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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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sabato 31 agosto 2013

Frammento


Cesare Matchesini, Borgo, olio su tela


sentimento vago,
rintocco mattutino
nel mio borgo
dove tutto tace;
l'attesa è quella usata,
quella semplice e vera
il chiaro ad est
stempera il sonno...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati



venerdì 30 agosto 2013

Valse e riflesso

File:Pierre-Auguste Renoir 146.jpg
Pierre-Auguste Renoir
Dance at Bougival, 1882-1883
Il valzer è una danza in ritmo ternario nata alla fine del XVIII secolo come evoluzione del Ländler. Diffuso inizialmente in Austria e nel sud della Germania, il valzer conquistò ben presto gran parte dell'Europa: dalla Francia (dove fu introdotto da Maria Antonietta) alla Russia, dall'Italia all'Inghilterra, diventando una danza internazionale. Il successo fu dovuto non solo al carattere fluente e orecchiabile della musica ma anche al fatto che per la prima volta la coppia di ballerini danzava abbracciata. Il valzer si affermò a Vienna all'inizio del secolo XIX con Johann Strauss padre e il suo amico, collega e rivale Joseph Lanner. In seguito, il valzer viennese conservò un andamento veloce e spigliato, mentre in Francia la nuova danza toccò la massima popolarità all'interno del genere operettistico, acquistando un carattere più languido e sentimentale. In Inghilterra alla fine del XIX secolo si affermò il valzer lento. Presente sporadicamente nelle opere dei grandi compositori del classicismo viennese (le danze di corte composte da Joseph Haydn e Ludwig van Beethoven, il quale, oltre a scrivere alcuni minuetti a tempo di valzer, diede il titolo di valzer ad alcuni brani per pianoforte), il valzer si impose in ambito colto all'inizio del XIX secolo, grazie a Johann Nepomuk Hummel (che ne definisce il canone formale) e a Carl Maria von Weber. In Francia diventò una forma classica, pianistica e sinfonica, grazie a Hector Berlioz e Fryderyk Chopin. In Italia si sviluppò soprattutto in ambito operistico, mentre in Russia fu impiegato correntemente da Pëtr Il'ič Čajkovskij, in particolare nei balletti ma anche nelle suite e nelle composizioni per pianoforte. Altri compositori dell'Ottocento che si dedicarono alla composizione di valzer furono Josef Strauss, Eduard Strauss, Emile Waldteufel, Charles Gounod, Jacques Offenbach, Carl Michael Ziehrer. Nel secolo XX il valzer viennese sopravvisse nelle opere di compositori come Franz Lehar e Robert Stolz, ma anche i compositori espressionisti e pre-espressionisti di area germanica - da Gustav Mahler a Richard Strauss e Alban Berg - lo utilizzarono largamente, sia pure con uno spirito nuovo, caustico e dissacratorio. Il valzer fu usato anche nella musica jazz. Uno dei principali esponenti fu Bill Evans che spesso utilizzava il tempo 3/4 o anche il 5/4 nelle sue improvvisazioni. Non è possibile non citare il tipico valzer romagnolo (famosi sono quelli di Secondo Casadei) che si balla ancora oggi nelle balere (da wikipedia).

Valse brillante

Una danza di Chopin irrompe nella sala,
una frenetica, scatenata danza,
Le finestre riflettono aria di tempesta,
una corona appassita orna il pianoforte.

Il pianoforte tu, il violino io,
così suoniamo e non finiamo mai
ed aspettiamo ansiosi, tu ed io,
chi romperà per primo l' incantesimo.

Chi si fermerà per primo in mezzo al ritmo
e spingerà via da sé i lumi,
e chi per primo farà la domanda
alla quale risposta non c'è.

Hermann Hesse


danzeremo insieme,
sui bordi del sole
a cavallo del nulla
come scie di comete...

giovedì 29 agosto 2013

Poesia e riflesso


La morte


Conoscere il segreto della morte
significa cercare nel cuore della vita
svelare il mistero della luce.
Significa spalancare le porte del cuore
sui cieli dell'universo,
poiché la vita e la morte sono unite
indivisibili
proprio come lo sono il fiume e il mare
la terra e il cielo, l'alba e il tramonto
ed è nel profondo delle speranze
e dei desideri
che giace silenziosa
la conoscenza dell'aldilà.
E così come semi sognanti sotto la neve
ogni cuore sogna la primavera.
Così nei sogni
è nascosto il cancello dell'eternità.
E così morire
è bere dal fiume del silenzio
è scalare la cima del monte
significa stare nudi nel vento
e sciogliersi al sole.
Significa liberare il respiro
perché possa elevarsi
e cercare Dio.

Kahil Gibran


e Dio?
dove ho messo Dio?
la luce dell'alba
è greve di pioggia,
un tuono,
lontano...

mercoledì 28 agosto 2013

Brezza

In meteorologia la brezza è un vento debole, solitamente classificabile fra i gradi 2 e 3 della Scala di Beaufort, e quindi con una velocità compresa tra i 7 e i 20 km/h. Si verifica in presenza di un campo di alta pressione, con assenza di masse d'aria in transito nell'atmosfera. la brezza è un vento periodico, spesso influenzato dai mutamenti di pressione e dalle differenze di temperatura.

Brezza di mare e di terra
La brezza marina è un vento diurno che spira nelle zone costiere dal mare verso terra. È causato dal minimo depressionario che si forma sopra la terraferma a causa del diverso ""calore specifico"". L'acqua ha un maggiore calore rispetto al terreno, per cui si riscalda e si raffredda più lentamente rispetto al suolo che, invece, tende a cedere il calore all'aria con una maggiore velocità di scambio. Il terreno, quindi, di giorno si scalda, e riscalda l'aria che lo sovrasta e questa tende ad innalzarsi. Questo comporta un abbassamento della pressione al livello della superficie terrestre, di conseguenza l'aria che si trova sopra la superficie del mare, più fresca e in una zona a pressione maggiore si sposta quindi verso la debole depressione generatasi sopra la terraferma inducendo un vento debole. Durante la notte la situazione si inverte. Il terreno si raffredda più velocemente del mare: la zona di bassa pressione si sviluppa quindi sopra l'acqua. Questa situazione genera un vento dalla terraferma verso il mare, detta brezza di terra. Fenomeni analoghi possono avvenire anche in presenza di superfici lacustri.

Brezza di monte e di valle.
Nelle zone montuose la brezza si manifesta con modalità simili ma cause differenti. In questo caso infatti, oltre che la temperatura anche la conformazione del terreno concorre al formarsi del fenomeno. Al sorgere del sole, solo le cime dei monti ricevono la luce, e con il passare della mattinata le pendici esposte al sole assorbono più calore dei fondovalle. L'aria calda risale quindi dai fianchi dei monti verso le cime, e l'aria fredda del fondovalle sale per sostituirla. Si genera quindi un movimento d'aria dalla valle (basso) verso la montagna (alto). Nella notte la situazione si inverte, e le aree che prima erano calde ora cedono calore e l'aria fredda più pesante, per cause in parte convettive e in parte gravitazionali, scende verso il fondovalle. La brezza di monte è quindi un vento catabatico, mentre la brezza di valle è un vento anabatico (da wikipedia).



Brezza

Debole brezza
mattutina,
come una carezza,
presto la mattina;
ogni volta è ritorno
arranco
quando viene giorno,
già sveglio e stanco.

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

martedì 27 agosto 2013

Tavolozza e poesia

La tavolozza è uno strumento utilizzato in pittura per preparare e mescolare i colori prima della loro stesura sul supporto pittorico.
Può avere varie forme e dimensioni, ma solitamente è una piccola asse o tavoletta (di legno o di plastica, di forma ovale o rettangolare), dotata di un foro che permette di sorreggerla infilandovi il pollice e facendo aderire l'oggetto al braccio (dalla rete).

Hai colorato
i miei pensieri
e i miei sogni,
con gli ultimi riflessi
della tua gloria,
Amore,
trasfigurando
la mia vita
per la prossima bellezza
della morte.
Come il sole,
al tramonto,
ci lascia intravedere
un angolo di cielo,
hai mutato il mio dolore
in gioia immensa.
Per incanto, Amore,
vita e morte
sono diventate
per me
la stessa grande
meraviglia.

Rabindranath Tagore


dal blu all'azzurro,
dal nero al bianco,
colori spargono pace
nei pensieri,
sulle cose;
il cuore perarltro
continua il suo corso...

lunedì 26 agosto 2013

Poesia e riflesso


Temevo che la furia del mio vento
rovinasse tutti i germogli belli & veri,
e il mio sole è brillato & brillato,
ed il mio vento non ha mai soffiato.

Ma un germoglio bello o vero
non fu trovato su nessun albero,
perché tutti i germogli crebbero e crebbero
senza frutti, falsi, anche se belli da vedere.

William Blake

Fulvio Cavaliere,
 Alberi al vento, olio su tela

fantasie corrotte nei sogni,
l'anima agitata ha paura,
richiude le porte
e di nuovo infeltrisce...

domenica 25 agosto 2013

Soliloquio

Il soliloquio (dal latino solus "solo" e loquor "parlare") è spesso usato in una situazione drammatica, quando il personaggio si riferisce ai pensieri e ai sentimenti di se stesso oppure parla di fronte ad un pubblico senza affrontare uno degli altri personaggi, e viene fatto spesso quando si è soli o si pensa di essere soli.
È distinto dal monologo.
I soliloqui sono usati di frequente nei drammi poetici.
I drammi in prosa tendono ad usare uno stile più realistico e raramente si hanno dei soliloqui.
Le commedie di William Shakespeare sono spesso caratterizzate da soliloqui (dalla rete).



Soliloquio

Compresso nel sogno
disegno,
cose a me stupide e care,
la vaga presenza
essenza
di anime grandi e lontane.
Nel vago chiarore del lume
riprendo le solite frasi,
quelle che urlo di notte,
quelle che fermo sui fogli.

Anonimo
del XX° secolo,
poesie ritrovate

venerdì 23 agosto 2013

Drago

Il Drago è l'unica creatura mitologica dello Zodiaco cinese. In Cina, i draghi sono associati alla forza, alla salute, all'armonia e alla fortuna; vengono posti al di sopra delle porte o sui tetti per bandire i demoni e gli spiriti maligni. L'Anno del Drago è associato al simbolo della divisione dell'anno. Nella cultura Cinese, durante gli anni del Drago sono nati più bambini rispetto agli altri anni. Il Drago è onnipotente. È vistoso, attraente e pieno di forza e vitalità. In Cina, il Drago è il segno dell'Imperatore cinese o l'elemento maschile Yang. Il Drago è il simbolo del potere e della ricchezza. È giusto dire che le persone nate nell'anno del Drago hanno un naturale carisma e sono sicuramente dotate di potenza e fortuna. È improbabile che passino inosservati ad una festa o ottengano il secondo posto in una competizione. Il Drago ha una mente attiva e mostra un forte interesse per il mondo che lo circonda. È una persona sicura di sé al punto da sapere come dare una buona impressione. Siccome sono più grandi della vita stessa, i Draghi fanno qualsiasi cosa su larga scala. Sono egoisticamente egocentrici e ambiziosi, al limite della megalomania. Non si fermano di fronte ad alcun ostacolo per ottenere ciò che desiderano. Una persona nata in questo anno indossa la corona del destino ed è capace di ottenere grossi risultati, se sa come sfruttare la sua straordinaria energia, l'intelligenza e il talento. Pur amando essere al centro dell'attenzione, queste persone hanno anche un aspetto coraggioso e caritatevole. Se un amico di un Drago si trova di fronte ad un problema, egli offrirà aiuto, e quando gli altri lasciano il campo di battaglia, il drago fa un passo avanti per risolvere il problema dell'autorità e della dignità. I Draghi richiedono che le azioni, per loro o per gli altri, siano efficienti e sono sorpresi quando gli altri non riescono ad occuparsi di un compito; sono così trasportati dal processo di azioni che non vedono le debolezze delle altre persone. Impieghi ideali per i Draghi sono: re, ufficiale militare, politico, musicista, poeta, artista, ingegnere biologico e ambientale, operatore di borsa, atleta, direttore di compagnia, esploratore,avvocato e giurista. Il Drago è molto compatibile con il Topo, la Scimmia, il Serpente e il Gallo (dalla rete).


Il mio voto

Il fiume giallo corre all'oceano dell'Est,
il sole scende verso il mare dell'Ovest.
Come il tempo, l'acqua fugge per sempre.
Non arrestano mai la loro corsa.
Con giovinezza scompare primavera,
l'autunno giunge coi miei capelli bianchi.
La vita umana è più corta di quella di un pino.
Che meraviglia, allora,
se la bellezza fugge e fugge la forza?
Perchè non posso inforcare un Drago celeste
per respirare essenza di luna e di sole
e divenire immortale?

Li Po


linee discostanti
alterano le visuali;
il blocco è forte,
non ho disgiunto
solo attendo...

giovedì 22 agosto 2013

Poesia e riflesso

Il tempo passato

Come il fantasma d'un amico amato
è il tempo passato.
Un tono che ora è per sempre volato
via, una speranza che ora è per sempre andata
un amore così dolce da non poter durare
fu il tempo passato.

Ci furon dolci sogni nella notte
del tempo passato.
Di gioia o di tristezza, ogni
giorno un'ombra avanti proiettava
e ci faceva desiderare
che potesse durare
quel tempo passato.

C'e' rimpianto, quasi rimorso, per
il tempo passato.
E' come il cadavere d'un bimbo molto
amato che il padre veglia, sinché
alla fine la bellezza e' un
ricordo, lasciato cadere
dal tempo passato.

Percy Bisshe Shelley


passato e presente
in un continuum stanco
fuori le api
suggono i fiori...

mercoledì 21 agosto 2013

Preghiera

Il vero amore deve sempre fare male. 
Deve essere doloroso amare qualcuno,
doloroso lasciare qualcuno....
Solo allora si ama sinceramente.

Madre Teresa di Calcutta

e amore fatto di vento,
quello che passa,
amore fatto di niente,
eppure sconquassa...

martedì 20 agosto 2013

Frammento


notte che non passa,
notte di sogni assidui,
notte scomoda,
notte pesante;
il chiarore dell'alba
mi estranea da me,
l'ansia ricrede,
l'ansia mi segue...

Anonimo
del XX° secolo
frammenti ritrovati

lunedì 19 agosto 2013

Bastimento

bastiménto
s. m. [der. di bastire].

1.
a. Designazione generica di ogni galleggiante di una certa grandezza, pontato, munito di mezzi autonomi di propulsione, a vela o a motore, destinato alla navigazione, marittima o interna.
b. In partic., grossa nave da carico. È arrivato un b. carico di ..., gioco che si fa tra più persone, ragazzi o anche adulti: chi dirige il gioco pronuncia queste parole seguite da una lettera dell’alfabeto, e la persona designata (col getto di un fazzoletto annodato, o altrimenti) deve immediatamente dire il nome di un carico che cominci con quella lettera.

2.
Quantità di merci che può essere trasportata da un bastimento, e per estens., fam., gran quantità: c’è ancora un b. di scarpe in magazzino. ◆ Dim. bastimentino (dalla rete, dizionario Treccani).


Bastimento in viaggio

L'albero oscilla a tocchi nel silenzio.
Una tenue luce bianca e verde cade dall'albero.
Il cielo limpido all'orizzonte, carico verde e dorato dopo la burrasca.
Il quadro bianco della lanterna in alto
illumina il segreto notturno: dalla finestra
le corde dall'alto a triangolo d'oro
e un globo bianco di fumo
che non esiste, come musica
sopra del cerchio coi tocchi dell'acqua in sordina.

Dino Campana


si arriverà,
da qualche parte un molo,
un attracco tranquillo;
poi sempre sole,
sempre calore
 e troppa luce...

domenica 18 agosto 2013

Poesia e riflesso


Fenditure

Fenditure nel cuore
le frasi si scoprono
e fanno parole.
In un contrappeso violento
diciture sbiadite,
le cose sapute, note;
poi un sospeso...

Anonimo
del XX° secolo
poesie ritrovate

sabato 17 agosto 2013

Poesia e riflesso

Il complice

Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i chiodi.
Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.
Mi ingannano e io devo essere la menzogna.
mi bruciano e io devo essere l'inferno.
Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.
Il mio nutrimento sono tutte le cose.
Il peso preciso dell'universo, l'umiliazione, il giubilo.
Devo giustificare ciò che mi ferisce.
Non importa la mia fortuna o la mia sventura.
Sono il poeta.

Jorge Luis Borges


dov'è il puro amore?
dove il quadro?
Marine solitarie
e risacca di onde...

venerdì 16 agosto 2013

Monet tra poesia e riflesso

Mattino

Era necessario un addio, perché capissi,
che non c'è un addio per noi.

Per sempre porterò in me quest'alba
come segno di bruciatura.
Alzàti sul far del giorno,
partimmo verso l'areoporto grigio
ed eravamo contenti, perché era così lontano.

La mia ultima parola fu un sorriso.

E sopra di noi sorgeva con l'addio
l'incontro vero e l'amore.

Blaga Dimitrova



Claude Monet, Mattino sulla Senna

blu e rosa stemperano
la mia tristezza quotidiana,
è mattina,
quella che si aspetta,
quella che vince il buio...


 
Monet e la Senna

Per tutta la vita Monet sarà affascinato dall'acqua del suo fiume - come dal mare - dal suo potere trasfigurante, un elemento naturale mai stabile e in continua evoluzione, una superficie pigramente sonnecchiante nelle giornate senza vento, ma anche inquieta e litigiosa nelle giornate cariche di pioggia e burrasca; una superficie volubile, manipolabile dalle condizioni atmosferiche, ma anche audace nel riflettere il paesaggio circostante e frantumarlo allo stesso tempo. E' nell'acqua che Monet scopre come tutti gli elementi paesaggistici - cielo, case, alberi, imbarcazioni, uomini - perdano la loro obiettiva definizione e possano essere ritratti come fenomeni di pura e visionaria dissolvenza. E' l'acqua il suo mezzo di astrazione, il suo potere specchiante sfuma i riferimenti reali e li riconverte in un gioco informale di colori. E' l'acqua che gli fa scoprire l'esatta "percezione della luce", nel senso che gli insegna a vedere le cose come puri effetti di luce, che lo apre alla visione di una realtà avvolta dagli instabili e perversi effetti atmosferici del cielo che si riversano nell'acqua. L'acqua è la sua musa, la sua amante nelle avventure en plein air, una madre e un padre costantemente presenti e premurosi: tanto è il bisogno di immergersi in questo elemento che Monet sceglie una prospettiva dall'acqua stessa, escogitando l'atelier galleggiante, tenuto a battesimo durante il soggiorno ad Argenteuil, nel 1873. Il pittore trasforma la barca a remi, attrezzandola con una cabina e un tendalino di stoffa. Un espediente che Monet riprende da un'intuizione del paesaggista Daubigny quindici anni prima, e ancora prima, dall'inglese Turner, che a Venezia, città amata dallo stesso francese, a largo del bacino di San Marco, su un'imbarcazione, contemplava la terraferma avvolta da un gioco atmosferico senza confini, dove cielo e mare si compenetravano, dove le famose architetture veneziane, perdevano la loro precisione dei contorni, e venivano risucchiate in un vortice di riflessi "nell'acqua e dall'acqua". Così Monet dipinge l'acqua dall'acqua, entra direttamente nel motivo, con immediatezza di tocchi sulla tela Monet immortala l'impressione della brezza che accarezza silenziosamente la superficie, o del vento che sferza il quieto corso del fiume, increspandolo di morbide onde che disgregano i contorni di tutta la realtà che si riflette. Il fiume - il suo fiume - diventa il fil rouge della produzione di Monet, dalle mondane regate alla solitaria contemplazione di effetti acquatici, attraverso i soggiorni tranquilli e sereni fuori dalla grande città di Parigi, seguendo il corso fino alla foce, fino alla costruzione del suo giardino delle meraviglie a Giverny, quando farà deviare il corso del fiume per creare, nella sua mente prima ancora che nella realtà, l'artificio della natura, fatto di ninfee, di uno stagno, di un ponte giapponese, di salici piangenti, di fiori e piante.(Laura Larcan, dalla rete).

giovedì 15 agosto 2013

Agostano tra poesia e riflesso

E' tardi

Da otto giorni il pensiero di mia mamma
m'accompagna ogni istante. La rivedo:
la cesta del bucato pressata contro il seno,
salire ansante su nella soffitta.

Io, a quel tempo, ero ancora un essere
sincero: piangevo, mi stizzivo:
lasciasse stare quella cesta colma,
portasse invece me nella soffitta.

Ma lei, senza curarsi di quel pianto
nè dei gridi, saliva cheta a stendere:
e i panni, tutti brividi e riverberi,
frusciavano e danzavano nel vento.

Ora non piangerei: ma è tardi ormai
Ora, sì, vedo quanto lei sia alta
che coi grigi capelli tocca il cielo:
e scioglie il turchino nell'acqua del cielo

Attila Jozsef

come passa il tempo,
attimi, ore, giorni
le nuvole vanno,
torna il sereno di Agosto,
l'erba tagliata di fresco,
quella dell'ultimo fieno...
Fieno

Fieno Erba tagliata e fatta seccare che viene destinata per foraggio. Il f. bene preparato è di solito verde e ha un profumo variabile a seconda delle qualità delle erbe che lo costituiscono, ma sempre gradevole e accetto al bestiame. Il metodo di raccolta dei foraggi, che ne consente la conservazione allo stato secco, nonché l’insieme delle operazioni di falciatura e di raccolta del f. costituiscono la fienagione, termine che indica anche il tempo in cui tali operazioni si compiono. Non tutte le erbe sono fienabili, cioè conservano, dopo essiccate, elastici e integri i loro tessuti, come la maggioranza delle buone foraggere. L’epoca più opportuna del taglio viene scelta in rapporto alla quantità e alla qualità del prodotto: il momento in cui meglio si conciliano coincide di regola con l’inizio della fioritura. Il contenuto in acqua dell’erba oscilla fra il 75-85% e nel f. si riduce al 15-18%. Per limitare il più possibile le perdite di sostanze nutritive occorre ridurre al minimo i tempi di essiccazione. Secondo le tecniche tradizionali, l’erba tagliata è lasciata sul terreno in strisce o andane, che vengono rivoltate più volte durante il giorno; generalmente l’essiccamento, con buone condizioni atmosferiche, si completa in 3-4 giorni.
Il f. dei prati naturali prende il nome di maggengo se deriva dal primo taglio (più pregiato), agostano quello del secondo taglio, terzuolo, quartirolo rispettivamente quelli del terzo e quarto taglio.
Nei paesi umidi si applicano sistemi diversi da quello descritto: secondo il metodo tirolese l’erba tagliata si dispone in mucchietti o fasci sopra sostegni di legno in modo da non farla poggiare a terra. In genere però si ricorre alla fienagione in due tempi, che consistono in un preappassimento in campo del foraggio (fino a un contenuto di acqua del 45-55%) e nella successiva essiccazione artificiale, mediante ventilazione con aria ambiente o riscaldata di 5-10 °C in un apposito fienile. Nello stesso fabbricato il foraggio viene poi conservato: situato al disopra oppure accanto alla stalla o in posizione isolata, può essere ridotto a una semplice tettoia se i foraggi sono compressi in balle. F. bruno e f. verde sono quelli essiccati completamente al sole o leggermente fermentati durante il disseccamento. Febbre da f. Nome dato all’asma bronchiale, quando si accompagna a rialzo termico ed è in rapporto con la fioritura delle graminacee (dalla rete diz. Treccani).

mercoledì 14 agosto 2013

Emily




Emily Dickinson

Taken from men - this morning -
Carried by men today -
Met by the Gods with banners -
Who marshalled her away -


One little maid - from playmates -
One little mind from school -
There must be guests in Eden -
All the rooms are full -


Far - as the East from Even -
Dim - as the border star -
Courtiers quaint, in Kingdoms
Our departed are.
   Sottratta agli uomini - stamane -
Trasportata da uomini quest'oggi -
Riunita agli Dei con i vessilli -
Che l'accompagnarono via -


Una fanciullina - dai compagni di gioco -
Una piccola mente dalla scuola -
Devono essercene di ospiti nell'Eden -
Tutte le stanze sono piene -


Remoti - come l'Est dalla Sera -
Indistinti - come la stella di confine -
Cortigiani singolari, nei Regni
Sono i nostri defunti.

Federico Severino,
Fanciullina


Una bambina che muore,
sottratta agli uomini,
ai compagni di gioco, alla scuola,
e accompagnata nel viaggio verso gli dei
dai segni esteriori
che usiamo nei cortei funebri,
diventa parte della folla che riempie il Paradiso.
Da quel momento lei,
come tutti coloro che muoiono,
diventerà remota e indistinta
ai nostri occhi mortali,
che non sanno immaginare nulla
di quel regno
così bizzarro e singolare
che chiamiamo aldilà (dalla rete).

martedì 13 agosto 2013

Non era lì la speranza

Renzo Barsacchi

(aprile 1924 - luglio 1996) è una delle voci più valide nel panorama della poesia del secondo Novecento.
I suoi versi sono intrisi di un intenso sentimento tragico della vita e di una religiosità forte quanto tormentata.
Poeta autentico e originale descrive il quotidiano, animato da un desiderio costante e a volte angoscioso di un diverso, cioè di uno spazio ulteriore ricco di libertà e significato.
La giuria del premio “Città di vita” composta da Carlo Betocchi, Margherita Guidacci e Nicola Lisi nell’assegnargli il primo premio così si esprimeva: “I ritmi scabri e spezzati, non per un artificio formale ma per una necessaria corrispondenza con gli aspri e inquieti moti dell’anima, sono molto personali e rivelano un temperamento ben definito, inconfondibile e autentico”. “Il discorso poetico di Barsacchi non implica confini di genere, ma è discorso libero, nutrito di libertà spirituale, che aiuta a credere proprio perché è tutto disinteressato, ed è, così, liberamente poetico” scrive di lui Ferruccio Ulivi. E Giorgio Bárberi Squarotti: “Il colloquio di Barsacchi con il Dio nascosto mi riempie sempre di commozione e di partecipazione” (dalla rete).



Non era lì la speranza

Non era lì nell’incetta d’anime
nella raggera dei volti,
nel mattino di guglie dei nostri figli,
non era lì la speranza
ma nel suo stesso mistero, nella sua nudità. Ci
                   dev’essere
una tenebra che dia luce,
un silenzio che parli, solitudine che corrisponda
perché la morte sia da vivere, perché la sua falce
resti sospesa sul campo vuoto ed il grano
già mietuto la renda
falce di luna. E che resti la pula per la fame del ventio.
Libera dai covoni le allodole.
                                La pioggia
si abbatterà inutilmente
sui gambi mozzi che furono la nostra figura.

Renzo Barsacchi
Marinaio di Dio cit., p.77





Ernesto Messa, Ritratto di Piera

lunedì 12 agosto 2013

Poesia e riflesso e altro

Le parole

Le parole
se si ridestano
rifiutano la sede
più propizia, la carta
di Fabriano, l'inchiostro
di china, la cartella
di cuoio o di velluto
che le tenga in segreto;

le parole
quando si svegliano
si adagiano sul retro
delle fatture, sui margini
dei bollettini del lotto,
sulle partecipazioni
matrimoniali o di lutto;

le parole
non chiedono di meglio
che l'imbroglio dei tasti
nell'Olivetti portatile,
che il buio dei taschini
del panciotto, che il fondo
del cestino, ridottevi
in pallottole;

le parole
non sono affatto felici
di essere buttate fuori
come zambracche e accolte
con furore di plausi
e disonore;

le parole
preferiscono il sonno
nella bottiglia al ludibrio
di essere lette, vendute,
imbalsamate, ibernate;

le parole
sono di tutti e invano
si celano nei dizionari
perché c'è sempre il marrano
che dissotterra i tartufi
più puzzolenti e più rari;

le parole
dopo un'eterna attesa
rinunziano alla speranza
di essere pronunziate
una volta per tutte
e poi morire
con chi le ha possedute.

 
Eugenio Montale

fisicità mancata
una manciata di stelle
illumina per attimi,
poi scema...

parola [pa-rò-la] s.f.

1 Nella teoria linguistica moderna, minima unità isolabile all'interno della frase, composta da uno o più fonemi, dotata di un sign. autonomo fondamentale o di una funzione sintattica; anche, la sua rappresentazione grafica.
SIN termine, vocabolo, voce
2 (spec. pl.) Insieme, sequenza linguistica considerata dal punto di vista del sign., discorso. SIN espressione, affermazione: p. sincere, affettuose; p. di incoraggiamento
3 estens. Lezione: seguire la p. dei maestri; consiglio: ascoltare la p. di un amico
4 teol. Nel cristianesimo, Cristo; anche, i testi di ispirazione divina
5 Espressione verbale di una promessa, di un impegno SIN assicurazione: mantenere la p. data
6 Linguaggio, facoltà d'espressione: perdere, riacquistare la p. || gli manca solo la p., si dice di animale molto intelligente o di ritratto somigliante ed espressivo
7 Diritto di parlare, di intervenire, in un'assemblea, nonché in alcuni giochi di carte (p.e. il poker): dare, prendere la p.; fig. facoltà di decisione, iniziativa: fallite le trattative, la p. è passata alle armi
8 Modo di parlare: avere la p. facile; forma espressiva: la p. poetica
9 (al pl.) Pura espressione verbale contrapposta all'azione e alla realtà SIN chiacchiere: ci vogliono fatti, non parole
10 Cenno, menzione: non fare p. con nessuno di qlco.
11 mus. (al pl.) In una canzone, testo poetico: parole e musica di Gino Paoli
• dim. paroletta
• agg.rel. non derivati dal lemma: (1) verbale, lessicale; terminologico • sec. XIII Locuzioni in senso proprio o fig.: brutte, male p., termini offensivi, parolacce | cavare le p. di bocca a qlcu., costringerlo o indurlo a fatica a parlare | dare la propria p., promettere | di poche p., taciturno oppure conciso | dire una buona p. a qlcu., confortarlo | dire, mettere una p. buona per qlcu., raccomandarlo | essere di p., mantenere i propri impegni | è una p.!, facile a dirsi, meno a farsi | gioco di parole, scherzo, battuta fondata sui diversi sign. di uno stesso vocabolo | libertà di p., diritto costituzionalmente garantito a manifestare il proprio pensiero attraverso scritti e discorsi | liturgia della p., lettura e commento di passi della Bibbia durante la messa | l'ultima p., la frase, il giudizio conclusivi | mangiarsi le p., parlare in fretta, con pronuncia poco chiara | misurare, pesare le p., parlare con cautela | non rivolgersi la p., non parlarsi, essere in cattivi rapporti | non trovare le p., non riuscire a esprimersi, a dire qlco. | p. chiave, voce significativa che nei sistemi di ricerca automatica è utilizzata per descrivere il documento | p. d'onore, affermazione o promessa fatta sotto la propria responsabilità, sul proprio nome | p. d'ordine, parola o frase di riconoscimento; in inform., codice utilizzato per identificare l'utente e abilitarlo all'uso del computer. SIN password | p. (in)crociate, cruciverba | p. macedonia, in linguistica, formata da frammenti di altre parole (p.e. autoferrotranvieri) | p. sante!, ben detto! | passare p.; passarsi la p., trasmettersi una notizia, una voce | prendere in p. qlcu., credere a un'offerta o a una promessa | scambiare due p. con qlcu., chiacchierare, discorrere | venire a parole, avere un diverbio, litigare | nel prov. a buon intenditor poche p., con chi sa capire non sono necessari lunghi discorsi
• locc. cong. testuali: in altre p., vale a dire, cioè, in altri termini | in due p., in breve | in p. povere, semplificando | in una p., riassumendo per concludere (dalle rete).

domenica 11 agosto 2013

Verrà, verrà...





Constance Dawling

 La poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” venne composta il 22 marzo 1950.
Preannuncia la tragica fine dello scrittore che si suicidò il 27 agosto dello stesso anno in una stanza dell’albergo “Roma” di Torino ingerendo una forte dose di sonnifero. Su di un foglietto aveva scritto
“Chiedo perdono a tutti e perdono tutti.
Non fate troppi pettegolezzi”.
Quella morte non fu propriamente determinata ma solo affrettata dalla fine della storia d’amore tra Pavese e l’attrice americana Constance Dawling, tanto è vero che, all’inizio della poesia, il poeta afferma che il pensiero della morte – il fascino cioè del suicidio – per uscire dalla solitudine, dalla incomunicabilità e dall’angoscia esistenziale, lo ha accompagnato ininterrottamente per tutta la vita.
Però poi arriva, quel giorno, il momento del gesto ultimo e definitivo.
La poesia dà il titolo alla breve raccolta poetica pubblicata postuma nel 1951 e comprendente dieci componimenti (otto in italiano e due in lingia inglese) che furono "dettati" al poeta dal suo amore tragico per Constance Dawling.
La poesia è rivolta, in forma di dialogo ideale, alla donna amata che, dopo l’ultimo incontro a Cervinia (Valle d’Aosta), era partita per l’America e non aveva più dato notizie di sé (dalla rete).


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Cesare Pavese

 

...già che strano,
le nuvole oscurano il sole,
a tratti, poi filtra;
io, per me,
non ho che le mani
e qualche riga sui fogli...

sabato 10 agosto 2013

Un ricordo tra poesia e riflesso

La farfalletta

La vispa Teresa
avea tra l’erbetta
a volo sorpresa
gentil farfalletta,
e tutta giuliva
stringendola viva,
gridava a distesa:
”L’ ho presa! L’ ho presa!”
A lei supplicando,
l’afflitta gridò:
“Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu si mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh! Lasciami;
anch’io
son figlia di Dio!”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.

Luigi Sailer

farfalle sparse...e fiori,
il profumo dell'erba,
il fieno non ancora ingiallito;
i passi incerti, la voce,
una canzone nel vento
il bastone sui sassi...

"La Vispa Teresa" o "La Farfalletta" è una antica filastrocca per bambini scritta da Luigi Sailer (1825 Milano -1885 Modena, insegnante) e dedicata ad una principessina di Savoia-Carignano.
Già lo stesso autore aveva più volte rimaneggiato "La farfalletta" anche dopo la sua pubblicazione, come riferisce Renato Simoni sul Corriere della Sera dell'11 Marzo 1922: ma Trilussa - pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (Roma, 1871-1950) - ne compose, nel 1917, una spiritosa continuazione dove Teresa, dopo una vita allegra e disinvolta, invecchia dietro un banco di tabaccheria e, divenuta devota, frequenta assiduamente la parrocchia recitando preghiere ed annusando tabacco in polvere secondo l'uso frequente delle donne anziane di quel tempo.
Noi tutti sappiamo qual è la versione a noi più cara, ma ci è comunque sembrato carino riportarne le Origini Storiche (dalla rete).

venerdì 9 agosto 2013

Emily sempre

there is another sky,
ever serene and fair,
and there is another sunshine,
tho' it be darkness there -
never mind faded forests, Austin,
never mind silent fields -
here is a little forest
whose leaf is ever green -
here is a brighter garden -
where not a frost has been,
in it's unfading flowers
I hear the bright bee hum,
prithee, my Brother,
into my garden come!
   
Claude Monet, Il giardino dell'artista a Vétheuil

c'è un altro cielo,
sempre sereno e bello,
e c'è un'altra luce del sole,
sebbene sia buio là -
non badare alle foreste disseccate, Austin,
non badare ai campi silenziosi -
qui è la piccola foresta
la cui foglia è sempre verde -
qui è un giardino più luminoso -
dove il gelo non è mai stato,
tra i suoi fiori mai appassiti
odo la luminosa ape ronzare,
ti prego, Fratello mio,
vieni nel mio giardino!


Emily
Dickinson

A conclusione di una lettera al fratello Austin del 17 ottobre 1851 (L58). Il testo è in prosa ed è preceduto da "The earth looks like some poor old lady who by dint of pains has bloomed e'en till now, yet in a forgetful moment a few silver hairs from out her cap come stealing, and she tucks them back so hastily and thinks nobody sees. The cows are going to pasture and little boys with their hands in their pockets are whistling to keep them warm. Dont think that the sky will frown so the day when you come home! She will smile and look happy, and be full of sunshine then - and even should she frown upon her child returning," ("La terra sembra come una povera vecchia signora che fino ad ora è sempre rifiorita dai colpi della sorte, ma in momento di distrazione alcune ciocche di capelli argentei le escono furtivamente dal cappello, e lei le ricaccia indietro velocemente e pensa che nessuno abbia visto. Le mucche stanno andando al pascolo e ragazzini con le mani in tasca fischiettano per tenersi caldi. Non credere che il cielo sarà così corrucciato il giorno in cui verrai a casa! Sorriderà e apparirà felice, e sarà pieno di sole allora - e se pure dovesse corrucciarsi quando il suo figliolo tornerà,")

La lettera contiene, come sempre nelle lettere di questo periodo al fratello, il racconto di cose quotidiane e, soprattutto, la nostalgia provocata da un'assenza che doveva pesare molto a ED. La conclusione è un'esortazione a interrompere quell'assenza, con la descrizione dei primi freddi in arrivo e subito dopo, come per mettere la mani avanti e stroncare sul nascere le possibili obiezioni a una visita nel gelo, una rassicurazione sul tempo che farà al suo ritorno, per poi concludere che, in ogni caso, ci sarà sempre quel cielo "ever serene and fair", un cielo formato dal calore della casa, della famiglia e, soprattutto, scaldato dall'amore di una sorella, evidenziato da quel possessivo "my" dell'ultimo verso (dalla rete).