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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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domenica 20 novembre 2011

Un Ricordo

Ma perchè mai ricordare?
E' così bello oppure doloroso?
Ho ripreso girovagando nel web questa rilettura della poesia di Gabriele D'annunzio "un ricordo". La poesia non è tra le più citate o studiate, eppure ha un fascino molto intenso ed è ancora estremamente attuale (come tema, forse non come linguaggio).
Ricordare significa richiamare col cuore.
Ed ecco allora il ricordo accorato del poeta che incontra una donna, non ancora del tutto divenuta fantasma del passato.
All'inizio c'è uno stato di sospensione, destato dalla timidezza di lei, che tiene gli occhi abbassati. Sembra il silenzio degli innamorati, quel rossore dell'anima che non ha bisogno di parole, quel minuto che resta per sempre immerso nella mente e che pare durare un'eternità.
Si apre un mondo dentro questo mutismo, un mondo fatto di immaginazione infinita e di mistero: abissi imperscrutabili, retti sull'invisibilità, la fuggevolezza dello sguardo.
Poi, tutto finisce: per rompere l'incantesimo basta uno sguardo.
La chiarezza, la verità degli occhi spezzano il mistero. Il moto è lento, ma il gioco degli occhi è decisivo: la trama è rotta, il mondo cambia colore, lo spirito ridiventa carne: ed ecco le parole, come sangue dalle ferite, la negazione dell'amoe, ciò che era sospeso si delinea come un rifiuto.
D'Annunzio gioca con le parole, coi significati delle stesse.
Riesce a dare suoni a situazioni e il lettore ha un coivolgimento quasi assoluto (modificato dalla rete).


UN RICORDO

Io non sapea qual fosse il mio malore
né dove andassi. Era uno strano giorno.
Oh, il giorno tanto pallido era in torno,
pallido tanto che facea stupore.

Non mi sovviene che di uno stupore
immenso che quella pianura in torno
mi facea, cosí pallida in quel giorno,
e muta, e ignota come il mio malore.

Non mi sovviene che d'un infinito
silenzio, dove un palpitare solo,
debole, oh tanto debole, si udiva.

Poi, veramente, nulla piú si udiva.
D'altro non mi sovviene. Eravi un solo
essere, un solo; e il resto era infinito.

Gabriele D'Annunzio
(poema Paradisiaco, 1893)

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