s. delle femmine; in partic., che presenta, su un fondo di colore unito, striature o chiazze di colore diverso: la pelle s. della tigre, del leopardo; un cavallo dal manto s.; anche riferito al colore stesso che fa da fondo: giallo s. di rosso e verde; bianco s. di macchie nere.
b. In senso fig., raro e letter., che presenta caratteri e toni diversi: stile screziato.
2. In araldica, attributo dell’ape, della cicala e della farfalla con ali variopinte.
3. In botanica, di pianta e di un suo organo che presenta screziatura.

Screziata
 
Oblique immagini screziano
le ancestrali icone di ieri,
perdura quel senso di stasi
si rispolvera il senno;
costernate preci dilagano
a compenso del sogno...
 
Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate
 
 
forse dal latino: discretio separazione.
 
Il significato di questa parola è un concetto elegante: a partire da una radice etimologica che suggerisce una separazione discreta, lo screzio diventa il dissapore, il lieve dissenso o il blando conflitto; ci potranno quindi essere screzi fra fratelli, fra alti accademici o fra Stati amici.
E questa immagine acquisisce uno straordinario vigore nel significato cromatico della parola: lo screzio è la varietà di colori che si accosta nel medesimo oggetto - come ad esempio attraverso striature o macchie.
Potranno essere screziati i graniti variopinti di una scalinata, o screziati dei capelli scurissimi con riflessi blu o rossi, e la temibile tigre si mimetizzerà nella penombra grazie al suo manto screziato.
Lo screzio è una divisione che incrina un'armonia piatta e genera un vivido equilibrio tra contrasti. 

martedì 25 novembre 2014

Riemmbranza ancora, anche felice

Rimembranza
 
Cheta è la notte, vaporosa e grande
Dal mar la luna emerge;
Dal ciel stellato la rugiada lacrima,
E il volto mio di freddo pianto asperge.
Per la schiena del monte in giù si spande,
Silenziosa e cupa,
La selva dei castagni: orrido, livido,
Quinci uno scoglio in acqua si dirupa.
Una soave rimembranza amara
Dentro dal cor mi preme;
Su questa pietra or son dieci anni, un secolo,
Su questa pietra sedevamo insieme.
Ahimè, compagna mia, gentile e cara
Compagna, ove se’ ita?

Marina Musset, "Rimembranza felice"

 Vedi come d’angoscia ho piena l’anima,
Vedi la vita mia com’e smarrita.
L’ingrato mondo conoscesti appena,
E molti a te gli acerbi
Anni sembrar; volasti a miglior patria

Ove di me nulla memoria serbi
Cheta è la notte, vaporosa e piena
La luna in mar s’immerge;
Piove per l’aria la rugiada in lacrime
E il volto mio di freddo pianto asperge.
 
Arturo Graf


ricordi...ricordo... 
il tempo sbiadisce
ma il cuore conserva
la testa rinnova... 


lunedì 24 novembre 2014

Mestiere

Mestiere

Quando iniziando il verso io mi spiazzo
o non entra un avverbio e mi si spezza
tutta la musica, la forma guarda
col suo mostruoso volto di abortita,
l'aria mi fa male, soffro il sostantivo,
penso che bello andare sotto gli alberi
o far lo spaccapietre o essere passerotto
e preoccuparsi del nido e della
passerotta e i piccoli, sì, che bello,
chi me lo dice di mettermi, endecasillabo,
a cantare, chi me lo dice
di afferrarmi il cervello con le mani,
il cuore con i verbi, la camicia
per le punte ed esprimermi,
chi me lo dice, ti domando, essendo juan,
un juan così semplice coi suoi pantaloni,
i suoi amiconi, il suo lavoro e la sua
condannata abitudine di esser vivo,
chi me lo dice di andare gravido di frasi,
di calzare un cappello immaginario, di andare
ad aspettare una rima lì all'angolo di strada
come un fidanzato puntuale e disgraziato,
chi me lo dice di litigare con la grammatica,
maledirmi la notte, digrignare
fieramente, negarmi, rinnegare,
gemere, piangere, che bello è il passerotto
con la sua passerotta, i suoi piccoli e
il suo nido, il suo capriccio di esser grigio,
                  o far lo spaccapietre, dammi retta amico,
io scambio sogni e musica e anche i versi
per un piccone, pala e una carriola.
Ad una condizione:
lasciami un poco
di questo maledetto piacere di cantare.

                 

Traduzione di Laura Branchini
Juan Gelman.
La notte lentamente
 
 
...così semplice
da sembrare complicato,
così unico
da essere solitario... 
 


Mestiere, ant. o pop. tosc. mestiero, n.m. [pl. -i

1 - attività pratica che una persona svolge abitualmente traendone guadagno, per lo più dopo un periodo di addestramento; se il termine è usato in relazione a una professione, è per sottolinearne gli aspetti pragmatici: il mestiere di (o del) fabbro, del falegname; il mestiere di avvocato, di giornalista; imparare, insegnare, esercitare un mestiere; un mestiere duro, difficile | essere del mestiere, avere competenza specifica in un determinato campo; essere pratico, esperto | i ferri del mestiere, tutto ciò che è necessario per eseguire un lavoro, anche non manuale | gli incerti del mestiere, gli inconvenienti connessi con una determinata attività | fare qualcosa di mestiere, come lavoro abituale, traendone i mezzi di sostentamento: di mestiere, fa il fornaio | essere qualcosa di mestiere, ( fig.) esserlo abitualmente: è un attaccabrighe di mestiere | fare il mestiere, ( eufem.) esercitare la prostituzione | cambia mestiere!, si dice a chi non sa fare il proprio lavoro | non è mestiere tuo, ( fig.) non è questione che ti riguardi pegg. mestieraccio, mestieruccio.
2 - insieme di cognizioni necessarie per poter svolgere una determinata attività; esperienza, pratica di un lavoro e della sua tecnica: impadronirsi del mestiere; conoscere i segreti, i trucchi del mestiere; avere, non avere mestiere; è molto dotato, ma gli manca il mestiere.
3 - ( spreg.) attività che si svolge solo a fine di guadagno, che non comporta motivazioni o spinte ideali: ridurre l’arte a puro mestiere; svilire la missione del religioso a un mestiere qualsiasi.
4 - ( ant.) ufficio, compito; atto, operazione: tutti li dolorosi mestieri che a le corpora de li morti s’usano di fare (DANTE Vita Nuova). 
  
Dal fr. ant. mestier (mod. métier), che è dal lat. ministeriu(m) ‘ministero, ufficio’, deriv. di minister ‘ministro, servo’.
1 - Sin. lavoro, professione, attività, occupazione.
2 - Sin. esperienza, pratica, perizia, competenza, maestria.

 

domenica 23 novembre 2014

Domenica tra poesia e significato


Domenica sera
                  

Quando si siedono faccia a faccia
amori impossibili, chincaglieria affettuosa,
tipi che osarono e quella donna intensa
che porta auguri a felicità che non capirà mai,
la brava gente smette le parole cattive,
la brava gente dice tutti hanno possibilità nella vita,
sentono crescere il loro amore per quella donna intensa,
così sola, che vivrà sempre dietro a una finestra
e tutto ciò che le offrono è troppo zuccherato.


Traduzione di Stefano Bernardinelli
Juana Bignozzi
 
 
domenica come silenzio,
mattutino di novembre,
grigiore diffuso nel cielo;
passa un corvo e gracchia...
 
 
domenica (dal lat. cristiano dominica [dies] "giorno del Signore"; cfr. il gr. κυριακὴ [ἡμέρα]; fr. dimanche; sp. domingo e dominica; ted. Sonntag; ingl. sunday). -
Con questo termine si usò designare, sin dalle prime origini cristiane, il giorno che seguiva immediatamente al sabato giudaico: e ciò in onore del Signore (dominus) che risorse in tal giorno.
Il nuovo vocabolo è già, secondo alcuni, attestato nel Nuovo Testamento.
Settimo giorno della settimana; nella tradizione cristiana è giorno festivo e consacrato al Signore: il nome, già usato da Tertulliano sul modello del gr. κυριακή [ἡμέρα], fu introdotto da Costantino in sostituzione della più antica denominazione solis dies, «giorno del sole» (tuttora conservata in altre lingue, per es. ingl. sunday, ted. Sonntag). 
La liturgia cristiana domenicale deriva dal servizio sabbatico sinagogale.
La istituirono gli apostoli e i primi cristiani che, terminato il riposo sabbatico, si riunivano per celebrare tutti insieme il nuovo rito cristiano, fino quasi all’alba del giorno successivo.
Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla sacra liturgia (1963), afferma che «secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della Risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente giorno del Signore o ‘domenica’».
L’istruzione religiosa, la partecipazione alla messa e il riposo dal lavoro definiscono la santificazione della domenica.
Nell’attuale disciplina (can. 1244-49) le d. sono feste di precetto; i sacerdoti sono tenuti a celebrare la messa e i fedeli a soddisfare al precetto positivo nei modi indicati (enciclopedia TRECCANI).

 

sabato 22 novembre 2014

La foglia

 
La foglia

  Io sono come quella foglia - guarda -
sul nudo ramo, che un prodigio ancora
tiene attaccata.

Negami dunque. Non ne sia rattristata
la bella età che a un'ansia ti colora,
e per me a slanci infantili s'attarda.

Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce.
Morire è nulla; perderti è difficile.
 
Umberto Saba
 
 

La foglia è un organo aereo considerato un'appendice del Caule, generalmente laminare, espanso e sottile.
Compito principale e fondamentale della foglie è quello di regolare i processi che riguardano traspirazione e respirazione delle piante.
Le differenze maggiori nella morfologia delle foglie si hanno tra le Conifere (foglie aghiformi) e le Dicotiledoni, con foglie bifacciali se le due facce sono diverse e isofacciali se le due superfici sono uguali.
La foglia è costituita da quattro parti:

 



lamina o lembo
la parte estesa della foglia
 


picciolo
la parte che collega la foglia al ramo,
se manca si dice foglia sessile
 


guaina
il punto di attacco del picciolo al ramo
 


stipole
espansioni laminari alla base del picciolo,
a volte assenti o caduche.

Durante il processo evolutivo, anche in relazione all'ambiente le foglie hanno subito notevoli trasformazioni per renderle adatte a svolgere precise funzioni, si sono così diversificate in diversi tipi, ognuno con una propria morfologia ( dalla rete).


dove ve ne andate?...
una poesia che conosceva
mia madre, la amava,
ora è Autunno,
anche nel cuore l'ambra
si stempera nelle nebbie...

venerdì 21 novembre 2014

Oltremare

Antico nome del lapislazzulo (chiamato o. perché proveniva dall’Oriente per via di mare), passato poi a designare un colore azzurro intenso che si preparava calcinando debolmente il lapislazzulo polverizzato.
Il termine indica anche un colorante minerale che si ottiene per calcinazione di una miscela di caolino, silice, zolfo, carbonato sodico, carbone e colofonia.
È una polvere finissima, insolubile in acqua, inalterabile all’aria e alla luce, inattaccabile dagli alcali; gli acidi la decolorano con sviluppo di acido solfidrico.
È anche un colore intenso, impiegato in pittura e in tintoria: nella preparazione di colori a olio e ad acquerello, per tingere la carta, per la fabbricazione d’inchiostri, nella stampa dei tessuti, e così via.
Colore azzurro, che una volta si otteneva dal lapislazzuli (v.) polverizzato, arroventato leggermente, poi trattato con acqua e acido acetico diluito.
Nel 1828 in Francia J.-B. Guimet (e quasi contemporaneamente in Germania C. G. Gmelin) riusciva a ottenerlo artificialmente e da allora esso viene preparato in tale modo.
L'oltremare si presenta sotto forma di polvere finissima; i suoi principali componenti sono la silice, la soda, l'allumina e lo zolfo. - TRECCANI
 
 

Oltremare
 
In un sogno navigo,
acque oltremare, chiare,
tranquille e rifugio,
quasi una fuga.
 
Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate
 
 
 
Con il termine Terre d'Oltremare (o più semplicemente Oltremare) si indicano i domini dei crociati in Siria e Palestina fra la fine dell'XI secolo e gli inizi del XIV secolo, che dividono la Prima Crociata del 1099 e la conquista di Gerusalemme e la definitiva riconquista della Terra Santa da parte del Sultano mamelucco Muhammad ibn Qalāwūn dell'isola fortificata di Arados (Arwād o Ruad), ultimo dominio crociato, nel 1303.
L'origine del termine può essere ricollegata al nome con cui venne chiamata in origine la Crociata, ovvero passagium ultramarinum, viaggio oltremare.
Questi territori furono organizzati in Stati feudali, detti Stati crociati, principati franchi di Levante o Stati latini. Queste entità territoriali erano il Regno di Gerusalemme, la Contea di Tripoli, il Principato di Antiochia, la Contea di Edessa ed il Regno di Armenia-Cilicia.
Esse nacquero in seguito della spartizione della Terra Santa avvenuta ad opera dei comandanti della prima Crociata e riconoscevano tutte (almeno formalmente) l'autorità suprema del Re di Gerusalemme.
L'Outremer, sebbene geograficamente non rappresentò che un'infinitesima parte delle terre occupate dalla Cristianità occidentale (che andavano dalla Scandinavia alla Spagna e dalla Groenlandia alla Palestina), rivestì sempre una parte fondamentale nella storia dell'Europa medievale: lì era diretta la maggior parte dei pellegrinaggi e dei commerci e lì fu focalizzata per secoli l'attenzione di numerosi monarchi e di papi (da Wikipedia).

 

giovedì 20 novembre 2014

Antonio Maria Marini

Antonio Maria Marini (1668-1725), "Straordinaria tempesta"
  
Antonio Marini, nato a Venezia nel 1668 e attivo fra la città lagunare, Padova e Bologna principalmente, assume un ruolo di primaria importanza nel rinnovamento e nella diffusione in area veneta di quella pittura legata ai temi di rappresentazione di paesaggi, burrasche e battaglie. [...] Prendendo le mosse dalle visioni fantastiche e pittoresche di Salvator Rosa e sulla scia delle premesse teorico-letterarie preromantiche, Antonio Marini elaborerà una sintassi espressiva originalissima, che contribuirà non poco, in concerto con le esperienze di altri artisti innovatori, quali Antonio Francesco Peruzzini, Sebastiano Ricci e Alessandro Magnasco, alla svolta del linguaggio pittorico avvenuta fra Sei e Settecento. (cit. “Antonio Marini” di L.Muti e D.De Sarno Prignano).
Questo meraviglioso olio su tela, che rappresenta un veliero nella tempesta, con naufraghi in primo piano e un frate che scongiura i marosi, è di una qualità e di una forza tali da lasciare senza fiato. L’uso sapiente dei toni chiari, nelle pennellate potentemente materiche, crea un’illusione veramente sconvolgente di flutti trascinati a frangersi contro le rocce. I naufraghi e il frate, ritratti vicino all’osservatore nella parte bassa del dipinto, sono vividi nelle espressioni di terrore, sfinimento e finanche di fede. Anche il veliero, che si allontana dalla costa cercando scampo in acque più aperte, è ricco di dettagli e di vigore; la forza del vento si percepisce nelle vele impazzite e rigonfie, nei vessilli sferzati sugli alberi della nave, e nella impressionante inclinazione dello scafo sulle onde. La vertiginosa profondità della scena è resa proprio attraverso il gioco di sovrapposizione dei diversi piani prospettici; l’orizzonte, il veliero con le rocce e le ondate violentissime, ed i sopravvissuti, delineati appena con rapide pennellate, in uno stile personalissimo che il Marini amava utilizzare, precursore e genio della sua epoca. Questo dipinto fu senza alcun dubbio noto anche a Francesco Guardi, che in una Burrasca dipinta verso la metà del Settecento si ispira in modo diretto al naufrago di quest’opera, riprendendone la stessa posizione di fuga e terrore (cfr. terz’ultima foto allegata all’articolo – Altre Foto- con figure prese da “Burrasca” di Francesco Guardi). L’opera, a cui è stato effettuato un restauro conservativo, è stata rintelata ed è in buonissimo stato di conservazione. Le misure sono 123 x 72 cm e di 140 x 88 cm con cornice (in stile). (dalla rete)

.
Antonio Maria Marini (1668-1725,
"Straordinaria tempesta"
dettaglio

 
Allegria di naufragi
Versa il 14 febbraio 1917
 
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.
 

Giuseppe Ungaretti
 
 
naufràgio s. m. [dal lat. naufragium, comp. di navis «nave» e tema di frangĕre «rompere»]. – TRECCANI.

1. Sommersione o perdita totale di una nave per grave avaria del suo scafo, dovuta all’azione degli elementi naturali, a urto contro un ostacolo o a collisione con altra nave, a incendio o altra causa di forza maggiore (se conseguente ad azione bellica, si parla più comunem. di affondamento): fare n.; subire, evitare un n.; solo pochi superstiti scamparono al terribile n.; relitto di (o del) n., lo scafo o i resti dello scafo abbandonati dai naufraghi; carta di n. (o carta di localizzazione dei naufraghi), carta sulla quale i soccorritori delimitano la zona di probabile esistenza dei superstiti, tenuto conto della posizione della nave naufragata e dei dati relativi al vento e alle correnti che possono aver determinato la deriva e lo scarroccio delle imbarcazioni di salvataggio; diritto di n. (lat. ius naufragii), diritto, invalso nel medioevo e non più vigente, di occupazione sulle cose dei naufraghi. Per analogia, è detto n. (o n. aereo) il sinistro aereo, quando l’aeromobile perduto cada in mare.
2. fig. Rovina totale, fallimento di un’impresa, attività e sim.: n. di una riforma, di una politica, di un piano di sviluppo economico; gli ultimi avvenimenti segnarono il n. di tutti i suoi progetti.
3. Nel linguaggio filos., termine con cui talora si rende in italiano il ted. Scheitern (tradotto anche con scacco), con cui lo psicologo e filosofo ted. K. Jaspers (1883-1969) esprime l’esperienza dell’impossibilità per l’uomo di superare le «situazioni-limite» (per es., non poter vivere senza lotta e dolore, essere destinato alla morte, ecc.).

relitti nel tempo
alcuni pensieri vagano
nel nostro mare segreto
delle mille inquietudini...